L’allerta meteo in Sicilia e alcuni ricordi meteorologici

Per oggi il dipartimento di Protezione civile ha emesso un avviso di allerta meteo rossa in tutta la provincia di Trapani e in alcune zone del Palermitano, dell’Agrigentino, del Nisseno, del Messinese e dell’Ennese. A partire da stanotte sulla parte occidentale della Sicilia si stanno abbattendo forti piogge, rovesci con forti raffiche di vento, mareggiate e frequente attività elettrica.

A Palermo il sindaco Roberto Lagalla ha disposto la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado: come dice l’ordinanza, “l’avvertenza principale ai palermitani e a tutti i cittadini del territorio della provincia è quella di limitare il più possibile gli spostamenti e di uscire da casa per ragioni di lavoro o di effettiva necessità e di scegliere, in quel caso, percorsi lontani dai sottopassi e dai corsi d’acqua”. Sante parole, visto che i sottopassi di Palermo sono condannati da sempre ad allagarsi anche per poche gocce di pioggia e visto che gli pseudocorsi d’acqua locali passano ormai dall’inesistenza alle alluvioni in poche ore, a causa del dissesto idrogeologico.

Stamattina qui al centro di Palermo piove (“piogge consistenti” ma non ancora “abbondanti”) e ci sono 16° (sabato le correnti sciroccali che hanno preceduto la perturbazione hanno portato il termometro a 29°). Non si può dar torto però ai sindaci di aver disposto la chiusura cautelare delle scuole, perché ormai non si contano i casi in cui la mancata chiusura ha provocato incidenti e danni anche gravi, con addebito di responsabilità ai sindaci: meglio dunque per loro un eccesso di prudenza che un’avventatezza che può costare caro.

In momenti del genere, mi tornano in mente due mie vecchie foto scolastiche (che allego); risalgono all’anno scolastico 1960-1961 e mi mostrano, bambino di sette anni, davanti alla mia scuola elementare, la “Carbone Pallavicini” di Genova.

Come si vede, indosso una mantellina e dei pantaloni lunghi (che, all’epoca, per i bambini erano insoliti e riservati appunto alle intemperie). Nella mano destra stringo una cartella di cuoio, sicuramente più leggera dei disumani zaini ultracarichi che oggi sono imposti ai bambini nelle scuole elementari e medie del Terzo Millennio. Nella seconda foto c’è anche mio padre, che mi stava accompagnando a scuola.

Bei tempi, quelli, in cui non esistevano gli/le allerta meteo. [Bel dubbio: si dice “gli allerta” o “le allerta”? Il sostantivo “allerta”, che deriva dal grido “all’erta” usato un tempo dalle sentinelle come esortazione alla vigilanza, è femminile nei vocabolari…; infatti si dice “allerta meteo rossa”; però “le allerta” non l’ho mai sentito dire… Boh; questioni di lana caprina e non meteorologica… la sostanza è quella…].

All’inizio degli anni Sessanta le previsioni del tempo erano affidate al colonnello Bernacca (che non poteva contare sull’ausilio di satelliti e modelli fisico-matematici) o ai dolori reumatici delle persone. In quei tempi remoti in genere le perturbazioni facevano il loro mestiere onestamente, il dissesto idrogeologico era ancora su livelli iniziali, le alluvioni catastrofiche erano ancora rare (quella del Polesine risaliva al 1951, quella di Firenze arrivò poi nel 1966).

Quando la mattina pioveva a dirotto, ci corazzavamo di mantelline e calosce (le protezioni in gomma che si indossavano sopra le scarpe per proteggerle da acqua o fango), indossavamo berrettini più o meno buffi e trottavamo verso la scuola, dando la mano ai nostri genitori e stando attenti a schivare le pozzanghere.

Ricordo che in inverno le lezioni iniziavano col buio pesto alle 8: entravamo nelle classi grondando acqua, appendevamo cappotti e mantelline negli attaccapanni e ci sedevamo nei banchi in attesa dell’arrivo del nostro maestro, Douglas Poggi, che poco dopo entrava in classe non meno intabarrato di noi.

A sinistra il Maestro Douglas Poggi; in primo piano, Mario Guglieri; l’altro bambino è Roberto Musina (foto mandata da Mario Guglieri)

Quindi, mentre fuori diluviava come Dio la mandava, iniziava la nostra giornata scolastica.

Per quattro ore (tante erano; e bastavano) dimenticavamo le intemperie e, contenti (parola oggi rarissima nelle realtà scolastiche attuali), stavamo in classe a viaggiare per il mondo. La Storia, la Geografia (cartine mute comprese), le letture, le gare di tabelline, le esercitazioni di canto, i quattro esercizietti pseudoginnici ci tenevano incollati piacevolmente sui banchi. Contribuivano a tenerci attenti le trovate ingegnose del Maestro: i verbali delle lezioni affidati agli alunni, i “tre giudici” della classe (io, Paolo Romei e Mario Guglieri) in veste di collaboratori, supervisori e burocrati; i “pensierini” su argomenti imprevedibili (nel tema “Il bicchiere” scrissi la memorabile considerazione secondo la quale, se non fosse esistito il bicchiere, l’uomo avrebbe dovuto bere dalla bottiglia), i disegnini e gli schemini alla lavagna con i gessetti colorati.

Un mio “verbale” di una lezione (dal giornalino scolastico “Vita nostra” n.2, 14 dicembre 1962)

E fuori pioveva. Come pioveva, come pioveva…

Alle 12 entrava il bidello, che indossava un grembiulaccio grigio, pronunciava più o meno solennemente (e con forte accento “zeneixe”) la parola latina “Finis” e il Maestro ci faceva preparare. Indossavamo allora mantelline, cappotti e cappelli e scendevamo in fila, a due a due, dandoci la mano (oggi gli alunni si “allavàncano” giù dalle scale emettendo urla belluine, tollerate amabilmente da insegnanti stremati).

All’uscita, sotto una pioggia degna delle attuali emergenze meteo, sostavano i nostri genitori in attesa: ci prendevano per mano, non ci prendevano la cartella (facendola portare sempre a noi), ci chiedevano come fosse andata.

E pioveva, pioveva. Come pioveva, come pioveva…

A casa ci voleva un buon minestrone genovese per riscaldarci. E mentre sentivo il profumo della minestra calda, andavo alla finestra, alitavo sui vetri appannati e vedevo la pioggia che cadeva a fiumi.

Come pioveva, come pioveva…

Ma era normale, allora. Era tutto più normale. Erano altri tempi, più primitivi e più inconsapevoli.

Il minestrone era buonissimo.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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