Montalbano e i “cold cases”

Un indizio della “senilità” precoce del camilleriano commissario Montalbano è la tendenza ad occuparsi spesso di indagini “non attuali”, di “cold cases” non risolti o di enigmi privati insoluti.

Ciò vale soprattutto per Il cane di terracotta, ove il commissario scopre casualmente, in una grotta trasformata dalla mafia in un deposito d’armi, una parete posticcia che – abbattuta – rivela la presenza di due cadaveri, composti insieme e vegliati da un cane di terracotta con accanto una ciotola di monete. L’indagine conduce Montalbano a ricostruire la triste storia di due ragazzi, Mario Cunich ed Elisa Moscato, uccisi più di cinquant’anni prima, durante la seconda guerra mondiale, e pietosamente seppelliti lì da un amico di famiglia.

Anche nel romanzo La rete di protezione (2017) il commissario accetta volentieri la proposta dell’ingegnere Ernesto Sabatello di indagare sul motivo per cui il padre di questi, molti anni prima (fra il 1958 e il 1963), avesse girato ogni anno, nello stesso giorno, un filmino 8 mm. riprendendo un pezzo di muro sbrecciato che evidentemente doveva significare qualcosa.

L’ingegnere invia a Montalbano un pacco contenente le sei bobine e un proiettore; incuriosito, il commissario si appresta alla proiezione, ma – essendo negato per qualunque tipo di tecnologia – deve invocare l’aiuto di Catarella, che in queste cose invece brilla particolarmente; e infatti l’gente “in quattroequattrotto” spiega al suo superiore cosa deve fare.

La prima impressione che Montalbano riceve dalla proiezione è però uno struggente flash-back memoriale: ricorda infatti un filmino proiettato da suo padre quando lui era bambino, in cui compariva, “di spalli, e sulo per un momento”, l’immagine di sua madre, che aveva perso quando era molto piccolo: “Da ‘u sapi Dio quali profunnità del sò ciriveddro gli era tornata ‘n menti ‘na scena di quanno era picciliddro, con sò patre che proiettava un filmino superotto indove compariva di spalli, e sulo per un momento, la figura di sò matre. L’unica immagini che lui possidiva di lei e che ogni vota gli si arrapprisintava accussì, stampata nella sò testa: di spalli, coi lunghi capelli biunni che si cataminavano a leggio come il frumento sutta il vento”. La similitudine esalta il tono lirico della rievocazione nostalgica e innalza inopinatamente, come spesso avviene in Camilleri, il livello narrativo del racconto.

Montalbano, dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua per annegare la commozione, riprende la proiezione; l’immagine del misterioso muro, ripreso in anni diversi e sempre nello stesso giorno, innesca in lui l’irresistibile curiosità di venire a capo del mistero: “Se la sera avanti le parole di Sabatello l’avevano sulamenti ‘ncuriosuto, ora la sò curiosità, alla vista delle immagini, si era cangiata in pressanti bisogno d’accapiri. E nello stisso tempo in cui avvirtiva ‘sto bisogno, si fici pirsuaso che non avrebbi avuto paci fino a quanno non sarebbi stato ‘n condizioni di dari ‘na risposta logica e concreta prima di tutto a se stisso e po’, macari, all’ingigneri Sabatello. Pirchì ‘na storia accussì armava a toccare un tasto priciso della sò natura, attratta certo dalle facenne giudiziarie, ma puro, e forse soprattutto, da quella matassa ntricata che è l’anima dell’omo in quanto omo”. Montalbano capisce dunque un aspetto peculiare della sua natura, incuriosita sicuramente dalle indagini consuete, ma soprattutto attratta dal desiderio di una comprensione più profonda, relativa ai più segreti meccanismi dell’animo umano. La curiosità di Montalbano non ha nulla di pettegolo e di banale: mira invece a cogliere la vita in tutti i suoi aspetti, anche quelli apparentemente marginali e incomprensibili, con una sete di conoscenza e una profonda umanità che sono sue connotazioni peculiari.

Dopo la proiezione, Montalbano rende partecipe l’ispettore Fazio, suo prezioso e fedele collaboratore, del misterioso filmato; e inizia da parte di entrambi l’analisi delle ipotesi, la volontà di agire concretamente. Così parte un’indagine che porterà il commissario a fare piena luce su un evento doloroso avvenuto molti anni prima: il padre dell’ingegner Sabatello, in fin di vita per una grave malattia, aveva ucciso il fratello Emanuele, che aveva un grave handicap intellettivo, temendo che rimanesse solo e abbandonato; l’omicidio era avvenuto proprio davanti al muro del magazzino, poi filmato per anni “per aviri sempri presenti, vivo, laceranti quel momento di spavintoso orrori e in esso sprofunnari novamenti, chiangenno, disperannosi squasi per castigarisi, per espiari” (p. 287).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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