Ieri alle ore 17 si sono concluse al Viminale le operazioni di deposito delle liste per le prossime elezioni per il Parlamento europeo, previste per l’8 e 9 giugno. Sono stati presentati ben 42 simboli, anche se «non tutti i simboli presentati supereranno il vaglio degli uffici elettorali e molti di questi si ritroveranno nella bacheca dei “ricusati”, per esempio per non aver raggiunto la soglia delle 15.000 firme da raccogliere in ognuna delle 5 circoscrizioni» (dal sito de “Il Sole 24 ore”).
I Telegiornali si sono in particolare soffermati sul simbolo del Partito Democratico, nel cui logo non sarà più inserito (come stava per avvenire) il nome della segretaria del partito, Elly Schlein; la leader democratica, in diretta Instagram, ha dichiarato di voler rinunciare a «una proposta più divisiva che rafforzativa».
Purtroppo invece Silvio Berlusconi, trovandosi nell’aldilà, non ha potuto parallelamente comunicare in tempo al suo partito, Forza Italia, di rinunciare alla dizione “Berlusconi presidente”; Giorgia Meloni, invece, non ha avuto alcun problema a far troneggiare, fra la fiamma tricolore e la scritta “Fratelli d’Italia”, il proprio nome a caratteri cubitali, a scanso di equivoci; quanto al simbolo della Lega, sotto l’icona del suo minaccioso guerriero, presenta ancora la scritta (augurale?) “Salvini premier”.
Al di là della “personalizzazione” dei partiti, che vengono presentati ai cittadini come l’incarnazione delle personalità che li guidano e non come la libera espressione del pensiero degli elettori, sembra perfettamente lecita l’osservazione dell’anziano (ahimè troppo anziano) leader Romano Prodi, che ieri a Napoli ha dichiarato: «Perché dobbiamo dare il voto a una persona per farla vincere e, se vince, di sicuro non va in Europa? Sono ferite della democrazia che piano piano scavano il fosso per cui la democrazia non è più amata».
Innegabilmente, farsi votare sbandierando il proprio nome, il proprio ruolo e il proprio presunto carisma per poi rinunciare al seggio europeo e continuare in Italia la propria perenne campagna elettorale, non sembra affatto una manifestazione di sensibilità democratica, ma sa tanto di presa per i fondelli ai danni dei cittadini.
Ma non è tutto.
Fra i 42 simboli presentati ieri al Viminale, ce ne sono alcuni che brillano per la loro bizzarria: c’è il “Movimento Poeti d’Azione” dell’attore Alessandro d’Agostini, c’è “Esseritari” dello scrittore Luciano Chiappa (che forse identifica i cittadini con “esseri condannati a pagare la Tari”), c’è il DAINO (Difesa animalista indipendente nazionale organizzata), c’è “Panzironi per la rivoluzione sanitaria” (Adriano Panzironi, altro personaggio che ama sbattere il proprio nome nel logo, è ideatore del progetto “Life120”, un regime alimentare che a suo parere permetterebbe di vivere fino a 120 anni; se fosse vero, bisognerebbe farlo subito premier!), c’è il “Partito dei pirati europei” (esponenti di una concezione libertaria del cyberspazio).
C’è, infine, udite udite, il SRILC (“Sacro romano impero liberale cattolico”), che ha per sua leader (da trent’anni) l’avvocato Mirella Cece. Nel suo sito si legge che la Cece è stata “da sempre avversata da spregiudicati politici che vedevano in lei una temibile rivale”, mentre l’immagine fornita è quella di una paladina della legalità (l’ennesima paladina della legalità nel Paese in cui trionfa l’illegalità) impegnata in una lotta furiosa contro la disonestà dei politici (dei quali evidentemente non ritiene di fare parte).
Il bello è che la singhiozzante sigla SRILC, pur presentandosi agli elettori da decenni, non ottiene mai consensi tali da far sperare in un ritorno al potere di Carlo Magno; ma tant’è, basta – in nome della finzione della democrazia – aggiungere sigle su sigle per confondere gli elettori e prenderli meglio in giro.
In questo scenario, non fa meraviglia che il primo partito d’Italia continui ad essere quello che io identifico nella sigla P.A.I. (Partito Astensionista Italiano): tanto per limitarci alle ultime notizie, alle elezioni regionali di domenica 21 e lunedì 22 aprile in Basilicata ha votato il 49,8 per cento degli aventi diritto di voto, con una percentuale in calo rispetto al 53,5 per cento registrato alle precedenti regionali del 2019. Dunque, in Basilicata ha votato meno di un elettore su due.
Non a caso, ieri il Presidente Mattarella a Lubiana ha lanciato un appello alla responsabilità: «Tra qualche settimana, circa 400 milioni di cittadini andranno al voto. Sarà un grande esercizio della democrazia e mi auguro che vi sia una grande partecipazione, perché in questo modo i cittadini sono protagonisti del loro futuro. Sarà poi compito delle istituzioni europee e dei governi fare in modo che l’Unione diventi un soggetto protagonista della scena internazionale».
Ma chi ascolta gli appelli alla ragionevolezza, oggi, in questo mondo che ha smarrito la ragione?
È molto più facile andare dietro agli strombazzanti protagonismi dei leader politici, alle sigle politiche più fantasiose e inconcludenti, alle facili sirene del disinteresse e del disimpegno politico.
Tanto, anche se per assurdo dovesse tornare al potere Carlo Magno, di “sacro” nel rinato “romano impero” resterebbe ben poco.