I “picciriddi”… Quante preoccupazioni danno, quante volte fanno perdere la pazienza!
Da qui, improperi, rimproveri e minacce:
- “Salvuccio, se non la smetti te le dò buone!” (ovviamente si parla di scappellotti e percosse, anzi “legnate” come si suol ancora dire in ricordo delle punizioni assestate con la “cucchiaredda” di casa…).
- “Guarda che abbuschi!” (si prospetta una bella sculacciata).
- “Una fraccata di legnate ti dò!” (idem)
- “Il bambino ha la grevianza”. (è un bambino che è di cattivo umore, scocciato, disposto quindi a commettere una marachella dopo l’altra).
- “Che fa, vuoi attaccare turilla?” (detto di bambino che non aspetta altro che un’occasione per litigare; ma l’espressione si può estendere ad alunni poco cresciuti mentalmente…).
- “Me l’ha fatta negli occhi!” (con riferimento, stavolta, a un ragazzino terribile che ha approfittato istantaneamente di un’occasione per fare qualche monelleria senza essere scoperto, anzi “sgamato”).
- “A sto bambino gli occhi gli corrono dappertutto” (detto di bambino anche troppo sveglio, che nota tutto…).
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Certi ragazzini sono incontenibili:
- “Mio figlio, forte che comincia, chi lo ferma più?”
- “Non ci può niente. Questo bambino mi fa smuovere i nervi”
- “Mio figlio è una pìspisa” (cioè “vivacissimo”).
In casi come l’ultimo citato bisogna tenerli per mano: “Col bambino mano manuzza camminàvamo” (si noti l’accento sdrucciolo dell’imperfetto…).
A volte si ricorre alle trattative, ai compromessi: “Se ti stai bravo, ti compro il gelato”.
Il momento più bello è quando i piccoli crollano addormentati: “Gli occhi a pampinella ha il bambino!”, “La bambina è messa che dorme” (equivalente locale del present continuous inglese: she is sleeping…).
Ma anche la pace della notte viene a volte tragicamente interrotta: “Con questo bambino che la notte piange, siamo consumati!” (ed “essere consumati” vuol dire essere davvero mal ridotti, rovinati, allo stremo…).
Per non parlare di certi problemi organico-fisiologici: “Il bambino addosso se l’è fatta: mi che feto!”;
oppure: “Il bambino tutto si è rovesciato!” (e qui non si parla di un bambino che sta sull’ottovolante, ma di uno che ha vomitato tutto quello che aveva mangiato…).
Però, che soddisfazione per un padre siciliano, cogliere nei tratti somatici del figlio qualcosa che sottolinea la continuità genetica con la stirpe (a danno, magari, della stirpe materna): “Questo bambino somiglia alla nostra partita”.
E la parentela diventa “appartenenza”: “Tu, bambino, a chi appartieni?” (cioè “di quale famiglia sei parte”?).
Se il bambino mostra di essere sveglio e di crescere in fretta, il padre sottolinea con orgoglio che “se la fida” (cioè “riesce bene”) a fare le cose…
Grande soddisfazione, poi, è notare e far notare la continua crescita dei pargoli: “mi, tuo figlio sta spicando!” (cioè “spicca” sempre più per altezza…).
Inutile dire, però, che lo stesso “pater familias” comanda e pretende:
- “La colazione la voglio portata a letto”;
- “Voglio essere telefonato alle sei” (non un minuto dopo…);
- “Non ci appattano, queste scarpe!” (alla moglie, con l’invito a portargliene un altro paio…).
Le tradizioni familiari sono ricordate, affermate, esibite; così si ricordano:
- le date importanti (“I miei sposarono nel 1960”, con uso assoluto ed intransitivo del verbo “sposare”; “Toti e Mario si levano due mesi”, cioè sono nati a due mesi di distanza);
- i meriti dei genitori (“I miei genitori sempre mi hanno garantito”, cioè “mi hanno sempre protetto e tutelato”);
- le origini familiari (“Io di mia madre sono Lo Cicero”, cioè il cognome materno è Lo Cicero);
- gli incidenti di percorso (“Mia figlia all’epoca ha fatto la fuitina”, cioè se n’è scappata da casa con il suo innamorato per obbligare poi la famiglia ad accettare le nozze…);
- i parti e le nascite (“Sua moglie ha comprato un bambino”, eufemismo derivante da censura moralistica).
La vicinanza con i figli è ideologica ma anche, auspicabilmente, materiale: “Io e mia figlia muro con muro stiamo” (cioè “stiamo di casa uno accanto all’altra”).
Un disagio notevole è invece la lontananza logistica: “Dove perse le scarpe il Signore abiti!” (cioè “in capo al mondo”).
In altri casi sono gli impegni (non necessariamente di lavoro) a rendere “irreperibili” le persone care: “Per io parlare con mio fratello ci vuole trovarlo”.
Certo, non mancano contrasti, screzi, litigi fra padri e figli:
- “Mio padre ha fatto l’opera!” (non si tratta di Verdi o Bellini, ma di un padre iracondo).
- “Quando mia figlia se ne andò da casa vera e propria fu giorno quattordici” (data storica e precisazione cronologica).
- “Mio figlio mentre che parlavo mi lasciò in tredici” (cioè “mi ha piantato in asso”; il numero 13 era legato a connotazioni negative…).
- “Mio padre è vero testone, è difficile accordarlo” (cioè “convincerlo” con una pacata discussione…).
- “Mia figlia tosta è [cioè di carattere forte e determinato]: io la rimprovero, e lei sai come se ne viene?” (“sai che mi ha detto?”).
- “Mi mamma, che sei camurrusa! A tutto ti apprechi!” (figlio/a che sbotta contro una madre troppo scocciante, che sta attenta ai minimi dettagli).
- “Eh che luffa che hai!” (quindi sei pigro e indolente, non vuoi fare niente…).
- “Non mi inquietare!” (cioè “non rompermi le scatole”…).
- “Recita la poesia, Peppuccio, non ti affrontare!” (cioè “non ti vergognare”).
- “Mio figlio studia poco, ci piace scaminare!” (cioè andarsene a spasso…)
Dei familiari, quando proprio è necessario, si ammettono a denti stretti limiti e momenti-no: “Mio figlio non è cosa da tavolino” (detto di un ragazzo poco propenso ai lavori d’ufficio); “A mio marito gli è partita la testa!” (cioè è impazzito).
Ma per i familiari, anche acquisiti, si fa di tutto: “Ci ho fatto la notte a mia nuora” (grande prova d’affetto, trascorrere la notte al capezzale di un congiunto, ad es. in caso di ricovero ospedaliero).
Per queste ed altre espressioni caratteristiche dell’italiano regionale di Sicilia, rimando al mio volume “Sicilitalia – Scontro-incontro fra lingue, identità e culture”, scritto con Vito Lo Scrudato e Bernardo Puleio ed edito da Pietro Vittorietti, Palermo 2018.
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P.S.: Di recente è stato pubblicato da Piero Libro un volumetto che presenta un analogo quadro dell’italiano regionale di Sicilia: “In Sicilia diciamo noialtri” (Nuova Ipsa editore, 2024), con prefazione di Giovanni Ruffino.
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