120 anni fa, il 9 febbraio 1902, nasceva a Bagheria mio zio Nino Pintacuda, fratello maggiore di mio padre. Io però non l’ho mai chiamato “zio”: siccome lui e sua moglie, Anna Vella, mi avevano battezzato il 18 aprile 1954, io li ho sempre chiamati “padrino Nino” e “madrina Anna”.
Mio nonno Salvatore e sua moglie Giovanna Sciortino ebbero cinque figli: Giuseppina (nata nel 1899), appunto Nino (cioè Antonino, del 1902), Tommaso (1904), Francesca (1907) e ultimo mio padre, Salvatore (1916).
Ho trovato, fra le scartoffie del mio archivio, un vecchio quaderno-diario, scritto all’inizio degli anni Settanta da zia Giuseppina, che in realtà l’aveva redatto a quattro mani proprio con Nino. Nel quaderno, la zia annota – con la sua grafia di altri tempi, ordinatissima e minuziosa – diverse notizie sulla vita della famiglia: il racconto è condotto in prima persona da Nino.
Trascrivo fedelmente: «Mio padre, optimus pater familias, era un impiegato del comune di Bagheria, ma continuava il suo lavoro d’infermiere, oltre il servizio comunale, per guadagnare ancora di più (il mensile del municipio era di £. 45) oppure faceva la barba a qualche suo cliente. Cinque figliuoli da mantenere soltanto con le risorse del suo lavoro! In quel tempo non c’era né radio, né televisione che riuniva la famiglia. Quindi l’unica distrazione per Papà, dopo la fatica del giorno, era la lettura del giornale alla pallida luce del lume a petrolio».
Nino racconta così la sua prima giovinezza: «Io ero vivace, svelto e, per quanto mi dicono, intelligente. Non avevo tanto amore allo studio, ma troppa iniziativa. Mi piaceva osservare tutto, ponderare sulle cose che mi capitavano tra le mani. Mi piaceva organizzare con compagni della mia età festicciuole in onore di Santa Rosalia. Si svolgevano nella strada con corse di ragazzi, lampioncini a colori di carta velina, con finti spari di giuochi pirotecnici. Forse volevo imitare le feste religiose che si svolgevano a Bagheria o nei paesi vicini. […] Non c’erano né cineprese né proiettori. Ma io facevo ugualmente il cinema. Proiettavo al muro delle cartoline illustrate, anche colorate, e si stava a guardare, con somma attenzione, paesaggi e figure interessanti. Ho precorso i tempi e, forse, ho tramandato questa passione a mio figlio Totuccio. Amavo la musica ed ascoltavo con piacere e interesse la banda musicale che suonava nella piazza Madrice nelle solennità religiose. Anche papà amava la musica e così avviammo mio fratello Totò a questa nobile arte. [Totò era mio padre, NDA]. Non aveva ancora nove anni quando cominciò a suonare il clarinetto assieme a musicanti alti e robusti. Quando passava per le strade del paese, suonando marce e canzoni nelle feste religiose, papà guardava Totò contento e soddisfatto. Ricordi che non tramontano mai!».
A testimonianza della versatilità di Nino, ecco qui una foto del 1926 che mostra Piazza Madrice di Bagheria decorata a festa proprio da lui (con la collaborazione di suo cugino Peppinieddu): a me ricorda le scenografie che Dino Cambellotti organizzava a Siracusa per gli spettacoli classici…
Nino andò militare a Chieti; al ritorno, come annota puntualmente, era “più maturo e più saggio”. E pochi anni dopo avvenne un fatto molto grave: il nonno morì improvvisamente all’età di 68 anni (19 agosto 1929). Nino annota allora seccamente: “Ed io ho preso la direzione della famiglia».
Così, all’età di 27 anni, Nino si fece carico di questa enorme responsabilità; e fece da padre a mio padre, consentendogli di continuare i suoi studi musicali.
Cito ancora il racconto di Nino nel diario: «Crebbe sotto la mia guida e sorveglianza mio fratello Totò, ubbidiente, disciplinato, studioso. Mai un rimprovero o un castigo. Quando commetteva qualche lieve mancanza in tono severo dicevo: “Questa settimana niente Corriere dei Piccoli”; e queste mie parole erano per lui più gravi di un castigo perché amava quel giornalino».
Basta citare un episodio cruciale che si verificò alla vigilia della guerra mondiale: mio padre Totò aveva conseguito a 17 anni il diploma di clarinetto con il massimo dei voti e in seguito il diploma per strumentazione per banda e la licenza di pianoforte; si era iscritto al corso di Composizione a Palermo, ma il bravo Maestro Mario Pilati, a causa di una malattia, dovette lasciare la cattedra. Allora, come annota Nino, «la grande decisione fu presa: mandarlo a completare il corso di composizione a Milano, con il sacrificio di tutta la famiglia. Studiò con il bravo Maestro Renzo Bossi, la cui figura celebrò poi in un suo libro».
Se mio padre poté diventare quello che poi diventò (cioè un insigne musicologo, uno dei massimi studiosi di Paganini), lo dovette al padrino Nino.
Ma non è tutto: la zia Giuseppina si era laureata in Lettere poco prima della morte del nonno; aveva quindi iniziato la sua carriera scolastica, insegnando nei ginnasi. Nino scrive così: «In questo pellegrinaggio scolastico io ero il suo accompagnatore. Andavo con lei, la sistemavo presso qualche istituto religioso o in qualche buona pensione».
Nino fece l’infermiere. Aveva una lambretta con la quale girava il paese e il circondario, sempre disponibile e scrupoloso, pronto a fornire le cure a chi ne aveva bisogno, anche di domenica, senza lamentarsi mai e con uno spirito di altruismo e di sacrificio davvero esemplari. Non era attaccato al denaro minimamente e spesso non si faceva pagare quando le persone non potevano permetterselo.
Il 23 novembre 1936 sposò Anna Vella, da cui ebbe due figli: Salvatore (Totuccio, che diventò un bravissimo medico al Policlinico di Palermo) e Giovanna (che fu maestra e vive ancora a Bagheria).
Nel 1954, quando nacqui io, gli zii Nino e Anna vennero a Genova per battezzarmi; del resto mio padre aveva battezzato Totuccio, il figlio di Nino. La cerimonia, cui parteciparono pure la mia nonna materna e pochi amici, si svolse presso la chiesa di Santa Fede in Corso Sardegna. Da allora e per sempre, Nino fu per me “il padrino Nino”.
Non è possibile qui elencare ulteriormente le qualità di questa persona speciale: mi accorgo che ho parlato qui più dei meriti che ebbe verso gli altri che dei suoi; ma in fondo ciò rispecchiava la sua personalità, schiva e modesta, ma anche brillante e ricca di inventiva.
Lo zio morì il 12 maggio 1977, dopo una lunga malattia. Oggi restano cinque suoi nipoti, due dei quali non lo hanno mai conosciuto.
P.S.: questa foto mostra Nino (a sinistra) con mio padre, nel 1939. Alle soglie della guerra, il sorriso di mio padre contrasta con l’espressione seria e riflessiva del fratello, sempre consapevole delle difficoltà e sempre pronto ad affrontarle e superarle.