Quattro anni fa eravamo in Canada; soggiornavamo all’Hotel Marriott di Niagara Falls, dove eravamo arrivati la sera prima, dopo un lungo ma interessantissimo trasferimento in pullman da New York.
Giovedì 9 agosto di mattina visitammo Toronto, salendo immancabilmente sulla Canadian National Tower, alta in tutto 553 metri.
Dall’alto di questa modernissima torre per telecomunicazioni si possono ammirare il panorama della città, il lago Ontario fino a Detroit e la pianura che porta fino alla baia di Hudson.
Sulla terrazza d’osservazione si trova il Glass Floor: una parte del pavimento è ricoperta di spessi vetri che permettono ai visitatori di camminare con la sensazione di esser sospesi nel vuoto, alla impressionante altezza di 347 metri: i turisti sono invitati a saltellare sul pavimento di vetro per sperimentarne l’infrangibilità (e io pensavo che se ci fosse andato Fantozzi sarebbe crollato giù miseramente).
Nel pomeriggio alle 16,30 visitammo finalmente le Cascate del Niagara, sul battello Maid of the Mist. La portata delle cascate è di 2270 litri d’acqua al secondo; le tre cascate (Horseshoe Falls, Bridal Veil Falls e American Fall) segnano il confine tra Stati Uniti e Canada. Il tour sulla Maid of Mist dura 20’ e i battelli partono ogni 15’. Eravamo stati dotati di mantelline (tipo “poncho”) impermeabili rosse che ci coprivano da capo a piedi (ma ci si bagna lo stesso…).
Io associavo le cascate al ricordo di due film che mi erano piaciuti molto: il classico “Niagara” del 1953 diretto da Henry Hathaway, che lanciò la grande Marilyn Monroe, e “Superman II” di Richard Lester (1980), nel quale Clark Kent (l’attore Christopher Reeve) e Lois Lane (Margot Kidder) raggiungono le Cascate del Niagara per un reportage giornalistico (e in quell’occasione Lois scopre casualmente che l’imbranato e timido Clark in realtà è Superman (quelli della mia età ogni tanto lo chiamano “Nembo Kid”).
Ma durante quella visita ero impegnato sia a difendermi dagli spruzzi alluvionali sia dal vento impetuoso sia dal rollio minaccioso degli altri turisti (una grossa turista britannica mi franò di sopra); inoltre filmavo e fotografavo, sicché (come a volte mi capita nei viaggi, specie quando il tempo a disposizione è limitato) ho visto gran parte dello spettacolo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. In definitiva dunque, né ho visto volare Superman fra i torrenti verticali d’acqua né – purtroppo – mi è apparsa l’immagine della bellissima Marilyn.
La sera eravamo liberi: abbiamo fatto quattro passi vicino all’albergo.
C’era un fresco meraviglioso, tanto più gradito dopo l’afa di New York. Abbiamo cenato con soddisfazione a un vicino ristorante italiano, “Zappi’s”; e abbiamo pagato in dollari canadesi, perché ho scoperto (contrariamente a quanto pensavo) che tra USA e Canada le barriere esistono e sono notevoli: controlli capillari alla frontiera, diversa valuta e difesa della propria moneta, sottolineatura profonda della diversa identità nazionale.
Un paese, il Canada, che da quel poco che ho visto mi è parso pulitissimo, ordinatissimo e civilissimo: ma sarà che, quando si vive ibernati e semicongelati, si diventa tutti più buoni e innocui.