Nell’estate del 1973, quando avevo 19 anni, mi feci crescere – per l’unica volta nella mia vita – la barba.
L’effetto era curioso e mi rendeva simile ora a un minaccioso cospiratore carbonaro, ora a un poetastro di epoca romantica, ora a un cantante esistenzialista francese.
Il prof. Francesco Della Corte, sommo latinista e titolare della cattedra di Storia della letteratura latina all’Università di Genova, mi aveva soprannominato affettuosamente “Barbatulus” e così mi apostrofava regolarmente durante le sue lezioni (non particolarmente appassionanti quell’anno, dato che vertevano sui pesci del Mar Nero di cui parla Ovidio in uno dei suoi poemetti dell’esilio).
Più prosaicamente, una mia zia bagherese, vedendomi spuntare barbuto, aveva sentenziato, a proposito della mia barba: “Ti sta bene, ma levatilla”. E in effetti l’invito a “toglierla” giungeva da più parti, ma io resistetti tenacemente per un anno.
Infine, nella primavera dell’anno dopo, 1974, tornai glabro; e ricordo che quando il barbitonsore completò la sua opera di deforestazione, mi rimase un’espressione insolita, con un mento bianchissimo (frutto grottesco di un anno di occultamento) e una sorta di ghigno perplesso e crudele che mi faceva un po’ paura.
Dell’antico “Barbatulus” rimase solo la documentazione fotografica; del resto, “barba non facit philosophum”; figurarsi se poteva fare un futuro grecista…
Molto carino e accattivante questo articolo, come d’altronde lo sono tutti quelli che ho il piacere di leggere! Un abbraccio, mio caro vecchio amico! 😘😍
Ti ringrazio per la tua attenzione. Un abbraccio