In occasione della mia recente visita ad Heidelberg, città studentesca per eccellenza e sede della prima università tedesca, ho visitato lo “Studentenkarzer”, il “carcere studentesco”, che si trova vicino all’Università, in Augustinergasse 2.
Questo piccolo reclusorio per oltre cent’anni, dal 1778 al 1914, fu usato per punire gli studenti che non tenevano un comportamento appropriato. Infatti potevano essere rinchiusi in questa struttura i giovani sorpresi a ubriacarsi con l’ottima birra servita nelle taverne locali (“Kneipe”), a schiamazzare nottetempo, a ingaggiare duelli, a vagabondare nel centro della città vecchia (“Altstadt”), a fare scherzi di cattivo gusto a compagni e professori, o ad amoreggiare con qualche fanciulla. Proprio quest’ultimo tipo di trasgressione ispirò nel 1863 l’invenzione (da parte del pasticciere Fridolin Knosel) del celebre cioccolatino locale chiamato “bacio dello studente” (Studentenkuß).
Una bella canzone tradizionale dice così: “Vecchia Heidelberg, tu che sei così bella, tre cose chiamo tue: il vecchio castello, il fiume Neckar e il bacio degli studenti di Heidelberg” (“Alt Heidelberg, du feine, drei Dinge nenn ich deine: das alte Schloß, den Neckarfluß und den Heidelberger Studentenkuss”).
I tempi medi di “permanenza” nel carcere studentesco andavano da tre giorni fino a qualche settimana nei casi più gravi. In ogni stanza c’erano soltanto la finestra, un letto, un tavolo, una sedia e la stufa (la avessero certi carcerati di oggi nel nostro Paese…).
In effetti la reclusione forzata a pane e zuppa di asparagi non doveva essere così intollerabile, nonostante le panche in legno e lo spazio ristretto; infatti gli studenti, con il loro tipico spirito goliardico, non erano affatto turbati dalla prospettiva di finire in prigione, ma ritenevano anzi che questa esperienza fosse un motivo di orgoglio e una sorta di propiziatorio rito di iniziazione, da sbandierare ai colleghi di studio quasi come una “medaglia” al valore.
Il carcere si sviluppa su due piani e già nella scala si vedono pareti e soffitti tappezzati da scritte, disegni e graffiti realizzati dai “detenuti”: c’è chi vi ha inciso una poesia, chi vi ha scritto l’incipit di un romanzo, chi ha dipinto il proprio ritratto o semplicemente immortalato il proprio nome.
Fra queste iscrizioni, ricche di un sapido “humour”, spiccano purtroppo anche le demenziali aggiunte di alcuni idioti visitatori italiani, come tali “Federica Gatto – Francesca Cartia 30-10-2014” e “Maurizio – Grazia – Antonella – Matteo – Rebecca 05/10/14”, degni (oltre che di essere additati qui al pubblico ludibrio) di vivere una simile esperienza in un carcere del Terzo Millennio.
Va detto infine che alle studentesse questa esperienza fu risparmiata, anche perché le donne furono ammesse all’università soltanto a partire dal 1900. Peccato: chissà quali manifestazioni di creatività femminile ci sarebbero state in un’apposita sezione dedicata al gentil sesso.
Un’ultima riflessione: la considerazione che a molti potrebbe venire in mente (“ci vorrebbe ora, un carcere così, per certi episodi che avvengono nelle nostre scuole e università”) andrebbe corretta dalla collaterale constatazione della vanità di certe esibizioni “muscolari” che, come si è visto, non intimidivano più di tanto le loro vittime e anzi, in qualche modo, le rendevano più “popolari” e quasi “eroiche” agli occhi dei colleghi. Insomma, se a qualcuno di quei detenuti fosse stata invece appioppata qualche ora supplementare di studio matto e disperatissimo, o qualche sanzione pecuniaria, o qualche forma di lavoro obbligato, chissà se la “redenzione” non potesse risultare più immediata e definitiva…
La prima ipotesi di redenzione senz’altro la più efficace.
Grazie per avermi portata ad Heidelberg.
Grazie info simpatici commenti…noi Italiani ma civili ..!!!😅