Oggi, nel bellissimo posto dove si trovano ora, i miei genitori festeggiano le loro “nozze di ferro”: 70 anni di matrimonio.
Si sposarono infatti mercoledì 3 settembre 1952 a Bagheria, con funzione religiosa alle ore 10 nella Chiesa del S. Sepolcro (celebrata da Mons. Buttitta) e trattenimento dalle 18 in poi a Villa Salerno.
Mia madre quel giorno compiva 27 anni; mio padre ne aveva 36.
Si erano fidanzati nel 1950, ma erano rimasti subito dopo separati a lungo: papà dall’autunno del 1950 ricopriva la cattedra di Storia della Musica e Biblioteca al Liceo Musicale “Niccolò Paganini” di Genova, dopo avere vinto il concorso in sede nazionale; mamma invece aveva insegnato Matematica in provincia di Benevento.
Partirono alcuni giorni dopo per il viaggio di nozze (a Napoli, Roma e Milano) per stabilirsi poi a fine mese a Genova nella tranquilla via Pastrengo, vicino Corvetto, in un piccolissimo appartamento che mio padre era riuscito miracolosamente a prendere in affitto a fine giugno.
Dopo un anno e mezzo si trasferirono in Corso Sardegna, in una casa più grande (sempre in affitto), dato che la famiglia si stava allargando con il mio imminente arrivo.
Del giorno delle loro nozze, soprattutto della cerimonia in chiesa, restano le foto e i ricordi di come lo raccontavano loro: c’erano tantissimi invitati e al trattenimento (nella villa di mia zia Nunzia Rizzo Salerno “a Palagonia”) c’erano ben due orchestre (il minimo per un musicista-musicologo come era mio padre) a rallegrare gli invitati.
Per una combinazione davvero singolare, il 3 settembre di tre anni prima, nel 1949, si erano sposati anche i miei suoceri, il dott. Ernesto Ponte e la prof. Bice Palumbo.
La cerimonia si svolse alla Cappella Palatina e il successivo trattenimento all’Hotel delle Palme.
Quando Silvana e io siamo diventati “ziti” ufficialmente, ogni 3 settembre (purtroppo solo per pochi anni, perché mio suocero venne a mancare troppo presto) festeggiavamo tutti insieme la doppia ricorrenza (anzi tripla, mettendoci anche il compleanno di mia madre).
Oggi ci restano solo i ricordi di tanti 3 settembre passati insieme.
Ricordo anche un 3 settembre diverso, più tragico, che si concluse con la sconvolgente notizia del barbaro assassinio del generale Dalla Chiesa, quarant’anni fa.
Qualcuno allora mise un cartello scritto a mano sul luogo del delitto con la scritta (sgrammaticata ma disperatamente efficace): “Quì [sic] è morta la speranza dei palermitani onesti”. Quella scritta interpretava al meglio lo sgomento e la disperazione di chi, ancora una volta, vedeva a Palermo e in Sicilia calpestata e irrisa ogni speranza di cambiamento.
Tante volte mi sono trovato a riflettere sul fatto che (sicuramente per mia distrazione) non ricordo il nome di un solo prefetto di Palermo dopo Dalla Chiesa. Chissà perché. È come se, dopo quel Prefetto (con la P maiuscola) nessun altro potesse mai più essere alla sua altezza.
La speranza dei palermitani onesti, comunque, non è morta allora; la speranza non muore mai, fortunatamente.
È la realizzazione delle speranze che ha vita più difficile, purtroppo; ma non per questo dobbiamo disperare.