La foto di classe

Io conservo foto “di classe” fin dalla scuola elementare.

Come si vede da questa foto che risale al 1963 (quando ero in IV elementare), eravamo bambini in grembiulino nero e fiocchetto azzurro (ma le foto erano in bianco e nero), ordinatamente seduti nei banchi, con le braccia dietro la schiena (“brac-diàs-schièn!” era l’ordine militareggiante del mio maestro Poggi, per altri versi molto paterno e gentile). Il maestro non si faceva mai fotografare con noi (non si usava).

Scuola elementare “Carbone-Pallavicini” (Genova) – Classe IV A – anno scolastico 1962/1963

Nella foto io sono a secondo banco, immancabilmente seduto accanto a Paolo Romei (siamo stati compagni di banco sino all’ultimo anno del liceo). Un compagno tiene in mano una piccola lavagnetta su cui è indicato il nome della classe (IV A) e l’anno scolastico.

Classe II D – Scuola Media “G. Parini” (Genova) – anno scolastico 1965/1966

Di anno in anno, le foto di classe mutano e si evolvono: alla scuola media “Giuseppe Parini” di Genova, nel 1966, la II D (tutta maschile) è schierata nel cortile, su tre file: i ragazzi in prima fila sono seduti su una panca, quelli in seconda fila stanno in piedi mentre quelli in terza fila, più in alto, sono disposti su una pedana; a destra posa la professoressa di Lettere (si chiamava Figini), sorridente. In questa foto diversi di noi indossano la cravatta; si usava, allora, e il ’68 era ancora di là da venire. Io sono nella fila più alta, il primo a destra.

Liceo classico “A. D’Oria” (Genova) – Classe IV H – anno scolastico 1967/1968

Al ginnasio ecco la foto di una classe finalmente mista, la IV H del Liceo classico “Andrea D’Oria” nell’anno 1968: le ragazze sono bardate da claustrali grembiuli neri, mentre noi ragazzi (come spesso avviene a questa età) sembriamo ben più gnoccoloni. In effetti le ragazze sembravano le nostre mamme (salvo a far balenare, con sapienti disvelamenti dei burka, promettenti squarci di femminilità repressa).

Io sono nella prima fila in piedi, con la cravatta, subito dietro la professoressa Bertelloni.

Non ho foto del liceo, il che dimostra che al liceo “D’Oria” di Genova la tradizione aveva subìto un black-out dovuto forse al ’68, che – tra le tante cose spazzate via – aveva forse incluso indebitamente anche la rituale foto di classe (ma erano i rituali, allora, a essere indigeribili).

Il mio archivio passa dunque alle innumerevoli foto scattate, da docente, con le mie classi in quaranta anni di carriera, dal 1979 al 2019. Credo che le mie ex alunne e i miei ex alunni le conservino ancora (queste foto difficilmente si cestinano). Ne inserisco una, scelta a caso fra tantissime.

20 maggio 1998 – La IV H del Liceo Umberto di Palermo

Negli ultimi anni, nel mio Liceo Umberto I di Palermo, il fotografo aveva escogitato la formula delle tre foto di classe, una “tradizionale” e due “pazze” (questa formula, inutile dirlo, univa il dilettevole delle due ultime foto all’utile di un prezzo totale maggiore).

“Foto pazza” della III D al Liceo Umberto (anno scolastico 2012/2013)

Nelle foto “pazze” le classi facevano smorfie, linguacce e corna, si sbracavano selvaggiamente in un liberatorio saturnale, si contorcevano esagitate e stralunate (salvo i timidoni, palesemente infastiditi da cotanto sbracamento).

L’abisso con le foto inamidate di mezzo secolo fa era enorme; ma – come direbbe Carlo Verdone – “Benedetta follia” (almeno a questa età…)!

Sono un pezzo di storia, queste foto di classe: storia privata e pubblica al tempo stesso. Sono un mix prezioso di memorie, di immagini, di proustiane “madeleine”. Fanno riemergere, da profondità della nostra memoria che credevamo ormai insondabili, speranze, timori, lacrime e sorrisi di un passato remoto nel tempo ma prossimo nei ricordi tenaci.

A distanza di molti anni, se si ha la fortuna di rivederle con un compagno di scuola o con un collega, riportano alla mente aneddoti, commemorano situazioni, inducono ad analizzare le cose con l’inutile senno di poi.

Teniamoceli cari, questi ricordi antichi: digitalizziamoli, incorniciamoli, riproponiamoli alle (più o meno disinteressate) nuove generazioni.  Poco importa che gli altri li apprezzino più di tanto: a noi basterà, riesumandoli e riportandoli in auge, di poter rivivere – anche per un attimo – i momenti della nostra più o meno antica giovinezza, facendo un meritatissimo sgarbo al tempo che fugge “invidioso”: “dum loquimur, fugerit invida / aetas”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Le foto di classe : come eravamo … come siamo oggi …il tempo che fugge veloce , ma ecco una foto come quelle fatte al liceo … ne conservo una di ogni anno , che attestano il passaggio da una fase quasi infantile ad una adolescenziale , ma che nei miei ricordi rimane l’età dell’innocenza, delle prime cotte vissute quasi com vergogna nel provare un sentimento nuovo .. strano …e il tempo che quando eri giovane sembrava fermo , lento , lungo e oggi dopo tantissimi anni sembra volar via veloce e fluido come la nostra società di oggi che ha pochi momenti da ricordare e tanti selfie .

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