Ieri ho visitato al Teatro Garibaldi di Palermo “Lucememoria”, l’installazione fotografica di Tony Gentile.
Gentile, per chi non lo sapesse, è il bravissimo fotoreporter autore dell’ormai celeberrima foto che ritrae Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il 27 marzo 1992, nella sala conferenze dell’albergo Trinacria; vi si svolgeva un dibattito sulla mafia e l’occasione era stata voluta da Giovanni Falcone per presentare la candidatura di Giuseppe Ayala con il Partito Repubblicano; all’incontro presenziò anche Paolo Borsellino.
Come ieri ha raccontato Tony Gentile, Falcone arrivò in ritardo; sedutosi accanto a Borsellino, gli sussurrò una battutina (che Ayala ha poi pubblicamente ricostruito, affermando che “Giovanni” aveva voluto scherzare proprio sul “panico” dello stesso Ayala, il quale aveva seriamente temuto che Falcone gli desse “buca”).
Ho chiesto ieri a Gentile (che in modo interessante e coinvolgente ha illustrato ai visitatori la sua attività fotografica e in particolare la storia di “quella” foto indimenticabile) se – come normalmente fanno i fotografi – avesse fatto più “scatti” successivi di quel momento. Fu proprio così: ci sono quattro immagini in sequenza (riportate anche nella copertina del libro che accompagna la mostra), che evidenziano le fasi di quella scena: dapprima Borsellino ascolta la battuta di Falcone con espressione seria, poi sorride apertamente alle parole sussurrate dall’amico; quindi (nelle due foto successive), concluso il breve conciliabolo ironico, i due si allontanano un po’, continuando però a sorridere.
Per una curiosa coincidenza, la foto fu scattata 57 giorni prima della strage di Capaci e altri 57 giorni passarono prima dell’attentato di via D’Amelio.
Il grande fotografo è colui che riesce a conferire alle sue istantanee una “vita” potente, cogliendo ed evocando istanti irripetibili dell’esistenza umana in modo immediato ed efficace. Se è così, sicuramente quella storica foto di Gentile merita a tutti gli effetti di essere entrata a pieno titolo fra le immagini che maggiormente arricchiscono la nostra memoria collettiva. Come scrive Ferdinando Scianna nella prefazione al libro, quella foto «la conosciamo tutti: è stata pubblicata mille volte in tanti giornali e libri, la si ritrova sui frontoni dei palazzi di giustizia, nei circoli antimafia, nelle manifestazioni politiche, nei libri di storia contemporanea».
Ieri però mi chiedevo come mai quella foto sia così universalmente nota mentre il suo autore Tony Gentile sia rimasto così “paradossalmente sconosciuto” (uso ancora le parole di Scianna).
Il fatto è che quella foto ha avuto una vita travagliata: non fu pubblicata all’indomani di quel convegno, ma fu “archiviata” dal “Giornale di Sicilia”; la pubblicò poi “Il Messaggero” il 20 luglio 1992, all’indomani della strage di via D’Amelio e da allora divenne un “must” in tutte le manifestazioni commemorative dei due magistrati assassinati nella stagione delle stragi. Tuttavia (cito ancora Scianna), «quella fotografia non è mai, o quasi mai, firmata. Perché? Una faccenda paradossale che affonda le sue profonde radici nell’ignoranza e nella spocchia del nostro mondo politico e giudiziario. Quando Gentile, giustamente, ha rivendicato i suoi diritti si è persino giunti a processi nei quali gli è stata negata la paternità di autore di quella immagine. Questo perché nella legislazione italiana è stata introdotta una differenza tra fotografia di cronaca e fotografia d’autore. I giudici, in base a questa legge, ed a loro insindacabile giudizio, scelgono quale immagine è di cronaca e quale d’autore e, da chissà quale caverna precedente a Platone. hanno sentenziato che quella fotografia non è una fotografia d’autore. Insomma, quella fotografia non l’ha fatta nessuno». Molto spesso, la creatura vive di vita autonoma, dimentica del suo creatore: e nella terra di Pirandello, non c’è da meravigliarsi che la foto fatta da uno sia diventata proprietà di centomila e quindi di nessuno.
Va aggiunto doverosamente che Gentile non è, ovviamente, soltanto l’autore di quella foto fortunatissima.
La mostra del Teatro Garibaldi presenta una serie di foto dello stesso fotoreporter, spesso non meno belle, interessanti e coinvolgenti; sono appese ai palchi del teatro e volutamente ricordano la famosa protesta dei lenzuoli bianchi del 1992. Si ha dunque «un unico abbraccio che attraversa mezzo secolo e riconsegna il periodo delle guerre di mafia, degli innominabili, dei protagonisti di una stagione culminata negli attentati in cui persero la vita i giudici Falcone, Morvillo, Borsellino e gli agenti delle loro scorte, ma che documenta anche la stagione del riscatto e della speranza che germinò da quelle stragi» (dalla scheda di presentazione della mostra).
Fra le belle foto esposte, ne segnalo tre che mi sono piaciute particolarmente:
1) un’istantanea, scattata a Canicattì nel settembre 1990, ritrae Giovanni Falcone e Pietro Grasso che arrivano, accompagnati dagli agenti della scorta, per partecipare al funerale di Rosario Livatino; colpisce, in questa immagine, l’isolamento di Falcone: come scrive Gentile, «Anche la gente comune, che dopo la sua morte sarebbe diventata la società civile, lo aveva lasciato solo. Questa considerazione è tanto vera, quanto percettibile proprio in questa fotografia. Attorno a Falcone tanta gente: gente semplice, gente comune, ma nessuno sembra accorgersi di lui, come se nessuno lo riconoscesse e lo degnasse di uno sguardo, di un’attenzione, di un cenno di consenso o di solidarietà»;
2) l’immagine dell’arresto di Giovanni Brusca nel maggio 1996 mostra il criminale ammanettato fra due agenti di polizia; nel suo sguardo sembrano sovrapporsi smacco, paura, rabbia e disagio;
3) la foto di un bambino che sembra volare sopra le macerie di un quartiere degradato è suggestiva evocazione della speranza che – sia pure nei contesti più difficili – deve continuare ad avere ali per volare e reagire.
La mostra, organizzata da “Le Vie dei Tesori” e dall’assessorato alla Cultura su progetto della Fondazione Tricoli, con il supporto dell’ARS, dell’assessorato regionale ai Beni Culturali e di Confcommercio, sarà visitabile fino al 9 luglio, dal martedì al giovedì dalle 11 alle 19 e nei weekend sino alle 21.