“Per me non dorme amore in nessuna stagione”: un frammento di Ibico di Reggio

Ibico nacque intorno al 580 a.C. a Rhegion (oggi Reggio Calabria), colonia calcidese in Calabria. Fu di stirpe nobile e secondo gli antichi abbandonò la sua città per non farsene tiranno; ma proprio presso le corti dei tiranni dell’epoca svolse poi la sua attività di poeta itinerante: fu dapprima in Sicilia e poi (intorno al 564-561 a.C.) a Samo, dove celebrò in un encomio (cfr. 151 Davies) la bellezza del giovane Policrate, futuro tiranno dell’isola.

Alla sua corte (presso la quale giunse poi anche Anacreonte), Ibico si dedicò alla poesia erotica e simposiale (nella prima fase della sua attività, invece, aveva realizzato carmi lirico-narrativi di tipo “stesicoreo”).

Non si sa come e dove il poeta reggino morì; sicuramente, però, come attestano i suoi componimenti, visse sino ad età tarda. Secondo la tradizione, fu sepolto a Reggio, sua città natale.

Il frammento 286 D. si basa sull’antitesi fra la rappresentazione realistica di un giardino (κῆπος) sacro alle Ninfe, nel pieno rigoglio della primavera (vv. 1-6), e la condizione del poeta (vv. 6-13) costantemente “custodito” (φυλάσσει, v. 12) da Eros, il dio appassionato ed impetuoso come il vento del nord.

Eccone il testo, seguito dalla traduzione di Gennaro Perrotta:

Ἦρι μὲν αἵ τε Κυδώνιαι

 μηλίδες ἀρδόμεναι ῥοᾶν

 ἐκ ποταμῶν, ἵνα Παρθένων

 κῆπος ἀκήρατος, αἵ τ’ οἰνανθίδες

 αὐξόμεναι σκιεροῖσιν ὑφ’ ἕρνεσιν            

 οἰναρέοις θαλέθοισιν· ἐμοὶ δ’ Ἔρος

 οὐδεμίαν κατάκοιτος ὥραν.

†τε† ὑπὸ στεροπᾶς φλέγων

 Θρηίκιος Βορέας

 ἀίσσων παρὰ Κύπριδος ἀζαλέ-                             

 αις μανίαισιν ἐρεμνὸς ἀθαμβὴς

 ἐγκρατέως πεδόθεν φυλάσσει   

 ἡμετέρας φρένας…    

«A primavera i meli cotogni,

bevute l’acque vive dei fiumi,

fioriscono nell’inviolato

giardino delle Vergini;

sotto i tralci ombrosi dei pampini

fioriscono i fiori della vite.

Ma per me non dorme Amore

in nessuna stagione:

come la bora di Tracia infiammata di folgori,

così, messaggero di Cipride,

s’avventa con le sue follie ardenti

tempestoso, sfrenato: dalle radici

possiede l’anima mia».

Ateneo (XIII 601b) riporta il frammento (traendolo dal grammatico peripatetico Cameleonte) come esempio di παιδικόν, carme erotico per un giovinetto. Ma dalla citazione risultano oscuri diversi dati: il contesto del carme; la destinazione; il rapporto con il destinatario.

Secondo alcuni l’esperienza soggettiva del poeta era espressa da un coro; si è ipotizzata anche una performance davanti ad un pubblico ristretto quale poteva essere il simposio alla corte del tiranno, in cui prevaleva il desiderio di un intrattenimento “leggero”.

Il carme allude forse ad un rito sacro stagionale, da ambientare forse nel recinto sacro di Artemide Dìktynna presso Cidonia, nell’isola di Creta; in alternativa, potrebbe trattarsi di un recinto sacro (τέμενος) delle Grazie di cui si celebrava una festa primaverile.

La rappresentazione iniziale del giardino (κῆπος) delle Vergini è improntata ad un senso di serenità e bellezza ed è molto curata a livello stilistico: l’anafora* di αἵ τε (vv. 1 e 4) apre due serie identiche formate da soggetto + participio al femminile + due termini in caso obliquo con preposizione; l’unico verbo (θαλέθοισιν, v. 6), in posizione finale, conferisce unità al periodo.

Il riferimento alla primavera trova precisi riscontri nella lirica greca (cfr. Mimnermo 2 W. e Alceo 367 V., 1: “Primavera fiorita / sento che viene. / Presto, il cratere / riempite di vino soave”, trad. Perrotta); tuttavia il modello prioritario è la descrizione omerica del giardino di Alcinoo, re dei Feaci, che costituisce un esempio di locus amoenus: “Grandi alberi rigogliosi vi crescono,/  peri e granati e meli con splendidi frutti,/ fichi dolcissimi e piante rigogliose d’ulivo./ Mai il loro frutto marcisce o finisce,/ né inverno né estate: è perenne. Sempre/ lo Zefiro gli uni fa crescere, gli altri matura, soffiando…” (Od. VII 114-119, trad. Privitera); cfr. pure la descrizione del bosco di pioppi ad Itaca (Od. XVII 208-211), il bosco di meli in Saffo (2 V., 2 ss.) e – in seguito – Teocrito XI 45-48 e 58.

Il melo cotogno

Molto netto è lo scarto al v. 6: ἐμοὶ δ’ Ἔρος si contrappone in forte antitesi* all’iniziale ἦρι μέν e preannuncia l’immagine violenta del dio “insonne” che domina l’animo del poeta. Al tempo oggettivo dell’anno (la serena primavera) si contrappone ora il tempo soggettivo dell’io lirico, devastato e incatenato dalla potenza di Eros.

In οὐδεμίαν… ὥραν (v. 7) sono da notare l’assonanza e l’omoteleuto, nonché l’antitesi con l’iniziale ἦρι; all’efficacia dell’espressione contribuiscono l’iperbato e l’ellissi del verbo.

A partire dal v. 8 all’immagine del giardino subentra quella di Eros, assimilato al vento del nord Borea; il paragone dell’amore con il vento tempestoso era già in Saffo (cfr. 47 V.).

La concitazione dell’esposizione è rimarcata da tre coppie asindetiche*: φλέγων/ἀίσσων (vv. 8 e 10), ἐρεμνὸς ἀθαμβής (v. 11), gli avverbi ἐγκρατέως πεδόθεν (v. 12).

L’intero periodo segue uno schema molto preciso, in cui Eros è descritto (attraverso termini prima insoliti per la lirica erotica) nella sua indole improvvisa ed impetuosa (ἀίσσων) e nei suoi effetti disastrosi (ἀζαλέαις μανίαισιν); il dio è “tenebroso” (ἐρεμνός) e “impavido” (ἀθαμβής), domina “con forza” (ἐγκρατέως) ed in modo assoluto (πεδόθεν) e “fa la guardia” (φυλάσσει) al cuore del poeta.

La struttura del carme evidenzia una sapiente organizzazione del pensiero, mostrando un netto distacco dai moduli compositivi arcaici e un’anticipazione delle grandi costruzioni strofiche della lirica corale.

Problematica è l’individuazione del dialetto in cui è composto il frammento; infatti si nota un pastiche altamente letterario di dorismi, ionismi ed anche eolismi. Il testo tramandato potrebbe derivare da un tentativo di normalizzazione ionico-attica (cfr. μηλίδες per μαλίδες, κῆπος per κᾶπος ecc.).

A livello stilistico, siamo ben lontani dall’essenzialità di Saffo, soprattutto per l’aggettivazione ridondante.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

3 commenti

  1. Il fascino della lirica greca, così fresca e travolgente.
    Pensa, nacque quando si fondava Agrigento e Camarina era al suo diciottesimo anno di fondazione.
    E Reggio dava i natali a un poeta simile, assimilabile ai principali esponenti della lirica greca.
    La Grecia siamo noi non è un semplice slogan, ma una realtà inconfutabile.

  2. Così bisognerebbe accostarsi alla poesia antica. Con grande competenza linguistica, ma anche con vera sensibilità interpretativa, sicché il passaggio dal livello grammaticale a quello semantico avviene senza inciampi, coinvolgendo il lettore ma radicandolo al testo. Congratulazioni!

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