Sabato 23 dicembre 1967 la nazionale italiana a Cagliari travolse la Svizzera per 4-0, facendo un importante passo avanti nel girone di qualificazione ai campionati europei del 1968 (che poi vincemmo).
Di quella partita conservo il ricordo nel mio immenso archivio; ho il numero del “Corriere della Sera” in cui Gino Palumbo e Nino Oppio commentavano la partita, riconoscendo in particolare il contributo fondamentale di Gigi Riva, che quella sera fu definito dal commissario tecnico svizzero Alfredo Foni “la migliore ala sinistra del mondo”.
Nino Oppio sintetizzava così la partita di Riva (che realizzò il secondo gol di quell’incontro al 13’ del 1° tempo): «Una furia scatenata su ogni pallone. Il primo gol è uscito da un suo tiro sfuggito al portiere, il secondo l’ha realizzato lui. Poi ha colpito un palo e ha costretto Kunz a grandi parate. Un vero uomo-gol: con un piede solo, purtroppo. Guai se nel destro avesse la stessa potenza che possiede nel sinistro. Ha provato, un paio di volte, o calciare col “piede matto”: ma la palla è andata lenta verso la porta o fuori. Comunque, basta così. Lui avrebbe voluto dare di più alla “sua” folla. Era caricato, forse anche un po’ nervoso per la ricerca continua del gol. È giocatore di straordinaria potenza atletica. Pfirter ha dovuto dannarsi per frenarlo a volte aiutato da Tocchello, oltre dal “libero” Michaud. Riva è l’uomo-dinamite che mancava alla nazionale dall’attacco fragile. Oggi avrebbe potuto segnare anche di più, in qualche occasione ha avuto sfortuna. Però, non dimentichiamo che, nelle ultime tre partite azzurre, ha segnato sei gol: più della metà dell’intero bottino. Continui pure così».
Gino Palumbo, poi, nella sua cronaca della partita confermava l’impressionante contributo del grande attaccante alla vittoria azzurra: «Gli elvetici hanno subito perduto il controllo del centro campo […] e sono stati costretti a subire per l’intero primo tempo la rabbiosa iniziativa degli azzurri. L’interprete principale di quella iniziativa è stato Riva, un calciatore che rappresenta una forza scatenata, irresistibile, della natura. Un attaccante potente come Riva mancava da decenni al calcio italiano. Forse non c’è mai stato: Foni lo confronta a Levratto ma lo ritiene superiore. Gli svizzeri affermano che non esiste attualmente in Europa un goleador del suo stampo. Gli avessero insegnato a calciare anche di destro, non avrebbe rivali nel mondo. È un giocatore tipicamente britannico, ma neanche la nazionale inglese ne possiede uno simile. Quando il pallone arriva nella sua zona, comunque arrivi, il giocatore lo fiuta, si inarca, si avventa; se gli concedono dieci centimetri di spazio, c’è un tiro che parte. Se il pallone arriva dall’alto, lui si eleva quasi sempre più di tutti, e schiaccia di testa verso rete. Lo accusano di essere un egoista; vuole essere sempre lui a concludere le azioni; vede poco i compagni. Qualcosa di vero c’è: difficilmente dialoga, spesso intralcia gli attaccanti di altri ruoli (oggi lo ha fatto più di una volta con Mazzola), ne occupa il posto. Ma non si tratta di un disegno programmato: è l’istinto che lo guida. Chi pretendesse di disciplinare Riva adesso, mentre è nel pieno della sua esplosione, fallirebbe; o se vi riuscisse, ridurrebbe malamente l’efficienza del giocatore».
La cronaca di Palumbo si concludeva con l’elogio del pubblico sardo: «Indipendentemente da ogni altra considerazione. la vittoria rallegra anche perché ha premiato l’entusiasmo della folla cagliaritana e la toccante ospitalità dei sardi. Per la prima volta, dopo molti anni, abbiamo sentito cantare in coro, allo stadio, il nostro inno nazionale, mentre la banda ne eseguiva le note. Con questo spirito la Sardegna ha accolto Italia-Svizzera»; l’osservazione sull’inno nazionale è interessante storicamente, perché in effetti in quegli anni di “contestazione” l’Inno di Mameli era caduto in bassissima fortuna e allo stadio nessuno lo cantava più.
Pochi mesi dopo, nella finale del 10 giugno 1968 a Roma, fu Riva a segnare il primo dei due goal con cui gli azzurri sconfissero la Jugoslavia, laureandosi campioni d’Europa.
Il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, avuta notizia della scomparsa di Luigi Riva, ha disposto il lutto regionale sino al giorno dei funerali. Può sembrare strano o esagerato un simile omaggio a un calciatore; potrebbe sembrare un caso di esaltazione collettiva, simile alle manifestazioni di delirio per Maradona o Pelè.
Ma non è così, perché la Sardegna “è stata scelta” da Gigi Riva, che ne è diventato figlio adottivo e bandiera. In un’intervista dell’anno scorso, Riva dichiarò apertamente: «Io ero una persona chiusa, avevo avuto un’infanzia tragica, i miei genitori erano mancati presto. […] Io sono sardo perché sono di poche parole, spesso e volentieri ho il muso, mi preoccupo per i problemi di questa terra bellissima e reagisco a modo mio. […] Quello che ha reso per me tutto speciale è che ero sardo tra i sardi: ovunque andassi, da Alghero o Sassari a Cagliari, ero uno di loro».
Per questo amore vero, forte, incrollabile, rifiutò offerte miliardarie da club blasonati come Inter e Juventus, preferendo restare sempre nella squadra del Cagliari, che condusse allo scudetto nel campionato 1969-1970. Chi farebbe ora una simile scelta, in questa epoca di avidi mercenari, privi di ogni legame affettivo con le loro squadre e pronti a cambiare casacca alla migliore offerta economica?
Come scrisse allora il grande Gianni Brera (che lo soprannominò “Rombo di Tuono”), «Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. Fu l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano. […] La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso».
Mia madre, che non seguiva il calcio, era “innamorata” di Riva: aveva occhi solo per lui, leggeva con interesse le cronache che lo riguardavano, tifava per lui seguendone le partite. Per me questo era strano e incredibile; ma capisco, ora, che questo era un altro piccolo ulteriore miracolo del leggendario “Rombo di Tuono” di Leggiuno.
Con Gigi Riva sparisce non solo un grande calciatore, ma soprattutto un uomo di esemplare onestà, semplicità e correttezza, un personaggio schivo e al tempo stesso prezioso per il suo esempio di vita; basterebbe ricordare i suoi gravi infortuni, entrambi avvenuti mentre giocava in nazionale (il 27 marzo 1967 a Roma contro il Portogallo e il 31 ottobre 1970 durante Austria-Italia a Vienna), per evidenziare il contrasto impietoso con quei giocatori che, oggi, cercano di evitare ogni “rischio” durante le partite della nazionale pensando invece ai milioni di euro che vengono loro assicurati dai club di appartenenza…
In definitiva, in questa barbara epoca in cui stiamo tornando, a livello umano, all’età della pietra (pietra tecnologica, ma pur sempre pietra), la scomparsa di un personaggio straordinario come Riva ci impoverisce ulteriormente e ci lascia tutti più soli.