“Il lupo e l’agnello” di Ademaro di Chabannes

Il monaco francese Ademaro di Chabannes (989 – 1034) fu autore di diverse opere di carattere storico; un codice della biblioteca dell’università di Leida (Codex Vossianus Latinus 8°), trascritto dallo stesso Ademaro nel monastero di S. Marziale a Limoges intorno al 1025, contiene 67 favolette tratte dall’opera di Fedro ma in gran parte rielaborate o scritte “ex novo”.

Ademaro di Chabannes

Credo sia interessante riproporre qui la celebre favola del lupo e dell’agnello, presente nella raccolta di Fedro.

Eccone la versione di Ademaro:

Lupus et agnus ad rivum venerunt. Superior lupus, longe inferior agnus. Tunc fauce improba latro incitatus iurgio dixit: «Cur turbulentam fecisti mihi aquam?». Laniger: «Quo fieri potest, dum a te liquor decurrens ad meum os venit?».  Lupus: «Ante hos menses maledixisti mihi». Respondit: «Non eram natus». Lupus: «Pater tuus maledixit mihi». Et ita correptum lacerat iniuste. Qui fictis causis innocentes opprimunt.

Traduzione:

Un lupo e un agnello giunsero a un fiume. Più sopra (stava) il lupo, molto più giù l’agnello. Allora il predone, spinto dalla sua malvagia golosità, disse per provocare una lite: «Perché mi hai reso torbida l’acqua?». E il lanuto : «Come può avvenire, finché l’acqua scorrendo verso il basso viene alla mia bocca?». Il lupo: «Sei mesi fa hai parlato male di me». Rispose: «Non ero nato». Il lupo: «Tuo padre parlò male di me». E così, afferratolo, lo sbrana ingiustamente. (La favola è scritta per) coloro che con falsi pretesti opprimono gli innocenti.

Dal punto di vista testuale, mi limito a osservare che “iurgio” è una sorta di dativo di fine (“per provocare una lite”), che semplifica ma banalizza il testo originale (iurgii causam intulit “provocò una causa di lite”).

Ben più interessante è, secondo me, una netta differenza testuale rispetto al testo di Fedro.

Nell’antico poeta latino si legge al v. 8 la seguente risposta dell’agnello al lupo: “A te decurrit ad meos haustus liquor”; il verso è stato inteso alla lettera con “l’acqua scorre da te verso i miei sorsi”. Il termine “haustus” però ha sempre creato difficoltà: infatti sembrerebbe più logico considerarlo participio perfetto del verbo “haurio”, quindi da concordare con il seguente “liquor” (“il liquido bevuto”), ma in tal caso “meos” risulterebbe isolato e incomprensibile; si è allora ritenuto “haustus” accusativo plurale del sostantivo “haustus” cioè “sorso”, ma l’espressione “ai miei sorsi” risulta insolitamente pesante.

Secondo Anastas G. Tahovski (Ad Phaedri versum I 1, 8, in “Živa Antika” 2, 1952, pp. 78-79) il testo di Ademaro, ove si legge “liquor decurrens ad meum os venit”, consentirebbe di congetturare una possibile correzione del testo fedriano; secondo lo studioso, infatti, Fedro avrebbe scritto “A te decurrit ad meum os haustus liquor”; e tra l’altro, con l’elisione, il verso risulta perfetto anche dal punto di vista metrico.

La congettura di Tahovski risulta intrigante; infatti è verosimile che Ademaro abbia omesso nel suo testo haustus, per lui difficile e superfluo, mentre d’altro canto la quasi assoluta fedeltà del monaco medievale al testo originale garantisce che egli leggesse nel suo testo di Fedro meum os e non meos.

In ogni caso, è confermata la convinzione che lo studio dei testi medievali può favorire la comprensione dei testi antichi ed una ricostruzione più precisa della loro stesura originaria.

Il prof. Ferruccio Bertini

Colgo l’occasione per ricordare che la mia conoscenza delle favole di Ademaro di Chabannes fu stimolata da un corso tenuto presso l’Università di Genova da un bravissimo docente di Storia della Letteratura Latina medievale, il prof. Ferruccio Bertini (1941-2012), da ricordare (oltre che per i tanti studi fondamentali nell’ambito medievalista), per i suoi studi plautini  (ad es. l’edizione critica con commento dell’Asinaria nel 1968) e per le sue edizioni con traduzione degli Amores di Ovidio (1983) e delle commedie di Terenzio (1988). Dal 1993 fu anche condirettore insieme con Antonio La Penna, della rivista “Maia”.

Mi piace ricordare qui del prof. Bertini, oltre alla profonda cultura e alle straordinarie capacità didattiche (le sue lezioni erano sempre appassionanti), l’affabilità e la disponibilità, unite a una sottile e simpatica ironia.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Ho conosciuto la favola de Il lupo e l’agnello nella versione di La Fontaine.
    Frequentavo la seconda media(1956-1957) e quando ascoltai la madame( la bravissima prof. di francese, Catalano, severissima, che pretendeva che in classe si parlasse in francese) dire che la raison du plus fort est toujour la milleurs mi parve veramente ingiusto, e pensai nei miei pochi anni che fosse un’invenzione dell’autore quindi fantasia, non realtà.
    Non sapevo che esistesse un termine, sopruso, a cui corrisponde un preciso comportamento.
    Mi sono imbattuta
    successivamente in questa favola tantissime altre volte per esercitarmi o fare esercitare nella traduzione dal latino, e ho sempre ripensato a quella mia prima scoperta.
    Grazie per avermi fatto conoscere la favola nella versione di Ademaro e la personalità del medioevalista Bertini che avrà sicuramente influito nella tua formazione.

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