La Zisa, patrimonio della disumanità

A Palermo il palazzo della Zisa (dall’arabo “al-ʿAzīza”, ovvero “la splendida”), patrimonio Unesco dell’umanità, costituisce una delle più splendide testimonianze della millenaria storia del capoluogo siciliano.

Come si legge nel sito https://www.arabonormannaunesco.it/il-sito-monumenti-palazzo-della-zisa/, «tra il 1165 e il 1180, il desiderio di creare una residenza regale di eccezionale comodità e perfezione artistica portò alla realizzazione della “Zisa”. Fondato da re Guglielmo I nel 1165 e completato sotto il regno di Guglielmo II circa nel 1190, il palazzo si ergeva al di fuori delle mura dell’antica città di Palermo, distinguendosi come il monumento più significativo e rappresentativo del Genoardo. Quest’ultimo, dall’arabo “jannat al-ar”, che significa “giardino” o “paradiso della terra”, rifletteva l’ispirazione ai giardini di ascendenza islamica, caratterizzando il territorio subito fuori dalla città normanna di Palermo. Nel corso dei secoli, il palazzo ha subito varie trasformazioni, con la più significativa nel 1635 quando vennero apportate aggiunte in stile barocco sotto la direzione di Giovanni Sandoval. Nel XIX secolo, la Zisa è passata agli eredi dei Notarbartolo principi di Sciara, che hanno apportato ulteriori cambiamenti. Nel 1951, è stata espropriata e acquisita dal demanio regionale, subendo successivamente opere di restauro e rimozione delle aggiunte barocche. Oggi, la Zisa è aperta al pubblico e ospita il Museo d’Arte Araba, che espone una pregevole collezione di manufatti islamici provenienti da Palermo e dal Mediterraneo. Il palazzo è stato riconosciuto come Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO dal 2018».

I giardini della Zisa (qualche anno fa…)

Ebbene, oggi questa straordinaria testimonianza di arte e cultura affonda nel degrado e nella vergogna per colpa dell’incuria, del menefreghismo, dell’inefficienza e della barbarie.

Avevo già avuto questa sensazione l’altro ieri, passando davanti al meraviglioso castello e vedendo davanti ad esso cumuli di immondizia e sporcizia di ogni tipo, tra zaffate di odori nauseabondi; un contesto in cui si percepiva nettamente la totale assenza della cura e del rispetto che ogni “patrimonio dell’umanità” dovrebbe avere.

Oggi la mia sensazione è confermata da un articolo di Francesco Patanè pubblicato sull’edizione palermitana di “Repubblica” e intitolato “I giardini della Zisa monumento al degrado tra incuria e sporcizia”.

Il giornalista inizia decantando la bellezza del sito: «Il castello e i giardini della Zisa sono una delle sette meraviglie del percorso arabo-normanno riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Raccontano una storia quasi millenaria, testimoniano l’antico splendore di Palermo sotto il re normanno Guglielmo I e dovrebbero essere invasi dai turisti come e più della cappella Palatina, di Palazzo reale, della cattedrale o dei Quattro canti».

Subito dopo, però, viene descritta impietosamente la situazione attuale del castello e dei giardini: «sono entrambi deserti, snobbati da turisti e da chi li guida per la città. Il motivo è l’incuria, l’abbandono, la sporcizia, i continui atti vandalici e più in generale l’assenza di valorizzazione di un sito culturale unico al mondo, come molto spesso capita con i tesori di questa città».

Il degrado alla Zisa

Le guide turistiche, come riferisce l’articolo, si rifiutano di portare i turisti alla Zisa, vergognandosi dello spettacolo che si offre ai loro occhi: infatti «i giardini davanti al castello sono in condizioni pietose, ridotti a discarica di rifiuti di giorno e a gabinetto all’aperto la notte. Non c’è acqua nel meraviglioso sistema di fontane che permetteva di refrigerare anche il castello. Ci sono invece cumuli di immondizia, erbacce, persino una bicicletta abbandonata».

Cumuli di rifiuti a pochi passi dal castello della Zisa

Il parco, che era stato riaperto nel 2005 lasciando stupefatti i visitatori, versa in condizioni pietose: «Oggi di quella meraviglia resta poco o nulla. Niente zampilli, solo. Vasche vuote e rifiuti. Appena si entra ci sono transenne abbattute e divelte che servono a delimitare le zone abbandonate con staccionate sfasciate, scritte sui muri, passerelle pedonali pericolanti».

Ci si può chiedere allora chi debba curare la manutenzione del sito: ma l’unico dipendente intervistato dal giornalista, “comodamente seduto sotto l’ombra di un albero”, afferma quanto segue: «Noi dipendenti della Reset abbiamo solo il compito di controllare di giorno, il nostro è solo un compito di portierato. […] La responsabilità della cura dei giardini, della manutenzione delle fontane della pulizia “è delle maestranze comunali del settore verde e giardini, ma il problema non sono loro, è che qui non funziona nulla e la notte entra chi vuole senza controllo”».

Infatti, come prosegue l’articolo, «Non funzionano i bagni pubblici e un odore nauseabondo accoglie i turisti che scelgono di vedere i giardini dopo aver ammirato il castello». Non basta ancora: «Manca l’acqua anche per irrigare i giardini, buona parte del prato è secca, funzionano solo due o tre irrigatori, gli altri se li sono rubati di notte. La struttura è sporca ma intatta e ripristinare le fontane con i loro giochi sarebbe relativamente semplice se non fosse che le pompe per mandare in circolo l’acqua (sempre la stessa che si ricicla) in parte sono fuori uso e in parte sono state rubate».

Un ulteriore paradosso è la diversificazione delle competenze, per cui la cura del giardino spetta al Comune e quella del castello alla Regione, «con tutti i problemi e le difficoltà di due padroni per un sito, a cominciare da quello della guardiania».

Il problema maggiore è la sorveglianza: «Se oggi i giardini della Zisa sono in condizioni impresentabili è colpa soprattutto dei continui raid vandalici notturni. Dalle 19 in poi non c’è più nessuno che controlla ed entrare è un gioco da ragazzi. Di telecamere nemmeno l’ombra e i gruppi di giovani tutte le notti si appropriano indisturbati di fontane, panchine e prati». Come dice Assuntina Barbagallo, residente in via Whitaker proprio davanti ad una delle entrate del castello, per risolvere qualcosa basterebbe un guardiano notturno; e aggiunge: «La vera questione è quel cestino dell’immondizia stracolmo da settimane in mezzo alla piazzetta appena riqualificata. Ho chiamato Rap, Comune e vigili per tre giorni. Ed è ancora lì, ad accogliere quei pochi turisti che ancora visitano il castello».

In questo contesto allucinante, Pietro Alongi, assessore al Verde del comune di Palermo, garantisce un imminente ripristino delle fontane della Zisa e afferma (non si sa come) che «il personale è già al lavoro per ripulire e ripristinare le zone degradate».

Questa è Palermo oggi. E questo non avviene solo alla Zisa.

I tantissimi turisti che si aggirano per la città nonostante l’afa insopportabile, pur vedendo la bellezza dei monumenti e le numerose testimonianze di una storia millenaria ricca come poche altre al mondo, camminano tappandosi il naso per ripararsi dal fetore delle strade, restano allibiti di fronte al degrado universale e alla sporcizia incommensurabile, si meravigliano dell’indifferenza dei palermitani.

 E se anche trovano qualcuno che si unisce alle loro lamentele, non si va mai oltre la denuncia di una realtà ritenuta immodificabile; il fatto è che non si tratta di un problema privato (per il quale ogni siciliano darebbe subito il meglio di sé per trovare una soluzione), ma una questione pubblica, cioè “di altri”, per cui “c’è chi ci deve pensare”. E amen.

Amen all’Unesco.

Amen ai patrimoni dell’umanità.

Amen a Palermo, che per gli arabi era “Ziz”, il fiore, la splendente.

A questo punto, propongo di ribattezzare la Zisa come “patrimonio della disumanità”, di quella disumanità dilagante che ormai domina la nostra città (e la nostra epoca).

Conseguentemente, la sigla “Unesco”, palermitanizzata, potrebbe diventare “Io non esco (di casa)”; tanto, che cosa dovrei andare a vedere, ad annusare e a sentire?

Meglio starsene dentro.

Il danno è fatto, Palermo continua ad essere assassinata.

Palermo è morta. Viva Palermo e Santa Rosalia!

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *