In un post su questo blog, intitolato “Cinquant’anni fa: la proiezione dei filmini”, parlando dei tanti filmini 8 mm e super 8 realizzati da mio padre fin dagli anni ’50 del secolo scorso, mi era capitato di fare un cenno a Raoul Carlotti, il nostro fotografo, che aveva lo studio a Genova, in Corso Sardegna, quasi all’angolo con la via Paolo Giacometti. Avevo scritto così, attingendo ai miei ricordi: “Ogni volta che mio padre andava da Carlotti si verificavano scene esilaranti, dovute allo humour surreale di cui entrambi erano straordinariamente dotati. Una volta Carlotti scese dalle scale del laboratorio indossando una barba bianca finta e spacciandosi per un altro; mio padre allora l’indomani entrò nel negozio con parrucca, naso finto e barba nera fingendosi un ispettore della Kodak”.
Ebbene, grazie anche al “tag” su Google, questo post è stato visualizzato da Mauro Sonzini, un insigne “studioso di Resistenza e Democrazia” residente a Voghera, che vi ha inserito alcuni giorni fa questo suo commento: “Le scrivo perché sto conducendo uno studio sull’Organizzazione Otto, formazione partigiana di cui in anni precedenti il formidabile Raul Carlotti risulta aver fatto parte. Avrei necessità di reperire ulteriori informazioni anche per cercare di risalire alle fotografie da lui scattate in quel periodo”.
Mi chiedeva quindi di aprire un contatto mail, cosa che ho fatto con piacere; in realtà, poi, non sono stato tanto io a fornire “ulteriori informazioni” a Sonzini, quanto lui a fornirne di preziose a me, rivelandomi un lato della vita di Carlotti che mi era sconosciuto e completando sorprendentemente l’immagine dei miei ricordi.
Sonzini mi ha scritto dunque di aver intrapreso uno studio sulla Organizzazione Otto, una formazione che, dopo l’8 settembre 1943, il neurochirurgo genovese Ottorino Balduzzi aveva avviato al fine di coinvolgere operativamente gli Alleati nella lotta partigiana, vincendo l’incredulità degli stessi Alleati che non ritenevano possibile che in Italia potesse nascere una lotta di Resistenza.
La prima azione eclatante della formazione partigiana fu la riconsegna, “dopo avventurosi viaggi da Voltri alla Corsica”, di ex prigionieri britannici che erano stati “celati, curati e protetti”; si creò poi “una rete di informatori e di campi per aviolanci di armi” che copriva gran parte del nord Italia, in territori occupati allora dai nazifascisti.
Come annota Sonzini, “si tratta di una pagina importante ma poco nota e ancor meno studiata. E oggi tutti quei protagonisti se ne sono da tempo andati. Per questo mi vedo costretto a battere tutte le strade possibili in cerca di elementi che mi aiutino a trovare e ricomporre i tasselli della storia”.
Qui subentra il discorso su Carlotti.
I primi britannici “salvati” dalla Otto erano sette ex prigionieri fuggiti dal campo di prigionia di Vigolzone in provincia di Piacenza che, dopo cinque giorni di cammino, guidati da un seminarista di nome Eugenio Osti, giunsero a Cabanne di Rezzoaglio in val d’Aveto sopra Chiavari.
Qui il 27 settembre 1943 (come riferisce una didascalia riportata su un testo) Raoul Carlotti li fotografò, mettendosi egli pure in posa con loro insieme ad un altro partigiano di nome Emanuele Strassera.
Verosimilmente quel giorno Raoul scattò anche altre fotografie.
Ora, ci si possono porre alcune domande: “Raul faceva parte della formazione Otto? La sua scheda personale reperibile nel fondo Ricompart dice sì, pur se con ruolo marginale; infatti non riceve qualifica di ‘partigiano combattente’ ma di ‘patriota’ che significa che fu collaboratore della formazione. Vuol dire che si limitò a fotografarli e a non denunciarli? Sì, ma potrebbe aver fatto molto di più. E magari non solo per l’organizzazione Otto, dato che fu sgominata con una serie di arresti a partire dal 31 marzo 1944”.
Il fatto è che su questa coraggiosa attività di partigiano è scesa una fitta nebbia: nessuno ne sa più nulla oppure, come scrive Sonzini, “se qualcuno lo sa, non ha avuto modo di farlo sapere”.
Da qui è partita l’indagine dello studioso, che mostra un’acutezza e una sensibilità che esaltano ulteriormente la sua competenza e la sua professionalità: “A me non interessa solo il partigiano. Mi interessa la sua esperienza umana. Mi interessa capire chi era, da dove veniva e cosa cercava. Mi interessa capire cosa lo porta a divenire partigiano e cosa della sua esperienza partigiana impregna la sua successiva vita trasformandola. Mi interessa il suo patrimonio umano. Però io Raul Carlotti neppur l’ho mai visto, se non in fotografia”.
Sonzini mi rivolgeva dunque una serie di domande: “Potrebbe scrivermi tutto quello che sa di Raul Carlotti? Sa se era sposato, se aveva figli, se qualcuno dei parenti è rintracciabile? E nelle sue parole, nei sui gesti, sono mai emersi i suoi trascorsi partigiani? Nel suo negozio vi erano per caso tracce delle sue fotografie? Dove possono esser finite le sue fotografie? Sa mica se ha lasciato scritte o dette le sue vicende, incluse quelle partigiane? Vi erano amici, conoscenti a cui si potrebbe risalire? È possibile definire un suo stile?”. Alla mail erano allegate la foto di Carlotti con i soldati britannici e la sua scheda personale.
Purtroppo alle tante domande rivoltemi ho potuto rispondere poco e nulla: ho potuto solo attingere ai miei ricordi e inviare in risposta alcune foto di Raoul Carlotti risalenti al 10 agosto 1977, di qualità non eccelsa, ma dalle quali si evince senza alcun dubbio che era proprio la stessa persona della foto con i soldati inglesi.
Ho ricostruito dunque i seguenti ulteriori ricordi: “Era alto circa un metro e ottanta, ben piantato, cordialone, gioviale, sempre pronto alla battuta e allo scherzo. Carlotti fu il nostro fotografo “ufficiale” fin dalla mia nascita (1954) e conservo molte sue foto che mi fece da bambino. Del suo passato di partigiano ignoravo tutto: il suo studio era disordinato ma minimalista, non esibiva foto risalenti alla guerra. Non ricordo con certezza se fosse sposato (anche se mi pare di sì) e se avesse figli: sicuramente nel suo studio fotografico non c’era mai nessuno se non lui e, qualche volta, un suo dipendente-collaboratore; non ricordo di aver mai visto moglie o figli che lo frequentassero”.
Nulla potevo aggiungere su eventuali parenti di Carlotti; quanto ai suoi “trascorsi partigiani”, anche se quando ho conosciuto Carlotti ero molto giovane, non mi pare che ne abbia fatto mai cenno. Non esibiva sue foto nello studio, almeno a mia memoria; non penso quindi che abbia lasciato notizie delle sue vicende passate.
Quanto alla sua attività di fotografo, era sicuramente molto bravo: sapeva cogliere, al di là del soggetto inquadrato, l’atmosfera adatta a ogni foto; curava i dettagli, era un perfezionista e sicuramente sapeva come valorizzare i soggetti che inquadrava.
In definitiva, ci si può chiedere: perché Carlotti, se era stato un “patriota” (nel senso vero della parola, non in quello millantato da certi politicanti di oggi), non faceva mai cenno di quella sua attività partigiana?
E questo, si badi, in una città come Genova, in cui, caso unico in Europa, un intero contingente militare tedesco, al comando del generale Gunther Meinhold, si arrese alle forze della Resistenza, senza alcun intervento bellico alleato; una città premiata con la Medaglia d’oro al valor militare il 1° agosto 1947, insomma una città antifascista senza se e senza ma, in cui certo molti potevano essere tentati di militare una militanza partigiana magari insussistente.
Se posso fare un’ipotesi, ripensando al sorriso di Raoul Carlotti, alla sua vitalità, alla sua cordiale espansività, credo di poter affermare che a frenarlo nello sbandierare i suoi meriti in tempo di guerra fosse una modestia esemplare, un understatement che lo definisce perfettamente, una serietà di fondo dietro l’ironia pungente, forse anche una punta di malinconia ben celata.
Non c’è altro da scrivere, per il momento. Ma se a Genova, o Salsomaggiore (dove Carlotti era nato il 18 settembre 1918), o in altre località, qualcuno ricordasse di avere conosciuto e stimato Raoul Carlotti, gli saremmo grati se lo facesse presente.
Si potrebbe così fare chiarezza su una pagina della lotta partigiana italiana che merita sicuramente maggior risalto e notorietà, considerando anche che (soprattutto in epoche come questa) la memoria diventa sempre più corta o viene annebbiata e distorta colpevolmente.
P.S.: che l’esatta grafia del suo nome fosse RAOUL e non RAUL è dimostrato da questa sua firma autografa, che un mio caro amico conserva nell’album delle foto del suo matrimonio (1979).