I pupi di Palagonia

Due foto dell’estate del 1963, che mi ritraggono davanti ai Pupi di Palagonia, a Bagheria, presso una delle entrate della celebre “Villa dei Mostri”.

Come è noto, la villa fu costruita a partire dal 1715 per conto di Francesco Ferdinando Gravina e Bonanni, principe di Palagonia, che volle farne luogo di svago e villeggiatura.

La costruzione fu affidata all’architetto Tommaso Maria Napoli, frate domenicano, e poi all’architetto Agatino Daidone. A Francesco Ferdinando II, nipote del precedente, si deve poi la realizzazione delle numerose statue grottesche e del curioso arredamento della villa, che la rese famosa in tutta Europa: si diceva che il principe fosse molto brutto, per cui – quasi per vendicarsi contro il fato crudele – volle circondarsi di queste immagini mostruose, al cui paragone poteva risultare bello come un Adone… (in realtà, a vederne il ritratto, la sua bruttezza sembra ragionevolmente nella media).

L’ingresso principale della villa si trovava su corso Butera (il corso che sale dalla stazione ferroviaria al centro del paese) ed era formato da un lungo viale (oggi via Palagonia), cinto di muri e fiancheggiato da alberi di alto fusto, al quale si accedeva tramite tre portoni (tre archi incompleti oggi demoliti); da qui si snodava un lungo viale adornato da una fitta schiera di statue caricaturali, di cavalieri o animali (cani, scimmie) e di buffi nani di pietra d’Aspra, montati su piedistalli con terrazzini di varia forma.

A metà si trovava (e si trova ancora) l’arco trionfale detto anche “del Padre Eterno” (recentemente restaurato); dal viale, divenuto strada urbana, sono sparite purtroppo da moltissimi anni le tante statue che lo adornavano. Una ricostruzione dello splendido viale si vede nel bellissimo film “Baarìa” di Peppuccio Tornatore (2009).

Il viale della villa ricostruito nel film “Baaria”
Io davanti all’arco del Padre Eterno (in bagherese “Patatiennu”): estate 1965. Sullo sfondo la preparazione dell’estratto di pomodoro.

L’ingresso che si vede nelle foto dà invece su Piazza Garibaldi (ma comunemente si dice “a Palagonia” per indicare quella piazza). I due “pupi” sono due grosse statue di nani, scolpite in pietra ammonitica, che – come scrive Oreste Girgenti – “sembra che facciano da sentinelle al Palazzo”.

Nella primavera del 1787 la villa fu visitata da Goethe, che ne rimase profondamente colpito e nel suo “Viaggio in Italia” ricordò le statue che vi aveva visto: «mendicanti dei due sessi, spagnuoli e spagnuole, mori, turchi, gobbi, deformi di tutti i generi, nani, musicanti, pulcinella, soldati vestiti all’antica, dei e dee, costumi francesi antichi, soldati con giberne e uose, esseri mitologici con aggiunte comiche […], cavalli con mani d’uomo, corpi umani con teste equine, scimmie deformi, numerosi draghi e serpenti, zampe svariatissime e figure di ogni genere, sdoppiamenti e scambi di teste”. E aggiungeva: “Immaginate tali figure a bizzeffe, senza senso e senza ragione, messe assieme senza scelta né discernimento, immaginate questi zoccoli e piedistalli e deformità allineate a perdita d’occhio: e proverete il penoso sentimento che opprime chi si trova a passare sotto le verghe da questa follia”.

Non a caso il poeta e drammaturgo palermitano Giovanni Meli (1740-1815) dedicò alla villa, fra l’altro, un celebre epigramma, nel quale Giove, che pure aveva creato molti mostri, rimane allibito e sconfitto dalla fantasia creativa del principe di Palagonia: «Giovi guardau da la sua reggia immensa / la bella Villa di la Bagaria, / ùnni l’arti ‘mpitrisci, eterna e addensa / l’aborti di bizzarra fantasia. / “Viju – dissi – la mia ‘nsufficienza; / mostri n’escogitai quantu putìa; / ma duvi terminau la mia putenza, / ddà stissu cuminciau Palagonia!”.». E anche lo scienziato scozzese Patrick Brydone nel suo “Viaggio in Sicilia ed a Malta” (1770) scriveva che “Il Palazzo Palagonia, per la sua bizzarria, non ha l’uguale sulla faccia della terra… Pare di essere capitato nel paese dell’illusione e dell’incantesimo”.

In una scena del già ricordato film “Baarìa” viene riecheggiata un’antica credenza superstiziosa a proposito dei “Pupi” di Palagonia. Sarina e la figlia Mannina tornano a casa; la ragazza, come si legge nella sceneggiatura di Tornatore, “procede lentamente, per via dell’avanzata gravidanza”. A un certo punto Mannina rivolge lo sguardo alle due grandi figure allegoriche; la madre, terrorizzata, le mette subito una mano sugli occhi: “Figghia mia, ma chi ffa’? ‘Un taliari!” (“Figlia mia, ma che fai? Non guardare!”). Mannina chiede perché e Sarina risponde: “’I fimmini interessanti, si talìanu i mostri ri Palaùnia, fannu figghi menzi chistiàni e menzi armàli” (“Le donne in stato interessante, se guardano i mostri di Palagonia, fanno figli mezzi cristiani e mezzi animali”). Inorridita, Mannina grida: “Ah… Beddamatri!”; quindi “gira il viso dall’altra parte, portando istintivamente le mani a proteggere il grembo. Sarina la prende per un braccio e la trascina lontano da quel luogo”.

Margareth Madè nel ruolo di Mannina (“Baaria”)

Quando ero “picciriddu”, come ai tempi delle due foto, era normale fare una “passiata” fino “a Palagonia”: salendo da Via Leonforte (casa dei nonni paterni) o da Via Ciro Scianna (abitazione dei nonni materni) raggiungevamo Corso Umberto (lo “stratunieddu”); qui giravamo a sinistra in direzione di “Palagonia”. Era immancabile la sosta al chiosco di don Gino Codogno, di fronte l’entrata della villa, per bere una bibita fresca o per gustare un cono gelato (da 10 lire). Si dava un’occhiatina riverente alle due sentinelle di pietra, si facevano – se necessario – i debiti scongiuri e poi si continuava un po’, fino a trovare la campagna (non esisteva ancora la via Diego D’Amico). L’assenza totale di traffico consentiva di sentire le voci delle persone, la parlata in stretto dialetto “baarioto”, qualche sobbalzo di carretti, l’abbaiare di qualche cane senza microchip. Si incontravano tante persone, ci si salutava, si scambiavano quattro chiacchiere: era un mondo in cui la diffidenza reciproca era infinitamente minore, un mondo “a misura d’uomo”, più cordiale e affettuoso nei rapporti interpersonali.

E forse anche i Pupi di Palagonia, a quel tempo, senza inquinamento acustico e ambientale, senza subire le offese dissacranti della modernità, erano più a loro agio e svolgevano con meno perplessità il loro secolare lavoro di sentinelle.

Un’altra foto che mi ritrae coi Pupi di Palagonia: estate 1962

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

2 commenti

  1. Caro Mario,
    Spesso mi ritrovo a leggere il tuo blog e ogni volta mi stupisco della quantità di informazioni, commenti, aneddoti che tu inserisci e mi incuriosisco per qualche testimonianza siciliana, per i ricordi di Genova, per i tuoi commenti sull’ attualità , per le considerazioni storiche o culturali…un intero universo che ti appartiene e che ti piace condividere. . complimenti !
    Fa piacere entrare in un blog che non contiene banalità ma tanti spunti di interesse e possibiltà di riflessione.
    Un saluto da Genova

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