Sei anni fa, il 9 gennaio 2018, si spegneva a Bagheria mio cugino Salvatore Pintacuda; eravamo figli di fratelli, io di Salvatore e lui di Antonino Pintacuda; sua madre era Anna Vella.
Era nato a Bagheria il 26 agosto 1937; pochi anni dopo ebbe una sorella, Giovanna, che sposò il poeta Pietro Maggiore.
Salvatore, chiamato da tutti “Totuccio” per distinguerlo da mio padre (che era suo padrino e omonimo, ma era detto “Totò”), si laureò in Medicina e Chirurgia il 26 luglio 1961, con 110/110 e lode e ammissione al Premio Albanese.
Dopo il servizio militare, prestato come ufficiale medico a Persano (SA), fu nominato nel 1964 assistente volontario.
Nel 1968 divenne Assistente incaricato alla cattedra di Medicina del lavoro a Palermo, dove era stato allievo interno fin da studente.
Nel 1969, in seguito a concorso, divenne assistente ordinario. Conseguì la specializzazione in Medicina del lavoro nel 1963 e la libera docenza in Medicina del Lavoro nel 1968.
Nel 1973 fu trasferito alla cattedra di Patologia speciale medica e Metodologia clinica, con la qualifica di aiuto universitario; successivamente, nel 1977, passò alla cattedra di Clinica medica generale e Terapia medica.
Nel 1983 fu nominato Professore Associato in Fisiopatologia medica; venne confermato nel ruolo nel 1988, essendosi occupato, oltre che del corso ufficiale d’insegnamento, anche di attività didattica e organizzativa nelle scuole di specializzazione di Medicina interna, Medicina del lavoro e Nefrologia.
Oltre l’attività universitaria, didattica e assistenziale, fu medico ambulatoriale convenzionato con le mutue nazionali dal 1964 al novembre 1988, quando scelse il rapporto esclusivo a tempo pieno per l’assistenza ospedaliera.
Negli Anni Novanta proseguì la sua attività didattica di associato in Fisiopatologia medica presso l’Istituto di Medicina interna e Geriatria e nelle scuole di specializzazione in Medicina interna e in Geriatria, nonché l’attività assistenziale ospedaliera, cui partecipò con diritti e doveri (guardie incluse), fino al pensionamento, nel 2002. Ma per altri tre anni contribuì poi, a titolo gratuito, all’attività della Scuola di Medicina interna, come Docente e Coordinatore.
Totuccio (non posso evitare di chiamarlo come lo ho chiamato sempre) apparteneva alla vecchia scuola del prof. Giovanni Fradà, che insegnava soprattutto la capacità di ricavare la diagnosi dalla visita medica del paziente (non, come si usa oggi, da decine e decine di esami clinici magari superflui). Era dunque in grado di trovare le diagnosi esatte, di indicare le terapie opportune e di risolvere anche i casi più “difficili” grazie ad una straordinaria capacità induttiva e, soprattutto, grazie all’altissima attenzione professionale e umana a ogni singolo caso esaminato.
Molti ricordano il garbo, la gentilezza e direi l’affettuosità che aveva con i pazienti: come mi hanno raccontato diverse persone, andava addirittura a visitare alcuni malati a domicilio – anche senza essere chiamato – per controllarne il decorso clinico (cosa impensabile oggi, quando molti medici sono stati fagocitati dalla burocratizzazione e dalla spersonalizzazione della loro nobile e preziosa missione).
Allego una foto del 1974 che lo mostra sorridente prima di andare al lavoro (quanti vanno al lavoro sorridendo?), con la sua immancabile “borsa ‘i mièricu” (come la chiamavano i nostri zii).
Per quanto riguarda la sua vita privata, si sposò nel 1972 con la dott. Annamaria Monastero (una delle poche persone che ha tentato – con scarsa fortuna – di chiamarlo “Totò” anziché “Totuccio”) ; ha avuto tre figli, adoratissimi (Marco, Sara e Luigi) e due bei nipotini.
Totuccio riassumeva in sé tutti i principali genetici difetti della nostra stirpe “pintacudiana”: era educatissimo, modesto e perfino schivo, garbato, disponibile, disinteressato, sorridente, ironico, pronto allo scherzo e alla battuta, creativo, un po’ disincantato, sempre disposto ad aggiornarsi e a tenere il passo delle innovazioni tecnologiche. Non era ambizioso quanto avrebbe potuto e dovuto, non divenne mai primario, non sapeva essere “traffichino” né cacciatore di favori e privilegi. Ma quando c’era un caso difficile, una patologia controversa, un’indicazione terapeutica dubbia, anche i medici più illustri lo consultavano e a volte gli chiedevano lumi.
Aveva, in più, un’ottima manualità: aggiustava tutto, costruiva oggetti (da precursore del bricolage), sapeva “cataminarsi” nei lavori domestici (era specializzato nel riparare le serrande della casa di mia madre, che lo chiamava in soccorso quando le si guastavano…).
In particolare, Totuccio era appassionato di fotografia e cinematografia: coltivava questi hobby a livelli che si possono definire senz’altro professionali. Fin dagli anni Cinquanta ha realizzato foto e filmini di Bagheria, di altissimo livello anche registico e degno di una famiglia che ha dato al suo paese (o Paese?) anche un grande fotografo come Mimmo Pintacuda (maestro di Peppuccio Tornatore), poeti e scenografi come Giuseppe “Pippineddu” Pintacuda, sceneggiatori come Paolo Pintacuda (figlio di Mimmo), artisti e studiosi come mio padre, ecc. ecc.
Quando comprava una nuova macchina fotografica, una nuova cinepresa, un nuovo proiettore, un nuovo registratore, saliva subito a casa di mio padre e ci mostrava il nuovo acquisto con la gioia e l’entusiasmo di un ragazzo che ha ricevuto un dono speciale; e subito iniziava con noi gli esperimenti finalizzati a scoprire le nuove potenzialità del nuovo dispositivo tecnologico.
Era anche un cultore della botanica: era molto appassionato di piante, le comprava, le piantava/innestava/trapiantava nel giardino di casa, applicando a questa attività il suo animo “chirurgico”, e inoltre – unendo questa all’altra passione principale – spesso fotografava le piante, ricavandone immagini “artistiche”. Era capace, durante un percorso in auto, di fermarsi solo per fotografare un albero fiorito, un cespuglio, persino un rovo, o un caleidoscopio di fiori colorati su uno sfondo lontano di mare azzurro o di campagna.
Io e Totuccio siamo stati sempre legati da affetto profondo e abbiamo vissuto insieme tanti momenti, belli o tristi.
Per quanto riguarda i primi, potrei citare pranzi e cene, le lunghe chiacchierate, la musica ascoltata insieme (un’estate era stato folgorato dai Creedence Clearwater Revival e me ne proponeva l’ascolto assiduamente per… “convertirmi”), le serate al cinema (in estate, quando ero ragazzo andavo spesso con lui all’arena), i filmini (insieme abbiamo realizzato degli inqualificabili cortometraggi western o spionistici), le feste, i matrimoni (in particolare il suo e il mio, entrambi con trattenimento a Villa Igiea), le gite e i viaggi (allego una foto che ci ritrae insieme nell’isola greca di Egina il 2 agosto 1971, durante un “mitico” viaggio che facemmo insieme).
Ho voluto che fosse mio testimone il giorno del mio matrimonio (28 aprile 1984), insieme con mio zio Francesco Rizzo.
I ricordi meno belli sono invece, ovviamente, legati ai momenti in cui era necessario ricorrere al Totuccio-medico: fu lui a curare mio suocero, il dott. Ernesto Ponte, riportandolo in vita quando tutti lo davano per spacciato, comprendendo la giusta diagnosi da un’accurata visita personale e da un’attenta riflessione clinica, trovando – lui solo – la terapia giusta ed efficace.
Anche molti anni dopo, quando mio padre si ammalò gravemente, Totuccio lo curò giornalmente sino all’ultimo momento, con una dedizione e un affetto per me indimenticabili; del resto aveva sempre adorato “u parrinu” (così lui chiamava mio padre) e ne era ricambiato pienamente.
Se ne è andato, dopo lunga malattia, il 9 gennaio 2018. Negli ultimi mesi lo andavo a trovare nonostante il dolore profondo che mi dava la vista delle sue sofferenze; e cercavo di distrarlo parlandogli del Palermo (di cui era appassionato tifoso), dei suoi carissimi figli (di cui era fieramente orgoglioso), di curiosità varie (di cui era inesauribile collezionista).
Un film molto bello della regista americana Randa Haines (1991), con William Hurt protagonista, si intitolava nella sua versione italiana “Un medico, un uomo” (titolo più efficace rispetto all’anodino titolo originale, “The Doctor”); ora io, parafrasandolo, posso dire che Totuccio Pintacuda è stato “un grande medico e un grande uomo”; quindi non posso dimenticarlo, come non lo dimenticano i suoi familiari e i suoi cari tantissimi ex pazienti, colleghi ed estimatori, che ne conservano intatti l’ammirazione e il ricordo.
Confermo ogni parola di questo articolo. Totuccio Pintacuda era veramente un grande uomo e un grande medico.
Totuccio , come noi tutti lo chiamavamo, era una persona gentile, dolce e sensibile , non a caso lo avevamo scelto come il padrino di Clara , la mia bambina oggi diventata donna. Mi piaceva molto il suo sorriso e la sua ironia , il suo modo di dire cose profonde e importanti giocando con le parole ,anche se a volte dovevi pensarci un po’ per capire le sue freddure. Oltre ad essere un bravo medico , preparato e puntiglioso , era anche un artista , aveva il senso del Bello e quella capacità di cogliere e fermare i momenti , che è proprio dei grandi fotografi .anche se per lui la fotografia era solo una passione , una sorta di gioco in cui coinvolgeva piccoli e grandi trasformati in modelli in posa Sono particolarmente belle le foto in bianco e nero che ci ha fatto e donato quando eravamo bambini e quelle che ha fatto ai miei bambini in occasioni speciali quali comunioni e tanti compleanni. Momenti belli e gioiosi che rimangono nella nostra memoria e ritornano vivi e presenti guardando qualcuna delle sue foto.
Anch’io lo ricordo con stima e ammirazione. Mi ha aiutato nella tesi di laurea del 1973. Grande medico e grande uomo
Un grande Uomo un grande Medico. Ho lavorato con lui per decenni. Un solo difetto se così si può dire: l’eccesso di modestia.
Questo purtroppo è un nostro tratto genetico quasi indelebile. Grazie del suo ricordo.
Ho letto con attenzione e con commozione quanto scritto. Ho avuto la fortuna di apprezzare il Medico e l’Uomo che erano nel Prof. Pintacuda, dotato di un’umanità fortissima per la quale prima studente, poi medico e infine Professore di Medicina Interna ho avuto la fortuna di apprezzare. Il ricordo del Professore Pintacuda è indelebile per quando mi ha insegnato.