Ieri ho visto al cinema il film “Quando” diretto da Walter Veltroni e tratto dal suo romanzo pubblicato da Rizzoli nel 2018.
La vicenda è surreale: il giovane Giovanni, attivista del PCI e studente all’ultimo anno di liceo, a pochi giorni dall’esame di maturità ha un grave incidente in piazza San Giovanni, il 13 giugno 1984, mentre sta partecipando ai funerali di Enrico Berlinguer: l’asta della bandiera rossa lo colpisce alla testa, mandandolo in coma. Da allora vive un’esistenza vegetativa per 31 anni. Nel 2015, inspiegabilmente (o miracolosamente) si risveglia e si ritrova catapultato in un nuovo millennio e in un mondo totalmente cambiato.
Con l’aiuto di una suora, Giulia (che l’accudisce durante il periodo di riabilitazione) e di Leo (un ragazzo problematico che parlando con lui esce dal suo mutismo selettivo), va abituandosi alla nuova realtà, non senza traumi sia a livello politico (non esiste più il suo partito e il mondo sembra aver smarrito gli ideali per cui lui aveva lottato da ragazzo) sia a livello personale (la sua antica fidanzata, Flavia, da cui ha avuto una figlia, si è sposata con Tommaso, il suo migliore amico).
Il cast presenta nel ruolo del protagonista il bravo Neri Marcorè, al cui fianco sono, fra gli altri, Valeria Solarino (suor Giulia), Fabrizio Ciavoni (Leo), Olivia Corsini (Flavia), Gian Marco Tognazzi (Tommaso), Anita Zagaria (la madre di Giovanni).
Leggendo oggi alcune recensioni sul film (alquanto diverso rispetto al libro), ho potuto ancora una volta constatare che nel nostro tempo è assai rara la possibilità di leggere un’opinione che sia immune da preconcetti, pregiudizi politici e viscerali antipatie.
Siccome Veltroni (che fra l’altro mi somiglia un po’ fisicamente) è stato organico alla FGCI, poi al PC, quindi al nascente PD, inoltre vicepresidente del Consiglio e Ministro per i beni culturali e ambientali nel governo Prodi I, segretario dei DS dal 1998 al 2001, nonché sindaco di Roma per due volte (dal 2001 e dal 2006), è inevitabile che diventi facile bersaglio degli strali degli avversari politici (sia quelli fisiologici di destra, sia quelli patologici provenienti dalla palude dell’attuale sinistra).
Non c’è da meravigliarsi dunque, ad esempio, se una testata come “Il fatto quotidiano” (diretta da Marco Travaglio, lampante esempio di “mutante” politico) recensisca negativamente il film, con l’intenzione (pare) di criticarne gli spettatori più ancora del regista: «Se volete flagellarvi di cinematografico cilicio, “Quando” di Walter Veltroni fa al caso vostro. Nostalgici mai domi degli anni pesti dell’Ulivo, dei falsi tentennamenti tra massimalismo e riformismo (tutta scena, riformismo neoliberista a manetta), ma soprattutto di un cinema spompo, esangue, in autodissolvenza (e distruzione) perenne, ecco è la vostra ora»; per il recensore, il film «è imperdibile per i nostalgici goduriosi ex comunisti dello strappo liberista post ’89».
Una posizione più neutra viene espressa da un altro recensore, che, a proposito della trama del film, scrive così: «il risveglio di Giovanni è un pretesto, una metafora sulla condizione universale attuale (non solo quella italiana), che ha smarrito la strada e ha perso i cardini» (D. Panattoni, https:// movieplayer.it, 30/3/23).
Questa infatti, a mio parere, è la chiave di lettura centrale del film: non solo la mutazione “politica” (la caduta del Muro, la fine del PCI, le nuove ideologie senza più “ideali”), ma soprattutto la mutazione “genetica” del tempo presente, in cui le tecnologie hanno modificato radicalmente (ma non sempre in bene) le nostre abitudini e i nostri ritmi di vita, gli equilibri familiari hanno assunto una prospettiva più ampia, le lire non esistono più, i grandi cantautori del passato sono quasi tutti morti, le barriere si alzano con il Telepass, in via delle Botteghe Oscure non c’è più niente e la cucina tradizionale è stata sostituita da una saccente gastronomia pseudo-internazionale (gustosissima la scena al ristorante “di tendenza”, nel quale al posto del menù cartaceo c’è l’insopportabile “QR code”, la “carbonara” è condita con la bottarga anziché col guanciale e un poco convinto maître – interpretato da Stefano Fresi in un delizioso “cameo” – invita i clienti a mettersi in salvo in una trattoria vicina).
In questa realtà irriconoscibile il protagonista, con un difficilissimo percorso di “formazione”, tenta faticosamente di ambientarsi: visualizza sul tablet la sua vita non vissuta (il lancio delle monetine a Craxi, la strage di Capaci, l’attacco alle Torri Gemelle, il surriscaldamento globale, l’immigrazione, ecc.) e fa i conti con i ricordi del suo passato: la ex fidanzata, da cui ha anche avuto una figlia; il migliore amico, tormentato dai rimorsi ma convinto dell’inevitabilità delle scelte fatte; la madre, affetta da demenza senile, interpretata da un’intensissima Anita Zagaria, che domina la scena senza pronunciare neanche una battuta.
Tuttavia Giovanni, quando finalmente può cimentarsi nell’esame di maturità che aveva perso per l’incidente, può soltanto dire alla commissione di sentirsi “un marziano”.
L’idea di fondo di “Quando” deriva da “Good Bye, Lenin!”, un film tedesco del 2003 diretto da Wolfgang Becker, nel quale un figlio tentava di evitare che la madre (pure lei attivista comunista e pure lei appena risvegliata da un coma, peraltro di pochi mesi), si rendesse conto del cambiamento del mondo dopo il 1989.
Ora, narrando vicende surreali del genere, il rischio che si corre è quello di ricadere nella facile nostalgia e nel passatismo fine a se stesso (“Il presente deve proteggere il passato”, dice una battuta del film). Per di più in “Quando” la prospettiva non è soltanto sociopolitica, ma pone anche un serio problema esistenziale, come segnala un altro attento recensore: «Giovanni è una figura tragicamente a metà: spirito e mente di un diciannovenne nel corpo di un cinquantenne, sguardo incantato e ingenuo su una nuova realtà, ma anche consapevole di aver perso ormai gli anni che più ci definiscono come esseri umani e di aver davanti a sé solo la prospettiva della vecchiaia e di una nuova morte. […] L’intenzione di Veltroni di voler mettere a confronto due epoche a distanza di due generazioni risulta troppo sbilanciata a favore del passato, ed è evidente nella scena in cui Giovanni guarda sbigottito le foto dei tanti eventi (perlopiù negativi) avvenuti nel mondo nei 31 anni in cui è rimasto dormiente. […] “Quando” avrebbe forse avuto più bisogno di concentrarsi sulla tragedia di una vita che è passata senza averla potuta vivere, piuttosto che sul rimpianto per un mondo che non esiste più» (D. Luciani, https://www.spettacolo.eu/quando-recensione/, 31.03.23).
A mio parere, la troppa carne messa al fuoco dall’autore-regista ha finito per penalizzare alcune scene del film, che appaiono meno efficaci; inoltre il personaggio di suor Giulia, benché ottimamente interpretato da Valeria Solarino, risulta a tratti poco credibile, forse perché, nonostante le tante innovazioni del nostro tempo, stentiamo ancora a immaginare delle suore che fanno footing, che adoperano magistralmente il navigatore satellitare e che non disdegnano di mostrarsi in costume da bagno. Forse, nel porre una suora (sia pure ultramoderna) accanto all’antico militante comunista, Veltroni ha inteso “visualizzare” una sorta di attuazione pratica dell’antico “compromesso storico” fra comunisti e cattolici (il protagonista segnala ironicamente il fatto di essere andato in coma durante una manifestazione comunista e di essersi risvegliato in un ospedale cattolico).
Viene quasi spontaneo, poi, collegare un po’ maliziosamente il lungo periodo di coma vissuto dal protagonista con l’altrettanto durevole torpore della sinistra italiana, che da tempo attende un “risveglio” e attende, fra una batosta e l’altra, chi sappia fare il miracolo di restituirle gli ideali (al di là delle realizzazioni partitiche) su cui un tempo si fondava.
Nelle “note di regia” Veltroni scrive così: «Ho cercato di raccontare questa storia, tratta da un mio libro, intrecciando il percorso della comprensione di un mondo caotico e così diverso dal passato, dei mutamenti politici e tecnologici con quello della ricerca di affetti consumati dal tempo. Può essere una fiaba. Forse è un modo per parlare di questo tempo e di noi, oggi».
In effetti, la chiave di lettura “fiabesca” potrebbe essere una buona ancora di salvezza per bypassare alcuni difetti del film, che resta però sicuramente apprezzabile negli intenti. Un certo “buonismo” veltroniano è confermato ed è innegabile, ma forse va giustificato in un momento in cui recriminazioni, astii e polemiche all’interno di certa sinistra ottengono solo di portare acqua al mulino degli avversari politici.
In definitiva, anche se manca ancora al Veltroni regista la “maturità” necessaria per gestire un materiale così ricco e complesso, il suo tentativo appare volenteroso, per cui il film (checché ne possano dire i critici malevoli e prevenuti) merita di essere visto e non solo dai presunti “nostalgici goduriosi ex comunisti”.
P.S.: Una segnalazione a parte merita, secondo me, la colonna sonora, in cui (oltre ad Airelle Besson con “Time to Say Goodbye” e Keaton Henson con “You”) spicca la canzone di Cesare Cremonini “Buon Viaggio-Share The Love”, il cui testo allude in qualche modo alla vicenda narrata: «Coraggio lasciare tutto indietro e andare / partire per ricominciare / che non c’è niente di più vero di un miraggio / e per quanta strada ancora c’è da fare / amerai il finale».