Nel giorno di San Valentino, ci può stare una riflessione indotta dall’ascolto delle canzoni del Festival di Sanremo. Ebbene, la cosa curiosa è che, dopo aver sentito i tanti motivi in gara, l’unico ritornello che resta in testa e che si riesce a cantare è: “Ma tu volevi solo / cuoricini, cuoricini / Pensavi solo ai cuoricini, cuoricini / Stramaledetti cuoricini, cuoricini”.
La canzone “Cuoricini” è interpretata dal duo “Coma_Cose” (con tanto di lineetta bassa intermedia), composto da Fausto Lama (pseudonimo di Fausto Zanardelli) e California (al secolo Francesca Mesiano), che sono una coppia anche nella vita.
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Come si legge sul sito di radio Deejay, la spiegazione del nome “Coma_Cose” è questa: «“Coma” voleva essere un nome provocatorio, riferito ad un momento storico e sociale in cui bisogna un po’ svegliarsi; ma per Instagram abbiamo notato che “Coma” era già occupato. E allora ci siamo messi a pensare a qualcosa che avesse a che fare con “coma”, le cose che hanno a che fare con coma». Procedura un po’ cervellotica, che mirava ad unire lo stato dell’anima e della mente a quello della realtà fattuale; fatto sta però che il duo ha ottenuto una crescente popolarità e l’anno scorso ha pubblicato due singoli (“Malavita” e “Posti vuoti”) che hanno avuto molto successo.
La canzone “Cuoricini” affronta il tema dell’amore e delle relazioni nell’attuale epoca dei social: i “cuoricini” sono i “like” con cui, con un clic frettoloso, si usa oggi dare il proprio assenso a qualcosa (in fondo sono il contrario del “pollice verso” con cui gli antichi Romani condannavano i gladiatori ad essere uccisi).
Il testo racconta gli alti e bassi di una coppia che si cimenta quotidianamente con la superficialità delle relazioni odierne, ridotte a semplici applicazioni di “cuoricini” a buon mercato. In questo contesto, l’amore e l’autostima diventano simboli vuoti (“stramaledetti cuoricini, / cuoricini che mi tolgono il gusto di sbagliare tutto”), mentre il rapporto fra i partner retrocede a squallida routine (“un divano e due telefoni / è la tomba dell’amore”); siamo impantanati in una “pozzanghera” (“Oggi mi sento una pozzanghera / se l’ansia mi afferra / con lo sguardo verso il cielo / ma il morale per terra”) e il nostro stato d’animo ricorda la maionese che “impazzisce” (“Se mi trascuri impazzisco / come maionese / Ci sto male, male male male”).
Il messaggio, indubbiamente attuale, è veicolato attraverso una linea melodica “scanzonata”, che a un certo punto martella il ritornello in modo incalzante, come a ribadire l’ossessivo ritorno dell’ineludibile dinamica comunicativa (o “non-comunicativa”) di oggi. Strofe e “bridge” (cioè i passaggi musicali di transizione formale meno legati alle strutture canoniche) risultano influenzati dalla musica degli anni ‘80, mentre le chitarre ricordano un po’ quelle di Brian May dei Queen.
Nella stessa direzione va il look scelto dal duo fin dalla prima esibizione di martedì scorso: «La collezione d’elezione è sempre la Pavillon des Folies: California ha indossato una camicia ricamata in georgette color betulla con ricami argento, gonna in organza con ricami argento e frange e calze in pizzo rosso, il tutto completato da un paio di decolleté Valentino Garavani Foliefoliage e da una collana Coeur Royal di perle con pendente a forma di cuoricino rosso. Fausto Lama ha indossato una giacca in lana color burro e camicia in cotone celeste. Pantaloni in lana grigio fango. Il tutto completato da stivali Valentino Garavani Pat e una preziosa spilla Coeur celeste con dettagli in cristallo.» (da www.vogue.it).
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Ma, al di là di tutte queste considerazioni, resta l’impressione citata all’inizio: la canzone, piaccia o no, “resta” in mente. E nel marasma di tanti altri motivi senza infamia e senza lode, con testi incomprensibilmente biascicati dai loro istoriati interpreti e aggiustati astutamente dall’uso sleale dell’autotune (ne sanno qualcosa il nerovestito Fedez e Irama), questa canzoncina almeno ha il merito di regalarci un motivetto da canticchiare.
Passiamo ad un’altra considerazione.
C’è una canzone in gara che svetta sulle altre per il testo; ed è ovviamente “Quando sarai piccola” di Simone Cristicchi, dedicata alla madre Luciana malata di Alzheimer.
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Il testo, fortemente poetico e patetico, colpisce immediatamente l’animo di chi ascolta (e non solo quello di chi ha purtroppo provato o sta provando una situazione familiare analoga). Le lacrime degli spettatori e le migliaia di commenti sui social testimoniano un coinvolgimento emotivo profondo e raro: proprio questo dovrebbe far riflettere chi, in nome di cervellotiche elucubrazioni che gli impediscono sempre e comunque di commuoversi, considera questa canzone come un astuto e pietistico espediente per avere successo. Se non fosse lecito a Cristicchi parlare di alzheimer, dovremmo ritenere che ogni canzone che parla di un tema attuale sia una furbata opportunistica; ma, come la letteratura, anche la musica, persino quella leggera o “leggerissima”, può e deve essere “impegnata” e anzi si dovrebbe essere contenti quando questo impegno arriva direttamente al cuore della gente.
Quanto all’altra obiezione degli stessi critici, che ritengono inaccettabile per il festival di Sanremo una canzone più “recitata” che cantata, basterebbe ricordare “Signor tenente”, presentata dal compianto Giorgio Faletti al Festival di Sanremo 1994, che nasceva dal ricordo delle stragi di mafia e denunciava in modo lancinante le condizioni lavorative delle forze dell’ordine (in particolare dei Carabinieri); la frase “min***, signor tenente”, che introduce ogni strofa della canzone, citava una battuta pronunciata da Diego Abatantuono nella scena finale del film “Mediterraneo” (1991) di Gabriele Salvatores, con un analogo sentimento di disillusione.
Ebbene, se in “Signore tenente” Faletti cantava soltanto la breve introduzione, si può accettare che Cristicchi declamando i suoi bellissimi versi canti poco; però quel poco c’è, non è supportato da nessun autotune di comodo, è interpretato con una tensione palpabile e soprattutto culmina, in un crescendo emotivo evidente, nelle lacrime sincere del finale. Alla faccia di chi non sa piangere mai.
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Vorrei infine ricordare che il cantautore romano ha al suo attivo molte altre canzoni di grande impegno sociale: basti qui ricordare “Ti regalerò una rosa” (vincitrice del festival del 2007) che affrontava il tema della malattia mentale e “Studentessa universitaria” del 2005 con il suo testo di un’efficacia evocativa straordinaria («Studentessa universitaria, triste e solitaria / nella tua stanzetta umida / ripassi bene la lezione di filosofia / e la mattina sei già china sulla scrivania / e la sera ti ritrovi a fissare il soffitto. / I soldi per pagare l’affitto / te li manda papà…»).
In conclusione, buon San Valentino, si spera con meno “cuoricini” e più “cuore”!