“Reportages ’63”: Kruscev contro Mao

Nel mio grande archivio c’è un settore “storico” dedicato alla collezione di quotidiani, riviste e periodici, a partire dagli anni Venti del secolo scorso. Tutto questo materiale, conservato prima da mio padre e poi da me, mi consente spesso di “rivivere” con immediatezza straordinaria momenti della storia degli ultimi cento anni.

Siccome siamo nel venti-ventitrè (ah, come sono moderno e “à la page” nel chiamare gli anni di questo impagabile XXI secolo!), ho ripreso fra le mani una rivista che risale a sessant’anni fa, cioè al 1963. Questa rivista, “Reportages ‘63”, era data in dono agli abbonati alla “Domenica del Corriere” che (lo dico per i più giovani) era nata nel 1899 come supplemento illustrato del “Corriere della Sera”.

La copertina della rivista, in cui compare un collage delle copertine realizzate dal grande illustratore Walter Molino (Reggio Emilia 1915 – Milano 1997), che disegnò la prima pagina della “Domenica del Corriere” dal 1941 al 1966.

Il numero del 1963 contiene articoli firmati da autori straordinari, come Indro Montanelli, Dino Buzzati, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Arrigo Levi, Mario Cervi, ecc.

In particolare, nel rileggere la rivista, mi ha colpito un articolo che rivela un “sesto senso” notevole: si intitola “Kruscev contro Mao” ed è frutto della penna del bravo giornalista e scrittore Vittorio G. Rossi (Vittorio Giovanni Rossi).

Rossi, nato a Santa Margherita Ligure nel 1898, fu inviato speciale del “Corriere della Sera” ed “Epoca”; come scrive Ada Ruschioni, la sua vita sembrò ricalcare quella di Joseph Conrad: «appena diplomato capitano di lungo corso all’Istituto Nautico di Camogli, s’imbarcò giovanissimo, per la prima volta, su un vecchio tramp [= nave da carico] e compì in seguito innumerevoli viaggi sui più diversi natanti – mercantili, barche da pesca, velieri, navi da guerra – svolgendo la sua carriera, prima di capitano di lungo corso durante la guerra mondiale 1915-18, poi di giornalista o inviato speciale, sempre animato dallo spirito forte di navigatore appassionato, instancabile».  Fu il primo giornalista italiano non appartenente al Partito Comunista ad entrare nella Russia sovietica, dopo la seconda guerra mondiale; da questo viaggio nacque il libro “Soviet”, del 1952. Morì a Roma il 4 gennaio 1978.

L’articolo di Rossi inizia segnalando la crescita esponenziale del mondo cinese: «Ora sta per venire il tempo in cui anche noi europei dell’Occidente avremo da fare direttamente coi cinesi; non si sa quanto esso ci metterà a venire, ma verrà, anche se noi europei dell’Occidente non ce ne rendiamo ancora conto, e continuiamo a giocare il vecchio gioco di romperci graziosamente le gambe tra noi. Allora questo tempo di adesso, in cui abbiamo da fare coi russi, ci sembrerà un tempo amabile, quasi idillico; Kruscev, che picchia la sua indocile scarpa sul banco dell’O.N.U., ci sembrerà nel ricordo un fiorellino sentimentale inserito tra le pagine di un libro di poesie sentimentali. […] Il dragone rosso si è svegliato dal lungo sonno, si è messo in movimento; è pieno di fame, di denso odio, di sfegatato orgoglio».

Rossi anticipa con acume alcuni sviluppi della storia futura (che poi è la nostra storia), segnalando l’inadeguatezza dei parametri “occidentali” nell’analisi del mondo orientale: «Si può già vedere dove girerà la grande storia nei prossimi anni. Il centro della grande storia una volta era nel Mediterraneo; poi si trasferì nell’Atlantico; ora è nel Pacifico. La sopravveniente storia del mondo sarà principalmente storia asiatica. La questione di Cuba è andata a posto così presto e così bene, anche perché su di essa c’era l’ombra incombente dell’Asia; l’Atlantico era già diventato periferia. A noi occidentali l’Asia può sembrare ancora a una distanza stellare; ma i russi nell’Asia ci sono dentro, hanno l’Asia nello stomaco, e un po’ anche nella testa; la vedono e la sentono come chi ci è dentro. Il tempo di Marco Polo è passato, le distanze sulla Terra sono cambiate; quello che una volta per noi erano il Reno e il Danubio, ora sono il Mekong e il Yang-Tze-Kiang. Ma noi continuiamo a pensare ancora nella vecchia maniera; se noi non cambiamo in tempo il modo di pensare le distanze sulla Terra, gli avvenimenti ci prenderanno in trappola. Noi ci divertiamo a vedere Kruscev e Mao Tse-tung che litigano; ci sembra di assistere a una guerra privata tra Kruscev e Mao, ci sembra una cosa piacevole e divertente. Ma la storia non è il teatro dei pupi; è un po’ più complicata di esso».

Segue un breve excursus dedicato a Singapore, “avamposto ovest dell’estremo oriente”: «A Singapore finisce il mondo dell’uomo individuale, comincia l’altro mondo, quello dell’uomo collettivo o uomo-massa. Tutta la storia dell’Asia, anche quella che sta per venire, è fondata su questa differenza umana, dipende da essa. Singapore è un posto adatto per vedere queste cose: per poterle vedere, bisogna respirare quest’aria, camminare su questa terra gremita di morti e di vivi, strofinarsi in queste masse umane, sentirne l’odore; solo così si possono vedere, forse capire, le cose con una certa approssimazione. Ma noi europei o americani continueremo lo stesso a sbagliare, a fare sbagli enormi, forse irreparabili, perché continueremo lo stesso a vedere europeo o americano. Bisognerebbe poter vedere asiatico, ma noi non possiamo; ci manca l’istrumento per farlo».

Come si vede, Rossi invita acutamente i lettori occidentali a guardarsi dagli “sbagli enormi” che si possono fare leggendo la realtà orientale con occhi “occidentali”, in una prospettiva “europea” o “americana”; contemporaneamente, però, si rende conto che assumere questa prospettiva non è facile: «Il nostro modo di ragionare, la nostra logica europea o americana, è interamente diverso dal modo di ragionare asiatico, dalla sua logica. Conosco uomini che hanno passato la loro vita in Asia, e sono uomini di ingegno e cultura; li ho visti disperarsi e mettersi le mani nei capelli, incapaci di comprendere, di fare un uso appropriato di tanti anni di esperienza e studio. Le cose che l’asiatico pensa, dice, fa, non sono in sé oscure, impenetrabili, imprevedibili; è che noi non abbiamo l’istrumento adatto: quello che abbiamo è di eccellente qualità, ma in Asia non funziona».

Rossi si addentra poi nell’analisi del comunismo cinese, visto come un “remake” dell’antico Impero: «Per la Cina il comunismo non è un fine, è un mezzo, un arnese di lavoro. Per i comunisti cinesi il comunismo è il mezzo per rifare, con efficienza e potenza moderna, l’antico Impero Celeste; non è una costruzione, come è stato per i russi, ma una ricostruzione. Tutte le idee, le vedute, i propositi della vecchia Cina sono più vivi e operanti che mai nella Cina nuova, la Cina comunista; i russi lo sanno benissimo, hanno sempre aiutato svogliatamente e debolmente la Cina comunista proprio per questo».

Rossi a questo punto sintetizza le vedute e i propositi del comunismo cinese in una “tabellina da lavagna scolastica” e chiude ribadendo il contrasto Russia-Cina: «Il conflitto tra russi e cinesi non è il conflitto tra due qualità di comunismo, non è cominciato l’altro giorno; l’Asia è più vecchia del comunismo. È un conflitto tra due imperialismi; tra il vecchio imperialismo asiatico della Russia e l’antico e nuovo imperialismo cinese. Ciascuno dei due imperialismi ora cerca di prendere posizioni di vantaggio su quelle dell’avversario; finora la Cina non è in grado di fare un’azione di forza. È povera, non ha riserve; ha un immenso peso umano, ma esso non basta».

Come si vede, l’articolo termina con la constatazione (per il momento rassicurante) che la Cina non è ancora pronta a fare quel “passo in più” che potrebbe renderla davvero “preoccupante”.

Molta acqua è passata sotto i ponti: dal binomio Kruscev-Mao Zedong (oggi si scrive così) si è passati alla coppia Putin-Xi Jinping; e francamente non sembra che il nuovo binomio sia più rassicurante del vecchio. Sempre attuali invece, e immutabili, appaiono gli imperialismi (militari, economici, politici) d’oriente e occidente, sempre rivolti a un’espansione “a tutti i costi” che mette costantemente in pericolo i fragili equilibri della pace mondiale.

Diamo atto all’antico articolista di aver azzeccato più di una valutazione, come la storia degli anni successivi ha dimostrato chiaramente; e speriamo davvero che un “istrumento” (come un po’ arcaicamente scriveva Rossi) per risolvere i problemi sia finalmente trovato da qualcuno e utilizzato con successo.  

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Rossi era un grande. sto collezionando tutte le sue opere grazie ad e-bay. Peccato che, come moltissimi altri, sia caduto nel dimenticatoio

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