Alcune note di viaggio

Ecco alcune note sul mio recente viaggio in Alsazia e ad Heidelberg: infatti, quando parto, mi piace osservare tutto quello che posso e cercare di “annusare” ogni cosa (come dice un proverbio greco attuale, “chi viaggia annusa”, όποιος γυρίζει μυρίζει). Per oggi tratterò dieci punti, ripromettendomi in settimana di aggiungere a parte qualche ulteriore spunto interessante.

1) Sia a Strasburgo sia ad Heidelberg mi ha colpito la mancanza assoluta di monopattini; mentre le nostre città sono ormai invase da questi micro-missili pericolosissimi per tutti, in una deregulation assoluta, là quasi nessuno ne fa uso. Il che vale non solo per le ampie zone pedonali (del resto da noi anche in queste i monopattini sfrecciano indisturbati), ma anche per i viali principali (ad es. ad Heidelberg ero nell’ampia Bergheimerstrasse, dove semmai passano i tram).

Anche i “motori” (noi a Palermo li chiamiamo così, ma sono motociclette e ciclomotori) sono rarissimi. Incidono, certo, motivi climatici; ma in estate francamente non ci sarebbe un motivo tale da escluderne l’uso. Il fatto è che “non si usano”.

Altre cose che mancano all’appello sono i cani (che sono pochissimi, mentre da noi sono ormai quasi più delle persone) e le persone istoriate con tatuaggi vistosi (non ne mancano, ovviamente, ma non ho visto gli arazzi umani che ormai si vedono a ogni angolo dalle nostre parti).

Pochissimi i gatti, ma frequenti i cigni (beige oltre che bianchi); il simbolo dell’Alsazia, poi, sono le cicogne (di cui abbiamo visto alcuni nidi).

Un nido di cicogna ad Eguisheim

2) L’uso della carta è sempre più ridotto. I biglietti del treno Strasburgo-Heidelberg non dovevano essere stampati, ma bastava esibirli col telefonino a un eventuale controllo; peraltro in Germania nessuno controlla niente (solo che, se per un remoto caso ti beccano in torto, ti finisce molto male…).

Inoltre sono pressoché sparite le edicole dei giornali (ma questo sta avvenendo anche da noi, per colpa del sempre minor numero di lettori e delle pseudonotizie dilaganti sui social).

All’aeroporto le carte d’imbarco cartacee non erano “lette” dallo scanner, mentre le loro sorelle multimediali sui telefonini ottenevano subito l’ok. Riflettevo sul fatto che ormai il telefonino, anzi lo smartphone, è un accessorio indispensabile ed ineludibile per tutti: senza di esso non si vive più, perché si è tagliati fuori da servizi essenziali; chi volesse farne a meno è, semplicemente, impossibilitato a farlo.

3) I pagamenti avvengono quasi sempre con carte di credito anche per pochissimi euro; in alcune chiese per accendere i lumini si trovano dei QRcode sui cui si passa il telefonino scegliendo l’offerta (50 cent, 1, 2, 5 euro, ecc.). I contanti sono ovviamente accettati ma sanno tanto di obsoleto.

4) La cucina locale non può ovviamente competere con la cucina del nostro Paese (che poi è in realtà costituita da un’enorme e inimitabile quantità di cucine differenti); tuttavia le pietanze alsaziane non mancano di riservare piacevoli momenti gastronomici.

Ciò vale soprattutto per la “choucroute”, piatto a base di carne di maiale e crauti tipico dell’Alsazia, che ha però la controindicazione di saziare del tutto chi riesce a mangiare tutte quelle salsicce (io nel mio pseudodialetto alsaziano l’ho definita “inchiummusen”); in Germania non cambia gran che (ma se si cerca conforto in una buona pizza italiana se ne trovano di ottime nei ristoranti dei nostri connazionali).

La “choucroute” alsaziana

5) Nei ristoranti mi ha colpito un dettaglio: se c’erano famiglie italiane (ma erano poche), i figli passavano il tempo a tavola guardando i telefonini; nelle famiglie locali (che non mancano e sono imprevedibilmente unite) i figli a tavola mangiano e parlano (non unendo mai le due cose), ma non smanettano sugli smartphone, non instagrammano e twittano, vivono in una dimensione “pre-social” che da noi ormai è diventata puro sogno.

6) Il clima, che in inverno sarà sicuramente gelido e triste, in estate è meravigliosamente piacevole. Noi i primi cinque giorni abbiamo trovato cielo nuvoloso (poca pioggia che non disturbava) e temperature fra i 12° e i 20°; solo da giovedì la temperatura di giorno è salita a 28° (ma venerdì siamo tornati). Con queste condizioni climatiche si viaggia benissimo, si cammina senza stancarsi, si gode davvero la visita turistica.

7) Inutile parlare della pulizia maniacale delle strade, degli ambienti, dei locali. Ho visto spazzini che tolgono da terra anche la minima insignificante carta; ho visto cassonetti pulitissimi svuotati da macchine efficientissime. La plastica è già quasi inesistente. Insomma, inutile cercare cassonetti ricolmi, spazzatura “a vista”, sporcizia e degrado: tutto brilla e luccica in un contesto di rispetto ambientale da noi ancora impensabile.

8) In Alsazia credevo che si riproponesse la stessa situazione dell’Alto Adige con un bilinguismo franco-germanico analogo a quello italo-tedesco della nostra regione. Non è così: proprio perché l’Alsazia, soprattutto nel periodo nazista, ha subito una “germanizzazione” violenta e forzata, la Francia dopo la guerra ha “rifrancesizzato” la zona; la lingua usata è il francese, le scritte non sono sempre bilingui, la cultura che si vede e si respira nell’aria è francese.

9) Un’escursione di un giorno in alcune località alsaziane (la splendida Colmar, i borghi caratteristici di Eguisheim e Riquewirh, il castello di Haut-Koenigsbourg) riempie gli occhi di verde, di bellezza, di pace, di silenzio. Nei vicoli di questi borghi si affacciano le tipiche case a graticcio, impreziosite da balconi fioriti e rese incantevoli dai tenui colori pastello delle facciate; i grandi cortili medievali oggi sono la sede di molte case vinicole, che vendono al dettaglio i pregiati deliziosi vini alsaziani (il Sylvaner, il Riesling, il Gewürztraminer, ecc.).

Colmar
La strada dei vini in Alsazia
Il castello di Haut-Koenigsbourg

10) Dicevo del silenzio: è un dettaglio che colpisce subito, fin dall’arrivo all’aeroporto di Strasburgo. Nessuno grida, nessuno sbraita ad alta voce, nessuno si agita. Una compostezza che forse può irritare temperamenti “espansivi” come quelli dei nostri connazionali; a me però non dispiaceva affatto, anzi mi restituiva una calma e una serenità che qui, nel fragore quotidiano di questo mondo assordante, è sempre più difficile trovare.

Nei prossimi giorni, come ho scritto all’inizio, mi ripropongo di aggiungere qualche nota su Strasburgo ed Heidelberg, facendo riferimento per la prima allo splendido quartiere della Petite France (patrimonio dell’umanità Unesco) e per la seconda all’università, al carcere per gli studenti (esisteva!) e alla curiosa figura di un tale giullare Perkeo.

“La Petite France” a Strasburgo

Per ora bene così: buon Ferragosto a tutte e tutti!

La cattedrale di Notre-Dame a Strasburgo

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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