Nel castello di Heidelberg, imponente fortezza che domina dall’alto il panorama cittadino, si può vedere la più grande botte di legno al mondo che sia mai stata riempita di vino. Il principe elettore Giovanni Casimiro fece montare nelle cantine, dai soffitti a volta, una botte di circa 125.000 litri, che Carlo Lodovico nel 1664 fece sostituire con una più grande (195.000 litri); infine, sotto Carlo Teodoro, nel 1751 fu costruita la botte attuale (la “Grosses Fass”) con 130 tronchi di quercia e una capacità di 221.726 litri. Questo enorme barile è lungo 8 metri e mezzo e alto 7 metri; in cima ha addirittura una pista da ballo.
A quanto pare, la custodia di questa botte gigantesca fu affidata a un giullare nano soprannominato “Perkeo”, la cui statua è ancora visibile accanto ad essa.
Ebbene, questo “Perkeo” era italiano, si chiamava Giovanni Clementi (secondo altri Clemens Pankert) ed era nato nel 1702 in Alto Adige, a Salorno, oggi in provincia di Bolzano e a quei tempi appartenente all’Austria asburgica.
Di statura molto bassa, viveva fabbricando bottoni; a 18 anni però ebbe la fortuna di incontrare il Principe Elettore Carlo III Filippo del Palatinato; costui, divertito e incuriosito dalla figura del nano e dal suo buffo modo di fare, lo ingaggiò come giullare di corte presso la capitale del Palatinato, Heidelberg.
In questa nuova mansione Clementi ottenne il soprannome di “Perkeo”, che gli derivò da un’atroce storpiatura di un’espressione italiana; infatti, quando gli si chiedeva se volesse ancora un bicchiere di vino, il piccolo giullare era solito rispondere “Perché no?”. Una versione alternativa precisa che il soprannome nacque in un’occasione specifica, cioè quando l’Elettore chiese al nano se riteneva di poter bere da solo il suddetto barile del castello di Heidelberg, che poteva contenere oltre 200.000 litri di vino: in tal caso il suo “Perché no?” dovette suonare ancora più grottescamente audace.
Proprio per la sua spropositata propensione per il vino, “Perkeo” si guadagnò la già citata carica di custode della grande botte; beveva, a quanto pare, dai 20 ai 30 litri di vino al giorno, verosimilmente a causa del diabete insipido che lo affliggeva; questa rara malattia metabolica si caratterizza per uno squilibrio della quantità di acqua presente all’interno del corpo: tale squilibrio conduce ad un’eccessiva produzione di urine e obbliga ad assumere liquidi in continuazione.
Quando “Perkeo” si ammalò gravemente, un medico gli ordinò di bere un bicchiere d’acqua, cosa che non aveva mai fatto prima; a quanto pare il giullare ubbidì “obtorto collo”, con il risultato che il giorno seguente lo colse una morte istantanea (e poi si dice “facile come bere un bicchiere d’acqua”!!). Aveva solo 33 anni ed era il 1735. Il simpatico “Perkeo” fu pianto dall’intera corte e dai cittadini di Heidelberg; già durante la sua vita gli era stato eretto un monumento, che egli stesso aveva progettato.
Oggi, come si è detto, lo si può ancora vedere nel castello di Heidelberg, sulla parete accanto alla grande botte, ma anche qua e là per le strade di Heidelberg: nella via principale (Hauptstraße 75) c’è un hotel-ristorante con il suo nome.
La storia di Perkeo si legge in una lettera di Victor Hugo, scritta dopo la sua visita nel 1840 al castello di Heidelberg. Inoltre Joseph Victor von Scheffel aggiunse una canzone in onore del piccolo giullare alla sua raccolta “Gaudeamus”, pubblicata nel 1863.
La commemorazione del giullare viene celebrata ogni anno ad Heidelberg durante il Carnevale. Lo stesso avviene nella natìa Salorno: il sabato di Carnevale la comunità consegna le chiavi del Municipio al “Perkeo” di turno, che – seguito da un corteo di circa 400 persone – entra in pompa magna nel paese; tre giorni dopo, il martedì grasso, il giullare restituisce le chiavi al sindaco e si torna alla normalità. Il rituale viene chiamato “Perkeo’s Maschggra”.
“Perkeo” è anche il nome di una varietà di edera; inotre, “Perkeo” è il nome di un gruppo dell’Istituto di fisica dell’Università di Heidelberg.
Due considerazioni conclusive.
La prima riguarda la tendenza (in ogni Paese) a deformare le parole delle altre lingue.
Manzoni fa storpiare al conte Attilio il nome del condottiero boemo Wallenstein trasformandolo in “Vagliensteino”; ed è lo stesso procedimento che ha condotto a trasformare il “Perché-no” del simpatico nano (comunque lo avesse pronunciato o gracchiato) nell’assurdo (per noi) “Perkeo”.
La tendenza del resto è diffusissima: per restare nell’ambito di Heidelberg, nei menu esposti in strada di alcuni ristoranti italiani locali ho letto una serie innumerevole di strafalcioni (“pizza del carretiere”, “marinera”, “capriciosa”, “arrabiata”, “mozarela”, ecc.) che dimostrano come sia improbabile che qualcuno oggi si prenda la briga di controllare l’esattezza ortografica e fonetica di ciò che scrive (e questo non solo ad Heidelberg…).
La seconda riflessione riguarda proprio l’espressione “Perché no?”. Essa, come è ovvio, esprime un proponimento coraggioso, un tentativo di sperimentare qualcosa, di cimentarsi in una sfida. Perché no, perché non provarci, perché non rischiare, ecc.
Mi chiedevo, però, perché non esista l’espressione opposta “Perché sì?”.
In altre parole, se è comune la tendenza a “buttarsi”, a mettersi in gioco, a osare una trasgressione, al “perché no” generalizzato, manca invece sempre più l’opposta tendenza a rifletterci su, a ragionare, a chiedersi se valga la pena di “buttarsi” e trasgredire sempre e comunque; insomma, non ci si chiede, in genere, perché si debba dire sì a tutto, osare tutto, fare tutto.
Ma forse, vista anche la fine del povero Perkeo, sarebbe il caso di chiedersi, ogni tanto: “Perché sì?”.