In una foto del 2 marzo 1956, nel giorno del mio compleanno, armeggio pensieroso con una grossa radio. Il primo televisore lo comprammo due anni dopo: fino ad allora, quel massiccio apparecchio radiofonico restò l’unico “mass media” presente allora a casa mia; ma simile era la situazione nelle case della maggioranza degli Italiani.
Una fortunata canzone di Alberto Rabagliati risalente al 1940, intitolata “C’è una casetta piccina”, celebrava un felice matrimonio («Sposi! / Oggi s’avvera il sogno e siamo sposi! / Tutto risplende a noi d’intorno»); in essa, una strofa sottolineava il ruolo fondamentale della radio nella vita della nuova coppia: «La nostra radio un’amica fedele sarà / che con il mondo lontano riunirci potrà; / la porta noi chiuderemo / quando la sera verrà, / presso la radio staremo, che felicità». Il che dimostra che i novelli sposi, all’epoca, si accontentavano davvero di poco.
Più disinibita doveva essere la coppia celebrata da un’altra canzone dello stesso 1940, “Silenzioso slow”, che conteneva il famoso invito a smorzare il volume della radio per vivere meglio i momenti d’amore: «Abbassa la tua radio / per favore / se vuoi sentire / i battiti del mio cuore. / Le cose belle / che ti voglio dire / tu solo amore mio / dovrai sentire». Il brano, interpretato da Norma Bruni e Alberto Rabagliati, ebbe varie vicissitudini: il titolo fu italianizzato in “Silenzioso ritmo” e la canzone fu censurata perché sospettata di voler invitare ad ascoltare le trasmissioni di Radio Londra.
Infatti, durante la seconda guerra mondiale, proprio attraverso le trasmissioni in italiano della famosa Radio Londra giungevano nel nostro Paese le reali informazioni sulla situazione bellica, che eludevano così la censura del regime fascista; molto successo ebbe il colonnello Harold Stevens, noto come “Colonnello Buonasera”, un ufficiale britannico vissuto a Roma, che riusciva spesso a trasmettere messaggi di speranza pur nel contesto drammatico del momento.
Le trasmissioni di Radio Londra erano aperte dalle prime note della V Sinfonia di Beethoven (a quanto pare perché – scandite secondo l’alfabeto Morse – codificavano la lettera “V”, iniziale di “Victory”, che era il motto di Winston Churchill nonché variante più fortunata del velleitario “Vincere” mussoliniano).
Il ruolo propagandistico della radio (inventata da Marconi nel 1901) era stato fortemente sfruttato dal fascismo fin dal 5 ottobre 1924, quando Mussolini pronunciò da Roma il primo discorso radiofonico della storia d’Italia da un trasmettitore in prova fornito dalla Marconi Italia. Nel gennaio 1928 l’originaria URI (Unione radiofonica italiana) era divenuta EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), nel quale l’informazione era gestita dall’agenzia Stefani, organo di stampa ufficiale del regime fascista. L’uso della radio si era presto diffuso in tutto il Paese: chi non poteva permettersi di acquistarne una, andava ad ascoltarla nei bar e nei locali pubblici; la propaganda, poi, favorì l’installazione di altoparlanti che trasmettevano i discorsi del Duce nelle piazze di tutto il Paese.
Negli anni Trenta erano nati anche programmi radiofonici di intrattenimento popolare: il 13 dicembre 1931 fu trasmessa da Torino la prima radiocronaca di un incontro di calcio (Italia-Ungheria 3-2, con gol decisivo del leggendario Cesarini negli ultimissimi minuti, che da lui si chiamarono poi “zona Cesarini”); il 10 giugno 1934 il radiocronista palermitano Nicolò Carosio commentò in diretta la vittoria Italiana ai mondiali di calcio (Italia-Cecoslovacchia 2-1 a Roma). Molto successo popolare ebbe un varietà radiofonico umoristico, “I quattro moschettieri” (con Nunzio Filogamo nella parte di Aramis), trasmesso dal 1934 al 1937, che presentò il primo caso di sponsorizzazione pubblicitaria in Italia (fu infatti abbinato a un concorso delle case Perugina e Buitoni).
Dopo la guerra, l’EIAR nel 1944 assunse il nome di RAI (Radio Audizioni Italiane, divenuta poi nel 1954 Radiotelevisione italiana); grazie al minor costo degli apparecchi, la radio entrò nelle case della stragrande maggioranza degli Italiani.
Un apparecchio radio poteva essere anche parte di un vero e proprio mobile, che poteva avere anche una sezione in cui si tenevano bottiglie di liquore o oggetti vari. La radio era in genere nel salotto, magari in mezzo ad alcuni divani o poltrone, occupando il ruolo centrale che in seguito fu assunto dai televisori.
Nei miei più lontani ricordi di ascoltatore radiofonico, che risalgono agli anni Sessanta e Settanta, il primo posto va alla storica trasmissione sportiva “Tutto il calcio minuto per minuto”, dedicata alle radiocronache in diretta del campionato di calcio; questa trasmissione, ideata nel gennaio 1960 da Guglielmo Moretti, Roberto Bortoluzzi e Sergio Zavoli, ebbe un successo straordinario in un’epoca in cui non esisteva ancora una concorrenza televisiva efficace.
Tutti noi ragazzi la domenica pomeriggio attendevamo ansiosamente l’inizio di “Tutto il calcio minuto per minuto”, per sentire dalla voce di Roberto Bortoluzzi (dallo studio centrale) i risultati dei primi tempi delle partite; esse si svolgevano, allora, tutte contemporaneamente alla stessa ora e non erano, come adesso, sminuzzate in quattro giorni di anticipi e posticipi vari. Durante l’ora esatta di trasmissione (non esistevano allora i “minuti di recupero” al termine delle partite), il secondo tempo delle partite era trasmesso in diretta dai radiocronisti dislocati nei vari campi (Enrico Ameri nel campo principale per la partita più importante, Sandro Ciotti, Ezio Luzzi, Beppe Viola, Everardo Dalla Noce, Bruno Gentili, ecc.).
La televisione, negli anni Sessanta, trasmetteva – ovviamente in bianco e nero – nel tardo pomeriggio, in differita, soltanto un tempo di una sola partita; quindi la trasmissione più importante restava quella radiofonica di Bortoluzzi e colleghi.
Il successo di “Tutto il calcio minuto per minuto” fu accresciuto dalla diffusione delle piccole radio a transistor: era allora normale che durante le gite familiari domenicali i maschi stessero con l’orecchio incollato alla radio (anticipando l’attuale dipendenza dai telefonini), per sentire in diretta i risultati delle partite di calcio.
Si trattava, per intenderci, di quel tipo di radiolina che il ragionier Fantozzi (interpretato dal mio concittadino Paolo Villaggio) si fece sequestrare stoltamente quando fu costretto ad assistere al film “La corazzata Kotiomkin” anziché godersi la partita Italia-Inghilterra: «nel buio della sala correvano voci incontrollate e pazzesche. Si diceva che l’Italia stava vincendo sull’Inghilterra per 20 a 0 e che aveva segnato anche Zoff di testa, su calcio d’angolo».
Con l’avvento dei transistor, si poterono ascoltare i programmi radiofonici anche nelle località di villeggiatura, ad es. in case sperdute in campagna, ove in estate il suono gracchiante delle radioline riusciva a coprire provvisoriamente i canti delle cicale pazze di sole e, di sera, il fischio monotono dei grilli.
Con una radiolina all’orecchio, da una campagna che si trovava a Sòlanto vicino Santa Flavia, seguii nel 1965 la storica vittoria del giovanissimo Felice Gimondi al Tour de France; e con la stessa radiolina ascoltavo le canzoni della “Vetrina di un disco per l’estate”, che poi la sera sentivo eseguire dall’orchestrina del vicino Hotel Zagarella nella sua panoramica rotonda sul mare.
Non meno epocale fu, parallelamente, l’invenzione dell’autoradio, negli anni del boom economico: in questo modo la radio riusciva ancora a reggere al crescente successo del mezzo televisivo. Ci fu poi una fase, negli anni ’80, in cui – temendo non senza motivo i furti – staccavamo dalla macchina lo “stereo” (una specie di grosso rettangolo nero) e ce lo portavamo appresso ovunque (in modo che oggi sembrerebbe per lo meno ridicolo). Lo cantò persino il compianto Toto Cutugno, scomparso lo scorso 22 agosto: “Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente / e un partigiano come presidente / con l’autoradio sempre nella mano destra / un canarino sopra la finestra“.
Al grande successo della radio, negli anni ’60 e ‘70, contribuirono trasmissioni espressamente rivolte ai giovani, come “Bandiera gialla”, “Per voi giovani” e “Alto gradimento” di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni.
Particolarmente “Alto gradimento”, in onda dal 1970 dalle 12,30 alle 13,30, divertiva noi ragazzi di allora, creando personaggi, “tormentoni” e battute di grande successo: tutti noi imitavamo gli storici personaggi di “Alto gradimento”, dal prof. Aristogitone al ladro Pasquale Zambuto, dal fascista Catenacci al pastore abruzzese che cercava “Li pecuri”, dal tizio che chiedeva (non si sa a chi) “Perché non sei venuta?” al gracchiante uccellaccio Scarpatibus (creazione, anch’esso, della fantasia di Giorgio Bracardi), dall’urlo belluino “Patrocloooooooooooooooo!!” al colonnello Buttiglione, ecc. ecc.
Un altro “must” per noi ragazzi era (dal 1967) l’ascolto della “Hit Parade”, trasmessa il venerdì alle 13. Tornavamo da scuola e ci incollavamo alla radio per ascoltare la classifica delle prime otto canzoni nella classifica dei 45 giri più venduti; le pseudo-battute del conduttore Lelio Luttazzi (che non riusciva a far ridere nemmeno per sbaglio) erano il contorno fastidioso dell’attesissimo ascolto delle canzoni più in voga.
Non mancavano le censure di alcune canzoni, ritenute inopportune se non addirittura “oscene”: ciò avvenne per “Dio è morto” di Guccini (eseguito dai Nomadi nel 1967, censurato dalla RAI per il titolo ed invece eseguito alla Radio Vaticana), per la proibitissima “Je t’aime, moi non plus” (1969) eseguita, anzi sospirata, da Jane Birkin (recentemente scomparsa) e Serge Gainsbourg, o per “Inch’Allah” di Adamo (1967, ritenuta filoisraeliana); in casi del genere Luttazzi annunciava il titolo della canzone ma non la faceva ascoltare e passava oltre.
Per altre notizie e documenti sulla Hit Parade di Luttazzi, rinvio ad un altro articolo di questo blog (https://pintacuda.it/2021/06/30/la-hit-parade-di-lelio-luttazzi/).
Erano trasmessi inoltre seguitissimi spettacoli di varietà (come “Gran varietà” della domenica mattina, dal 1966 al 1979, con la partecipazione di cantanti e attori famosi) e quiz radiofonici di successo, come “La corrida” di Corrado (dal 1968), “Il gambero” (dal 1967, condotto prima da Enzo Tortora e poi da Franco Nebbia), “Ferma la musica” di Mike Bongiorno (dal 1967 al 1970), ecc.
Tutto cambiò negli anni Settanta con l’avvento delle radio libere, in seguito alla fine del monopolio RAI sulla radiodiffusione (1976); le radio libere trasmettevano in modulazione di frequenza (FM), garantendo alle trasmissioni una qualità più elevata.
Grazie a queste radio, il mezzo radiofonico ebbe un nuovo slancio anche a livello ideologico e politico, con molte trasmissioni che affrontavano temi scottanti; basterebbe ricordare Radio Aut, la radio libera fondata nel 1977 dal coraggioso Peppino Impastato, con sede a Terrasini, gestita in regime di autofinanziamento per denunciare le illegalità mafiose della zona.
Anche nelle radio libere, però, con la contro-ondata “yuppie” degli anni Ottanta, prevalsero le rubriche musicali (nel 1981 Claudio Cecchetto fondò a Milano Radio Deejay, che divenne l’emittente più seguita in Italia).
Sui decenni successivi ci sarebbe molto da dire, ma esulerebbe dal nostro tema originario, che era il ricordo dei tempi d’oro della radio.
Ormai gli antidiluviani ed enormi apparecchi radiofonici di un tempo sono diventati oggetti “vintage” di culto, ricercati da collezionisti appassionati (su Amazon si trovano molte offerte in proposito), non meno delle piccole e fantasiose radioline a transistor.
Ma forse nessuno smartphone di oggi può restituire l’emozione e il calore che dava una radiolina incollata all’orecchio, soprattutto quando l’inconfondibile voce cavernosa di Sandro Ciotti interrompeva Enrico Ameri per dirgli: “Scusa, Ameri: il Genoa ha segnato”.