“Rugantino” al Teatro Sistina

Rugantino è una maschera del teatro romano: rappresenta il tipico bulletto, strafottente e apparentemente arrogante (il suo nome deriva da “ruganza”, parola romanesca che significa “arroganza”), ma in realtà “bono de core” e simpatico.

Il personaggio è protagonista dell’omonima famosa commedia musicale di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, risalente al 1962 ma rappresentata moltissime volte e in particolare riproposta nelle ultime settimane nella sua sede naturale, il Teatro Sistina di Roma.

Sabato scorso al “Sistina” ho assistito appunto alla rappresentazione di “Rugantino”, che presentava nel cast Michele La Ginestra (Rugantino), Serena Autieri (Rosetta), Massimo Wertmuller (Mastro Titta), Edy Angelillo (Eusebia).

Michele La Ginestra (Rugantino) e Serena Autieri (Rosetta)

Lo spettacolo è stato allestito nella sua versione originale, con la regia di Pietro Garinei, le belle e famose musiche di Armando Trovajoli, le scene e i costumi originali di Giulio Coltellacci. Come diceva la locandina, è stato davvero “un ritorno imperdibile alle radici e un’occasione per riscoprire un classico del teatro musicale italiano”.

Massimo Wertmuller (al centro) nel ruolo di Mastro Titta

La commedia musicale “Rugantino” nacque nel 1962 dalla collaborazione di Garinei e Giovannini con Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa e Luigi Magni.

La vicenda raccontata è ambientata nella Roma del primo ‘800. Rugantino, giovane spaccone e sfaticato, vive di espedienti con l’aiuto di Eusebia, che spaccia per sua sorella; i due campano di raggiri, come tentano di fare anche nel caso di Mastro Titta, il boia dello Stato Pontificio (personaggio realmente esistito), che è pure proprietario di una trattoria. Mastro Titta, abbordato da Eusebia che cerca l’ennesimo pollo da spennare, finisce per innamorarsi davvero di lei e per esserne anche ricambiato.

Parallelamente, Rugantino si incapriccia della bella Rosetta, moglie del gelosissimo Gnecco Er Matriciano, e scommette con gli amici di riuscire a sedurla prima della sera dei Lanternoni. La scommessa è vinta, ma Rugantino si innamora davvero della ragazza; dapprima dunque non si vanta con i compagni dell’impresa riuscita, ma poi il suo carattere spaccone lo spinge a spifferare tutto, offendendo i sentimenti di Rosetta, che lo abbandona.

Quando però, durante il Carnevale, Gnecco viene assassinato per vendetta da uno dei suoi tanti nemici, Rugantino viene trovato per caso accanto al cadavere; creduto colpevole, non si difende perché capisce di essersi guadagnato (sia pure grazie all’equivoco) il rispetto di tutti e l’amore di Rosetta. Sale dunque sul patibolo, ove un commosso Mastro Titta lo giustizia (“A Rugantì, ‘na botta e via”).

La commedia dal 1962 a oggi ha avuto diverse edizioni: in particolare la prima presentava un cast straordinario (Nino Manfredi, Lea Massari, Bice Valori, Aldo Fabrizi); in seguito nel ruolo di Rugantino si sono alternati Toni Ucci, Enrico Montesano, Valerio Mastandrea, Enrico Brignano e, varie volte dal 2001, Michele La Ginestra, che ormai ha quasi sessant’anni ma riesce ancora a impersonare ottimamente la giovanile arroganza del protagonista.

Nino Manfredi e Ornella Vanoni nella rappresentazione di “Rugantino” a New York (1964)

La colonna sonora, bellissima, presenta le indimenticabili musiche di Armando Trovajoli: in particolare sono famose “Tirollallero”, “È bello avè ‘na donna dentro casa”, “È l’omo mio”, ma soprattutto “Ciumachella de Trestevere” (con la “e”, perché in romanesco si dice così) e “Roma nun fa’ la stupida stasera”.

Michele La Ginestra, Sabrina Ferilli, Simona Marchini e Maurizio Mattioli nell’edizione del 2001

Quest’ultima canzone, composta da Trovajoli sul testo di Garinei e Giovannini, presenta un controcanto fra la “parte maschile” (intonata prima da Rugantino e poi dal coro degli uomini), in cui Roma viene invitata a dare una mano al corteggiatore, e la “parte femminile” (cantata da Rosetta e poi dalle donne), in cui invece Roma viene pregata di dismettere le sue lusinghe seduttive per fare “andare in bianco” il seduttore.

Rugantino dunque canta così: «Roma nun fa’ la stupida stasera, / damme ‘na mano a faje dì de sì. / Sceji tutte le stelle / più brillarelle che c ‘hai / e un frìccico de luna tutta pe’ noi. / Faje sentì ch’è quasi primavera, / manna li mejo grilli pe’ fà cri cri. / Prestame er ponentino / più malandrino che c’hai. / Roma reggeme er moccolo stasera». Decisamente, la capitale è invitata a mettere in campo tutte le sue doti di fascinazione: le stelle “brillarelle”, il “frìccico” (cioè la piccola falce) di luna, la primavera vicina, i “grilli” e soprattutto quel vento “ponentino” che si insinua nelle ossa e dà i brividi.

Rosetta, dal canto suo, replica smontando sistematicamente le parole della controparte: «Roma nun fa’ la stupida stasera, / damme ‘na mano a famme dì de no, / spegni tutte le stelle / luccicarelle che c’hai / nasconneme la luna, se no so’ guai. / Famme scordà ch’è quasi primavera, / tiemme ‘na mano in testa pe’ dì de no. / Smorza quer venticello / stuzzicarello che c’hai. / Roma, nun fa’ la stupida stasera».

L’edizione cui ho assistito sabato scorso non ha perso niente, a oltre sessant’anni dal suo esordio, in vivacità scenica, efficacia del testo e delle musiche, bravura degli interpreti, spettacolarità della scenografia mobile che mostra una fascinosa Roma ottocentesca. Le quasi tre ore di spettacolo volavano senza annoiare, coinvolgendo emotivamente e divertendo gli spettatori.

In particolare, come scrive una recensione, “Michele La Ginestra (che interpreta Rugantino) lo calza in modo impeccabile, favorito da una fisicità senza tempo che regala al personaggio quella leggerezza e presenza scenica necessari per farsi immediatamente amare dal pubblico”; quanto a Serena Autieri, “è una Rosetta lontana dalle caratteristiche popolane a cui il pubblico è abituato, ma è riuscita con professionalità a dare vita a una creatura che cattura l’attenzione ogni volta che appare in scena” (M. Ferrara, “Teatro.it”, 14/3/22).

Io ero in platea, in settima fila e al settimo cielo, gustandomi soprattutto l’atmosfera di una Roma ormai mitica e lontana, fra arguti stornelli, gorgheggi trasteverini, intermezzi lirici e tumultuosi saltarelli, gustando la bellezza dell’idioma romanesco, la sapida ironia delle battute e, di contro, la profondità di certi passaggi testuali. 

Nel cast, comprendente oltre trenta artisti, c’erano anche Marco Valerio Montesano (figlio di Enrico, nel ruolo di Scariotto, straordinariamente simile al padre nel fisico e nel volto e molto promettente a livello recitativo) e Matteo Montalto (il Serenante, dalla bellissima voce tenorile).

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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