Via Margutta e quelli che “fanno mondezzaro”

Via Margutta è una stradina in pieno centro di Roma; è la parallela di via del Babuino, la strada che conduce da piazza di Spagna a piazza del Popolo.

La zona, nel rione Campo Marzio, era il quartiere degli artisti: in passato vi soggiornarono pittori famosi (Rubens, Poussin, de Ribera, van Wittel, Picasso); Antonio Canova ebbe un atelier proprio in questa viuzza.

Negli anni Cinquanta del secolo scorso, dopo che vi furono girate alcune scene del film “Vacanze romane” di William Wyler, Via Margutta divenne residenza di personaggi famosi, come Federico Fellini, Giulietta Masina, Anna Magnani, Giorgio de Chirico, ecc.

Il nome della strada è di origine incerta: forse deriva da “Maris gutta”, cioè “goccia di mare”, con riferimento a un ruscelletto che scendeva dalla villa dei Pincii. Secondo altri invece il nome deriverebbe da un corpulento barbiere di nome Giovanni, soprannominato “Margutte” per la sua bruttezza (o forse si chiamava proprio Margut di cognome).

Percorrevo l’altro ieri questa stradina, oasi di solitudine e di silenzio a pochi passi dal bailamme di turisti che invadono quotidianamente il centro di Roma.

A un certo punto ho notato, su un muro, un’antica epigrafe (ne allego la foto) con un editto del 9 settembre 174….. (l’ultima cifra è illeggibile). Il testo è il seguente: «D’ordine di Mons.re Ill.mo e Rev.mo Presidente delle Strade – si vieta a tutte e sing.le persone fare mondezzaro nella via Margutta – pena di scudi dieci per volta et altre pene corporali – nerbate – ceppi – giri di rota o come il mastro di strada volesse assecondo l’età e il sesso».

Ebbene, forse per timore che, anche nella nostra sregolatissima epoca, qualcuno volesse applicare ancora le severissime pene minacciate dall’antico editto, la stradina era pulitissima, come mostra la seguente foto.

Via Margutta (Roma), 27 marzo 2023, ore 14.25

Rientrato a Palermo, mi è capitato ieri di leggere su Palermo Today la seguente notizia: l’altra sera nel capoluogo siciliano Giulia Argiroffi, consigliere comunale, ha ripreso con il cellulare e ha rimproverato un tizio che stava gettando rifiuti a terra per strada; per tutta risposta, l’energumeno l’ha minacciata (“Te lo spacco il telefono”) e, dopo aver forse pensato di fare di peggio, si è allontanato imprecando.

Il sindaco Lagalla ha espresso “piena solidarietà” alla signora per l’aggressione, deplorando «simili atti di inciviltà che offendono tutti coloro che ogni giorno lavorano faticosamente per tenere la città pulita» (compito veramente epico in una città come Palermo, da sempre condannata a un’impari lotta contro la sporcizia e il degrado che ne deturpano la bellezza).

Giulia Argiroffi

Ebbene, il collegamento con l’antico editto visto il giorno prima in via Margutta mi è venuto in mente spontaneamente: se quell’individuo che “faceva mondezzaro” si fosse visto affibbiare (se non le “pene corporali”) almeno una salatissima pena pecuniaria (ben al di sopra dei settecenteschi “dieci scudi”), forse in futuro ci avrebbe pensato due volte prima di buttare i rifiuti per strada e, soprattutto, prima di aggredire chi osava richiamarlo al rispetto delle regole.

Sempre per associazione di idee, mi è tornato in mente un episodio cui ho assistito una ventina d’anni fa.

Ero in Sardegna, a Caprera, dove con un gruppetto di altri turisti siciliani avevo appena visitato il “compendio garibaldino”; a un tratto uno del gruppo buttò per terra un pezzo di carta.

C’erano, seduti in piazza, alcuni abitanti del posto; uno di loro, un signore sulla sessantina, si alzò, raccolse il pezzo di carta, lo mostrò a chi lo aveva buttato e gli disse (con fortissimo accento sardo): «Senta lei: perché butta la carta per terra? A casa sua fa così?»; dopo di che andò a buttare la cartaccia in un cestino. Il turista redarguito restò sorpreso, ma per lo meno non osò reagire, anche perché tutti lo guardavano storto.

Ebbene, in quel momento mi ero chiesto cosa sarebbe capitato a quel legalitario e civilissimo signore di Caprera se avesse pronunciato queste parole a Palermo (e certo non gliene sarebbe mancata occasione, non solo per un piccolo pezzo di carta, ma per materassi, televisori sfasciati, lamiere, cartoni, ecc.). Forse avrebbe fatto la fine della signora Argiroffi, o peggio.

Così vanno le cose a Palermo: non ci piace sentirci rimproverare; tutt’al più ci rimproveriamo (fino  a un certo punto, però) da soli, ma non tolleriamo che ce lo vengano a dire altri.

Perché? Forse, come diceva il Principe di Salina a Chevalley nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, perché “we are gods”: «Vengono per insegnarci le buone creanze ma non lo potranno fare, perché noi siamo dèi. […] I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti».

Chissà: forse bisognerebbe tornare a tappezzare i muri di editti come quello di via Margutta: purché poi qualcuno lo facesse rispettare…

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *