Sul sito di “Repubblica” ieri, 9 gennaio 2024, si leggeva: «La polizia britannica sta indagando su un’aggressione sessuale “virtuale” ai danni di una ragazza, identificata solo come di età inferiore ai 16 anni, in quella che si dice sia la prima indagine di questo tipo nel Regno Unito. Secondo quanto riferito, la ragazza indossava un visore per la realtà virtuale e stava giocando a un gioco immersivo nel metaverso quando il suo avatar è stato attaccato da molti altri».
In altre parole, la ragazza ha subìto una violenza sessuale di gruppo a livello virtuale. Ora, come prosegue l’articolo, la questione se lo stupro virtuale sia assimilabile a una violenza reale risale almeno al 1993, quando il “Village Voice” aveva pubblicato un articolo di Julian Dibbell su “uno stupro nel cyberspazio”: «L’articolo di Dibbell riportava come le persone dietro gli avatar che sono stati aggrediti sessualmente in una comunità virtuale provassero emozioni simili a quelle delle vittime di stupro fisico». Analogamente, dunque, «lo stesso vale per la sedicenne in questione, il cui avatar è stato attaccato nel metaverso». Un alto funzionario di polizia, interpellato dal Daily Mail, ha dichiarato in proposito: «C’è un impatto emotivo e psicologico sulla vittima che è più duraturo di qualsiasi lesione fisica». Inoltre, «la qualità immersiva dell’esperienza del metaverso rende ancora più difficile per un bambino, in particolare, distinguere tra ciò che è reale e ciò che è finzione».
Di conseguenza, nel caso specifico, nonostante la minorenne non abbia ricevuto lesioni fisiche, potrebbe aver riportato – secondo la polizia – un trauma psicologico simile a quello provato dalle vittime di uno stupro fisico.
La notizia fa riflettere e fa il paio con altre.
Una, di stamattina, è relativa allo stato d’emergenza in Ecuador. Come si legge sul sito di Sky TG 24, «L’Ecuador è nel caos, le scene di violenza si susseguono e il clima è esplosivo. Il presidente Daniel Noboa ha decretato “il conflitto armato interno”, ad integrazione di quello con cui ha introdotto uno stato di emergenza per 60 giorni, e “guerra” ai narcos, ordinando l’evacuazione immediata del Parlamento e di tutti gli uffici pubblici della capitale Quito». Ebbene, le scene di violenza mostrate in Tv presentano i loro responsabili in atteggiamenti “da videogiochi”, in pose da GTA, con manifestazioni belluine (più che belliche) di degradazione umana.
Si potrebbe anche citare il passatempo delirante di quei ragazzi di Milano che, alle 2 dello scorso 4 gennaio, hanno teso un filo di acciaio ad altezza d’uomo in viale Toscana mettendo in pericolo la vita di motociclisti, ciclisti e automobilisti. Il principale responsabile, tale Alex Baiocco, ha definito il gesto criminale “una bravata per noia”. In altre parole, i tre giovani si erano “messi a guardare”, come in un videogioco o in una fiction TV, quello che succedeva.
Gli esempi potrebbero continuare, ma le conclusioni sono chiare: molti giovani stanno perdendo sempre più il senso della realtà reale, sostituendolo con proiezioni deformate della virtualità in cui ormai vivono immersi. La mancanza di ogni rispetto della vita umana, la violenza bestiale, l’incomprensione dell’altro, la conflittualità primordiale diventano le caratteristiche di una vita sbandata e priva di ogni regola.
Per di più, questa situazione non viene avvertita e capita dagli interessati, che hanno sempre meno strumenti per capirla, proprio perché vivono immersi in un diluvio “social media” che onnubila le loro menti, le allontana dalla vita reale e le immerge in un mondo parallelo violento e irrazionale.
Ovviamente e fortunatamente non tutti i giovani sono così; ma è innegabile che anche quelli immuni da questi “deragliamenti dei sensi”, che condannano e rifiutano tali atteggiamenti, vivono di fatto immersi nello stesso tipo di mondo “deformato”, prendono atto con stupore e perplessità di tali eventi sempre più frequenti e fanno sempre più fatica a percepire e mantenere il labile confine fra realtà e virtualità.
A chi toccherebbe risolvere un simile epocale problema?
Alle famiglie, anzitutto, che non dovrebbero disinteressarsi alle “avventure virtuali” dei loro figli e avrebbero il dovere di ricondurli sui binari della realtà, con un dialogo insistente e aperto.
Alle scuole, ovviamente, che su questo tema dovrebbero lavorare con molta più attenzione.
Alle autorità politiche, che alla repressione delle illegalità dovrebbero affiancare una prevenzione concreta di esse.
Resta però la sensazione e la convinzione che il trionfo del “multiverso” e del “metaverso” sia comunque deleterio. Basti citare l’affermazione di Tom Sweeney, amministratore delegato di Epic Games, uno dei personaggi più influenti in fatto di tecnologie per il gaming e mondi virtuali in 3D: «Credo che il metaverso potrà essere un social media 3D in tempo reale in cui non si scambiano messaggi in maniera asincrona, ma ci si ritrova in un mondo virtuale dove è possibile fare sostanzialmente qualsiasi cosa».
Ecco. Un mondo in cui “è possibile fare sostanzialmente qualsiasi cosa” appare come un delirante nirvana in cui la mente umana rischia di perdersi irrimediabilmente.
A questo punto speriamo, fortemente speriamo, che il nostro misero e obsoleto “universo” riesca ancora a prevalere sulla molteplicità dei mondi possibili.