Come era delizioso andar sulla carrozzella…

A Palermo la tradizione delle carrozzelle trainate da cavalli è antichissima; alla fine del Cinquecento i “Cocchieri” prestavano la loro opera presso le case aristocratiche e vestivano in livrea, si riunivano in corporazioni e avevano istituito una “Venerabile Confraternita dei Cocchieri”; a Palermo esiste ancora la chiesa di Santa Maria dell’Itria dei Cocchieri, edificata nel 1596 dalla corporazione dei cocchieri come cappella di preghiera sulle preesistenti cripte, lungo la “ruga magistra” della Kalsa (odierna via Alloro).

In seguito, i cocchieri dipendenti delle varie casate si riconvertirono in vetturini al servizio del pubblico; furono allora chiamati “gnuri”, termine che ha un’etimologia incerta: per alcuni deriva da “ignorante” (e semmai viene inteso nel senso eufemistico che i cocchieri nel ‘700 accompagnavano le dame ai loro appuntamenti galanti facendo appunto gli “ignari”, gli gnorri), per altri è diminutivo da “signuri” (nel dialetto eoliano “gnuri” era il proprietario terriero), per altri ancora (meno attendibilmente) è “quello che passa ogni ora”.

Negli anni anteriori al boom economico la carrozza era il mezzo di trasporto più diffuso a Palermo: un reportage di Francesco Rosso, pubblicato il 23 giugno del 1963 dal quotidiano “La Stampa”, precisava che in città circolavano ben 667 carrozze (e invece soltanto 138 taxi).

Gli “gnuri” sostavano in vari punti della città, seduti a cassetta e indossando un grembiule nero per difendersi in inverno dal freddo e dalla pioggia, ma dovevano spesso difendersi anche dagli scherzi dei passanti; infatti, per richiamare l’attenzione del cocchiere, gli si chiedeva: “Gnuri, libero è?”; e se lui rispondeva di sì, si replicava scherzosamente: “Viva a libertà”. Un’altra provocazione scherzosa consisteva nel far notare allo “gnuri” la presenza di una fantomatica ruota sgonfia: “Gnuri, avi a ruota sbuncia”; la risposta era una raffica di insulti e parolacce.

I posti per i passeggeri erano sei: all’interno della carrozza ce n’erano quattro (due dietro al conducente, quasi spalla contro spalla, e due di fronte ai precedenti); due altre persone potevano sedere a cassetta, accanto al cocchiere: per questi ultimi passeggeri c’era sì il vantaggio di dominare la strada e di seguire da vicino l’attività dello “gnuri”, ma non mancavano due controindicazioni micidiali: le frequenti evacuazioni “in diretta” da parte degli animali e anche gli “effetti sonori” corporei prodotti dai vetturini stessi a causa delle frequenti “scaffe” (le buche). Da lì derivò la famosa frase: “‘Gnu’, scaffi scaffi”, con la quale i clienti avvertivano il cocchiere sperando che questi riuscisse in tempo, con un’abile manovra, a scansare la scaffa e le sue mefitiche conseguenze; ma siccome evidentemente le scaffe erano (e sono) troppe, c’era un secondo motto più cinico che recitava “Ma va sùcati i pìrita ru gnuri”…

Un altro detto era quello con cui i mariti esortavano il conduttore a non evitare le scaffe, anzi a prenderle in pieno, per deliziare così la loro consorte: “Gnuri, pigghiàssi scaffi-scaffi, ca’ me mugghieri s’annàca”; c’era anche la variante prematrimoniale (“a me zita s’annàca”).

Gli “gnuri” adoperavano assiduamente la “zuotta” (cioè la frusta), sia per incitare gli animali sia per cacciare via (appunto con una “zuttata”) i ragazzini, che si ancoravano all’asse posteriore delle carrozze per viaggiare a sbafo o semplicemente per fare una bravata. In queste occasioni i passanti o altri ragazzini facevano la spia gridando: “Gnuuriii, ‘i rarrièri ‘i rarrièri!” (“cocchiere, di dietro, di dietro!”); allora lo “gnuri” fiondava frustate “all’orbigna”, gridando “A cu pigghiu pigghiu”, ma la “zuttata” quasi sempre andava a vuoto, vista l’abilità dei “picciriddi”, che scappavano via sbeffeggiando il vetturino.

Le carrozze si trovavano un po’ ovunque e conducevano dappertutto; si doveva contrattare la tariffa, ma il servizio era efficientissimo e abbordabile per tutte le tasche.

Io ho ricordi nitidi delle carrozzelle di Bagheria alla fine degli anni Cinquanta: stavano a piazza Madrice e scendevano per il corso Butera dirette al cimitero o ad Aspra e ai paesi vicini (Santa Flavia, Casteldaccia, la Milicia); a volte addirittura gli “gnuri” baarioti conducevano in carrozza i clienti a Palermo dalla stazione di Bagheria e viceversa.

Noi prendevamo la carrozzella in varie occasioni, ma in particolare per andare al Lido Olivella: da bambino, sedevo con mio padre accanto al conduttore e mi godevo il percorso (immancabile mega-evacuazione cavallina inclusa). Il cocchiere ci lasciava a metà della strada che unisce Santa Flavia a Porticello e noi dovevano scendere a piedi per lo “sciddicaloro” che conduceva al mare, sotto il “pico” del sole; al ritorno, la carrozza si faceva trovare all’ora stabilita nello stesso posto, sempre puntualissima.

Come è noto, le carrozzelle ebbero la loro più celebre esaltazione in una canzone del 1939, “Sulla carrozzella”, composta da Gino Filippini e Riccardo Morbelli ed eseguita dal cantante fiorentino Odoardo Spadaro; la canzone fu ispirata dal razionamento della benzina, che aveva rilanciato il settore delle carrozzelle. Il testo segnalava, già allora, l’incalzare del progresso: «Oggi la carrozza può sembrare / un curioso avanzo dell’antichità. / Tutti voglion correre e volare, / Amano soltanto la velocità». Però c’era una doverosa eccezione: «Se però tu sei con la tua bella / sul tassì di certo non la porterai, / però sopra ad una carrozzella / col tuo dolce amore a passeggio andrai».

Il ritornello era famosissimo: «Come è delizioso andar / sulla carrozzella, / e sulla carrozzella / sotto braccio alla tua bella. / A cassetta sta il cocchier, / né ci perde d’occhio, / guarda dentro il cocchio, / poi sorride e chiude un occhio». In questo contesto, gli innamorati se la scialavano: «Lenta se ne va la carrozzella / che mi porta a spasso col mio dolce amor. / La serata è calma e tanto bella / e felici tanto sono i nostri cuor. / Tornerem che in cielo c’è la luna, / tante tante cose dolci ti dirò. / Conterem le stelle ad una ad una / e per ogni stella un bacio ti darò» (e meno male che a quei tempi di stelle se ne vedevano di più nel cielo; e anche se non si vedevano, si immaginavano…).

E oggi?

Oggi il settore si è ridotto enormemente, a causa di tanti fattori: la capillare disponibilità dei mezzi privati, l’alternativa (in realtà a Palermo poco accattivante) dei mezzi pubblici, le tariffe esose e ingiustificate dei cocchieri (un breve giro può oggi costare oltre 50 euro).

Inoltre, diversi incresciosi episodi hanno causato le proteste degli animalisti: il 30 settembre del 2016, come riportava il “Corriere della Sera”, il cavallo di uno dei cocchieri si accasciò morto a piazza Massimo (e in quella circostanza gli “gnuri” avevano polemizzato con il Comune, colpevole di non aver fornito adeguati spazi di sosta con pensiline ad hoc per i cavalli); inoltre il 17 agosto scorso la direzione della Reggia di Caserta ha fermato le carrozze trainate da cavalli, a causa della morte di un animale per il caldo atroce.

In quest’ultima occasione, Maria Vittoria Brambilla, deputata di Forza Italia e presidente-fondatrice della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente, ha dichiarato: “Ora si abbia il coraggio di fermare, in tutto il Paese, i veicoli a trazione animale: diciamo basta per sempre a carrozzelle, botticelle e fiaccherai! […] Chiedo al parlamento di approvare, al più presto, non solo la mia proposta di legge di modifica del codice della strada, che consentirebbe di abolire il servizio di piazza con veicoli a trazione animale”.

C’è da augurarsi però che si trovi una soluzione che possa conciliare le esigenze di tutelare la salute degli animali con il mantenimento di un’antica tradizione, che sarà pure “anacronistica” (come la definisce la Brambilla) ma mantiene intatto il suo fascino e dovrebbe essere solo regolamentata e organizzata nel modo più logico e sicuro.

Già che ci sono, vorrei rivolgere un invito agli “gnuri” palermitani superstiti: se, anziché pretendere cifre esorbitanti dai pochi clienti o dai turisti sprovveduti, chiedessero pochi euro a persona per un giro di venti minuti, sicuramente lavorerebbero di più, anche con utenti occasionali, invogliati dal prezzo abbordabile. Io stesso mi farei un giretto volentieri (l’ultimo a mia memoria l’ho fatto in una bella carrozzella di Seefeld, in Austria, dove le tariffe erano ragionevolissime e il giro del paese era incantevole). Basterebbe un po’ di mentalità imprenditoriale…

A proposito delle due immagini che ho allegato, quella iniziale immortala uno “gnuri” con tanto di grembiule nero e frusta, mentre l’altra (qui di seguito) è uno scatto del fotografo francese Patrice Molinard (che nel 1957 illustrò l’opera “La Sicile” per la collana “Couleurs du Monde”) e mostra una carrozza nei pressi della chiesa di San Cataldo.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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