La città spaccata

Chi si meraviglia o arriccia il naso di fronte all’esultanza di migliaia di palermitani per la promozione della squadra rosanero in serie B, chi snobisticamente si distacca dalle semplici gioie della gente per poi magari pontificare su certi esiti elettorali, pensi, mediti e rifletta su che cosa significa veramente capire l’anima della propria città.

Il rapporto con la gente non si improvvisa facendo quattro interessate e tardive visite frettolose nei quartieri popolari, fingendo di immedesimarsi in certi problemi solo quando è utile, sognando prospettive e utopie di alta prospettiva laddove sopravvivono tenacemente innumerevoli, radicati ed irrisolti problemi sociali, economici e di ordine pubblico.

Da quando vivo in questa città, ho sempre constatato quanto esista un distacco profondo, reale e concreto fra la sua élite “culturale” borghese e i quartieri popolari, evitati come ghetti, colpevolizzati, abbandonati, derisi.

Anche le persone più illuminate e aperte (e ovviamente sono tantissime) devono continuamente fare i conti con una realtà cittadina spaccata e difficile, in cui sembra che vivano due comunità distinte e storicamente separate.

Chi ritiene di poter vivere nel suo utopistico mondo di idee magari bellissime ma nate altrove, adatte a contesti diversi, inapplicate e inapplicabili nella difficile realtà locale, dovrebbe fare un sano bagno di realtà, finendola una volta per sempre di sognare, ma cimentandosi nel concreto tentativo di capire davvero i problemi della città.

Chi ha tollerato, incoraggiato, difeso (anche per squallidi tornaconti clientelari) l’assistenzialismo radicato a Palermo, chi non ha mosso un dito per anni per risolvere il degrado dei quartieri popolari (limitandosi a escluderli dalle sue passeggiate domenicali), chi – pur avendone a volte la possibilità a livello nazionale – non ha fatto mai niente per favorire le reali opportunità di ripresa economica della città ed ha anzi accettato irregolarità, inadempienze, abusivismi, corruzione, intimidazioni, intolleranze senza mai chiedersi da che cosa dipendessero e ritenendole eterne e immodificabili, non si permetta ora di sogghignare sulla gioia per una vittoria sportiva.

Per chi è abituato a perdere sempre e a perdere tutto, anche una partita di calcio può essere occasione, una volta tanto, per sorridere e gioire.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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