Nella lingua latina il verbo “donare” presenta due diverse costruzioni.
La prima è identica all’italiano: “donare alĭcui alĭquid” = “donare a qualcuno qualcosa”. Quindi, ad esempio, si poteva dire “dono tibi librum” = “dono a te un libro” o anche “Romani Latinis civitatem donaverunt” “i Romani donarono ai Latini la cittadinanza” (ma non il reddito di cittadinanza), ecc.
C’era però un’altra costruzione, alternativa e più ricorrente: “donare alĭquem alĭquā re”, cioè letteralmente “donare qualcuno con qualcosa”, con costrutto assai diverso dall’italiano. Gli esempi precedenti diventerebbero dunque rispettivamente “dono te libro” e “Romani Latinos civitate donaverunt”.
Che cosa sta dietro a questa doppia costruzione? Vediamo di rifletterci un po’.
La prima costruzione, quella anche nostra, mette l’accento sul “dono”: “io dono a te”… che cosa? un libro, una rosa, un telefonino, ecc. In queste espressioni conta “che cosa” si dona, mentre il destinatario è accessorio: libro, rosa, telefonino, ecc. si possono regalare a chiunque.
L’altra costruzione, quella alternativa, mette invece l’accento sulla “persona”: io questa cosa la dono “a te” e non a un altro; quello che conta, più del dono che si fa, è la “persona” che riceve il dono. Insomma, ha importanza prioritaria la “personalizzazione” del dono: io “riempio del dono” te, te e non un altro.
La cosa ci fa riflettere su quanti doni sbagliati abbiamo fatto o ricevuto, pensando più al “dono” da fare (magari come obbligo o dovere) che alla “persona” destinataria. Abbiamo trasformato lo scambio di regali in un “do ut des”, o comunque in un rituale “im-personale”, burocratico, magari anche poco sentito.
Un esempio mi viene sempre in mente: quando mi laureai, nel 1976 all’età di 22 anni (laurea allora quadriennale e unica), fra i tanti regali ricevuti ne ricevetti uno francamente sbagliato: un “kit da fumatore” (accendino da tavolo in onice, sigarette e sigari, portacenere, portasigarette, altri strani accessori incomprensibili). Il problema era infatti che io non ho mai fumato in vita mia (anche perché al “fumo” ho sempre preferito “l’arrosto”). Quindi il kit fu archiviato fra le cose inutili (oltre che, in prospettiva, politicamente scorrette).
Bisognerebbe che imparassimo dagli antichi Romani, che avevano un senso pragmatico che a noi lontani discendenti è spesso del tutto estraneo.
Lo scriveva il filosofo Seneca nel suo “De beneficiis”: “Cerchiamo di capire quale dono, una volta offerto, sarà motivo del più grande piacere, quale dono potrà spesso balzare agli occhi della persona a cui lo daremo, così che possa trovarsi in nostra compagnia ogni qual volta si troverà accanto ad esso. Ma soprattutto, faremo attenzione a non offrire doni inutili” (I 11, 7).
E quindi, al prossimo regalo che faremo, valutiamo bene non “che cosa” stiamo regalando, ma anzitutto “a chi” stiamo indirizzando il nostro dono; e, se sapremo ben capire “chi” è il nostro destinatario, se ne valuteremo i gusti, il pensiero e il carattere, difficilmente sbaglieremo nel trovare per lui un dono che lo faccia contento.
Si potrà ribattere che oggi non c’è il tempo di fare tutte queste analisi e che, specie in alcuni periodi dell’anno o in certe ricorrenze, occorre “spicciarsi” e procedere comunque ai regali, pur di poter rispettare un “obbligo”. Benissimo: ma almeno prima informatevi se uno fuma o no.
bellissima riflessione…Io, nata nel 1955, ho avuto una storia simile alla sua, in tutti i sensi. La riflessione aiuta a capire, finalmente unendo materiale e immaginario, l’anima che dovrebbe avere un dono.
Grazie per la sua attenzione. Un cordiale saluto