PAX come persone

Nel tavolo del ristorante del “resort” (così sono ora più modernamente definiti i “villaggi turistici”, forse con riferimento alla “resurrezione” psicofisica che la vacanza dovrebbe garantire) troneggiava l’altra sera il cartoncino di cui allego la foto.

A tavola eravamo in 5: ed ecco dunque l’indicazione “PAX 5”.

Pax? Pax come pace? Un augurio ai cinque commensali di avere la pace (non eterna, si spera)? No: “pax” nel gergo turistico è usato per indicare le “persone”: 5 PAX = 5 persone.

Non è la prima volta, ovviamente, che mi imbatto in una simile sigla pseudopacifista (che in fondo sarebbe ammissibile coi tempi che corrono); ma stavolta mi è venuta la curiosità di capire da dove mai sia potuto derivare l’uso della sigla “PAX” in riferimento alle “persone”.

Ho dunque consultato il Vangelo secondo Google, che dice così: «Il termine PAX è il diminutivo di quello inglese “passenger/s” = “passeggero/i”. Quest’abbreviazione è usata spesso nel settore del turismo per indicare “il passeggero” di un mezzo di trasporto (aereo, pullman, treno, nave, etc). Comunemente PAX è utilizzato con l’accezione di “persona” in ambito dell’hotellerie e strutture ricettive in generale (“una camera per 2 pax”)».

Insomma, ancora una volta “cherchez l’anglais”: l’influsso costante e universale del mondo anglosassone è ineludibile in ogni momento della nostra vita odierna.

E tuttavia che i “passengers” diventino “pax” è già una forzatura in inglese: semmai si doveva abbreviare in “pass”; ma in tempi di “green pass” (frettolosamente e inopportunamente archiviati anzitempo) sarebbe stato poco gradito.

Non solo: il passaggio lessicale-esistenziale da “passeggero” a “persona” è per lo meno audace, lasciando ipotizzare che, qualora uno non diventi mai passeggero, resterebbe privo di personalità e quindi dell’identità di essere pensante. Forse proprio a questo miravano gli scalcagnati abbreviatori filoanglosassoni (evidentemente assoldati dagli operatori turistici): a trasformare ogni essere umano in un “passeggero”.

Per chiuderla qui (con buona PAX di tutti), è evidente che, se andiamo in un albergo, in un villaggio, su un aereo o su un treno o su un dirigibile, dobbiamo rassegnarci a diventare PAX o per lo meno ad essere considerati tali. Pazienza; non scateneremo certo guerre per questo: per dirla con Tito Livio, «Melior tutiorque est certa pax, quam sperata victoria» («È preferibile e più sicura una pace certa che una vittoria sperata»; a proposito: andate a dirlo a Putin).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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