Il Papa, lo “sguardo dall’alto” e un componimento di Garcia Márquez che non era di Garcia Márquez

Nel corso dell’intervista andata in onda ieri sera alla trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, Papa Francesco ha citato una frase che comunemente viene attribuita a Gabriel Garcia Márquez (1927-2014): “Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro uomo dall’alto in basso soltanto quando si appresta ad aiutarlo a rialzarsi”.

Se si fa un giro su Google (cosa che sicuramente da ieri sera stanno facendo moltissime persone) si trova questa frase in quelle ineffabili serie prefabbricate di aforismi, frasi fatte, motti e sentenze cui tanti attingono a piene mani per arricchire i loro messaggi sui social e per colorarli di una parvenza culturale.

La citazione (scorretta) da Garcia Marquez

Ad esempio viene subito proposto il rinvio al sito https://aforismi.meglio.it, seguito da rimandi a www.pinterest.it, a www.frasi-celebri.net, a www.pensieriparole.it e via citando. Da questi “autorevoli” pulpiti si deduce che Garcia Márquez, il grande scrittore di “Cien años de soledad” (“Cento anni di solitudine”), premio Nobel per la Letteratura nel 1982, avrebbe scritto in punto di morte una “Lettera d’addio” ai suoi amici, diversamente intitolata “La marionetta”, da cui sarebbe tratta la frase citata.

In effetti la “Lettera” era stata pubblicata il 29 maggio 2000 sul quotidiano peruviano “La Republica” sotto il nome del famoso scrittore; in quel momento Márquez era in cura per un tumore e c’erano voci diffuse sulle sue condizioni precarie di salute. In quel contesto “La Marioneta” fu interpretato come un poema d’addio che lo scrittore aveva inviato ai suoi amici più cari a causa del peggioramento delle sue condizioni.

In realtà la paternità dello scritto fu smentita pochi giorni dopo, il 2 giugno 2000, dallo stesso Gabriel García Márquez in un’intervista al periodico mattutino salvadoregno “El Diario de Hoy”. Lo scrittore precisava che la sua salute non era peggiorata di recente e non aveva scritto quel componimento. Aggiungeva poi, con una punta di sarcasmo: “Quello che potrebbe uccidermi è che qualcuno creda che io abbia scritto una cosa così kitsch. È la sola cosa che mi preoccupa”.

Venne fuori allora che il vero autore era un comico, imitatore e ventriloquo messicano, di nome Johnny Welch (nato nel 1959).

“La Marioneta” faceva parte del libro “Ciò che mi ha insegnato la vita”, a sua volta attribuito ad un alter ego dello scrittore messicano, un burattino di nome Don Molfes.  Il libro, in realtà, era un doppio libro, che si poteva leggere sia da un verso sia dall’altro: in un senso il libro aveva il titolo “Lo Que Me Ha Enseñado la Vida” (“Quello che mi ha insegnato la vita”) ed era firmato da Johnny Welch; in senso contrario, il titolo era “Lo Que Le He Enseñado a la Vida” (“Quello che ho insegnato alla vita”), a firma di Don Molfes.

Welch aveva scritto questo testo nel 1996 e l’aveva pubblicato con il titolo “Se io avessi vita”. La poesia-racconto era stata già letta pubblicamente alla televisione cilena e alla televisione messicana, accompagnando per l’appunto le esibizioni di quella marionetta di pezza.

Dopo la smentita di Márquez, Welch chiarì che non era stato lui a mettere la poesia in circolazione su internet a nome di Gabriel García Márquez; non sapeva neppure chi lo avesse fatto e perché. Fatto sta che ne era derivata una “bufala” che, come si vede, continua tenacemente a sopravvivere.

Va detto che un episodio analogo era accaduto a Borges nel 1986. Poco prima che il grande scrittore argentino morisse, gli venne attribuita una poesia di congedo dalla vita; in quell’occasione la moglie di Borges, María Kodama, commentò seccamente: “Se avesse scritto una cosa del genere, non l’avrei mai sposato”.

In realtà il giudizio piuttosto negativo di Garcia Márquez era piuttosto ingeneroso: il testo di Welch è ben costruito e, in mezzo ad alcune considerazioni più labili e banalizzabili, presenta anche degli spunti che per lo meno inducono alla riflessione.

Uno di questi coincide proprio con la frase citata dal pontefice ieri sera nella sua intervista a Fazio, che è stata peraltro contestualizzata nell’ambito dello stalking ai danni delle lavoratrici. Infatti così ha detto Papa Francesco: «Nella società vediamo quante volte si guardano gli altri dall’alto in basso per dominarli, sottometterli, pensa soltanto a quelle impiegate che devono pagare col proprio corpo la stabilità a lavorare perché il loro capo le guarda dall’alto in basso per dominarle. È una cosa di tutti i giorni. Solo posso guardare quell’altro dall’alto in basso per farlo alzare, un gesto nobile, “alzati fratello, alzati sorella”. Un altro sguardo dall’alto in basso non è lecito, mai, perché è uno sguardo di dominazione».

Non mi sembra che ci sia stata, da parte del papa, un’esplicita citazione del controverso passo: forse il pontefice, se era al corrente della “bufala” mediatica creatasi sulla “Marionetta”, ha preferito giustamente glissare sui problemi di attribuzione di quel testo.

Al di là di ogni altra considerazione, lo sguardo “dall’alto in basso” è, comunque lo si voglia analizzare, quanto di più disumano, crudele, scorretto e irrispettoso ci possa essere. Soprattutto le persone che rivestono un qualunque potere (politico, economico, sociale, religioso, mediatico, culturale o pseudoculturale, ecc.) possono avere, e spesso hanno, l’illusione di un’onnipotenza che li autorizzi a maltrattare gli altri, a umiliarli, a disprezzarli.

Lo avevano capito già i Latini, che con il verbo “despicĕre” indicavano per l’appunto sia il “guardare dall’alto in basso” (de-spicio), sia il “disprezzare”.

Giusto è dunque l’ammonimento a non sentirsi mai “più in alto” di un altro, se non in un’ottica di comprensione e aiuto, che miri non a schiacciare gli altri in basso ma – anzi – a cooptarli alla propria altezza, a farli “rialzare” fino al proprio livello.

Tanto, come diceva Totò, la “livella” è implicita nel destino effimero di noi esseri umani.

Per concludere, vorrei citare qualche altro sprazzo della poesia-tarocco del presunto Márquez (in realtà Welch) che, come si vede, presenta qualche ulteriore spunto di riflesssione:

«Se solo per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di pezza e mi regalasse un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma in definitiva penserei tutto ciò che dico. Darei valore alle cose, non per ciò che valgono, ma per ciò che significano. Dormirei poco, sognerei di più, capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce. […]

Non lascerei passare un solo giorno senza dire, alla gente a cui voglio bene, che le voglio bene. […] Agli uomini dimostrerei quanto si sbagliano al pensare che smettono d’innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono d’innamorarsi! A un bambino darei le ali, ma lascerei che da solo imparasse a volare. Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con l’oblio. Tante cose ho imparato da voi uomini… Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità risiede proprio nel risalire la scarpata. […] Se sapessi che oggi sarà l’ultimo giorno in cui ti vedrò dormire, ti abbraccerei forte e pregherei il Signore affinché possa essere il guardiano della tua anima. Se sapessi che questa è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti bacerei, e ti richiamerei per dartene ancora. Se sapessi che questa è l’ultima volta che ascolterò la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterla riascoltare una ed un’altra volta all’infinito. […] Il domani non è assicurato a nessuno, giovane o vecchio. Oggi può essere l’ultimo giorno che vedi coloro che ami. Perciò non aspettare più, fallo oggi, perché se il domani non dovesse mai arrivare, sicuramente lamenterai il giorno che non hai preso tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio, e che sarai stato troppo occupato per concederli un ultimo desiderio. Mantieni coloro che ami vicini a te, dì loro all’orecchio quanto ne hai bisogno, amali e trattali bene, prenditi tempo per dirgli “mi dispiace”, “perdonami”, “per piacere”, “grazie”, e tutte le parole d’amore che conosci. Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per saperli esprimere; e dimostra ai tuoi amici quanto t’importano».

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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