La canzone“Nel blu dipinto di blu”, universalmente nota anche come “Volare”, fu composta nel 1958 da Franco Migliacci (testo) e Domenico Modugno (musica); fu presentata per la prima volta al Festival di Sanremo 1958 dallo stesso Modugno in coppia con Johnny Dorelli.
Oltre all’efficacia e alla novità della canzone, contribuì al suo immediato successo l’esecuzione personalissima di Modugno, che “osò” allargare le braccia nell’intonare il ritornello, imitando e raccontando il gesto del volo; batteva inoltre il ritmo con un piede. Può sembrare assurdo: ma a quei tempi i cantanti eseguivano i loro motivi in una immobilità ieratica, con movimenti controllatissimi e circoscritti.
La canzone vinse il festival, sconfiggendo la favoritissima Nilla Pizzi, che restò avvinta alla sua “Edera”.
Iniziò da lì un successo incredibile: negli Stati Uniti “Volare” fu prima in classifica per 5 settimane (unica volta per una canzone italiana); nel mondo riuscì a vendere più di 22 milioni di copie.
La strofa iniziale della canzone è quasi accennata, minimalista; parte con nove note uguali e fa da preambolo ad un ritornello “incalzante, trascinante, del tutto diverso melicamente” (così lo definì Roberto Vecchioni in un suo corso universitario a Torino nel 2001).
Musicalmente, il ritmo propone l’alternanza di piedi diversi nelle varie sezioni della canzone, rivoluzionando quelle che erano allora le strutture “ingessate” della canzone classica all’italiana: l’esordio è “dattilico” (“Pénso che un sògno così non ritòrni mai più”) mentre il ritornello diventa giambico (“Volàre… oh, oh! Cantàre… oh,oh, oh, oh!”), con tanto di anapesto finale (“nel blu, dipinto di blu”). Il ritornello chiude con una serie di anapesti, degni di una pàrodos greca: “E volàvo volàvo felìce più in alto del sole ed ancora più su”.
Quanto al testo, la canzone narra un sogno, ritenuto a priori “irripetibile”: “Penso che un sogno così
non ritorni mai più”. Il “sognatore” compie un rituale preparatorio: “mi dipingevo le mani / e la faccia di blu”. A questo punto avviene il miracolo: “Poi d’improvviso venivo / dal vento rapito, / e incominciavo a volare / nel cielo infinito”.
Il nostro omino blu viene dunque afferrato da un vortice e catapultato nello spazio. E come reagisce? Con giubilo, ovviamente: “Volare, oh oh / cantare, oh oh oh oh / nel blu, dipinto di blu, / felice di stare lassù”.
Molto bella è l’idea di quegli infiniti che azzerano il fattore tempo-spazio: “volare”, “cantare”. Quando, per quanto, come? Non si sa. “Blu” è il cielo; e “dipinto di blu” è l’uomo volante.
Fantastica la genialità mimetica con cui è riprodotto il volo nelle sue fasi: “volare/cantare” sono note discendenti (mi-re-la), mentre “oh oh oh oh” è un entusiastico grido ascendente (sol-si-re-do).
Il volo continua: “e volavo volavo felice più in alto del sole ed ancora più su, / mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù”. Il sogno millenario dell’uomo: volare, guardare il mondo dall’alto, vederlo rimpicciolire e svanire. Volare come gli uccelli, con le ali delle braccia; non sull’ippogrifo ariostesco, non con le macchine disegnate invano dal genio di Leonardo, non con i trucchetti di James Bond, non con i droni odierni. Volare come succede nei sogni, senza timore di precipitare, senza paracadute.
A un certo punto il nostro eroe volatile ode “una musica dolce” e la sente come un dono tutto suo (“suonava soltanto per me”). Dov’è finito? Al settimo cielo? Tra i cherubini? Nell’Artico immune dai coronavirus? Fatto sta che è “felice di stare lassù”.
A questo punto c’è un’improvvisa svolta: “Ma tutti i sogni nell’alba svaniscon perché, / quando tramonta, la luna li porta con sé”. A parte la libertà poetico-astronomica (la luna ha in realtà orari assai mutevoli), il risveglio è traumatico: senza la faccia dipinta di blu, senza il vento propulsore, senza le sinfonie paradisiache, senza quel senso di liberazione e felicità.
Ci sarebbe da avvilirsi. Lui però ha un altro sogno, ben più reale e concreto: “Ma io continuo a sognare negli occhi tuoi belli / che sono blu come un cielo trapunto di stelle”.
Ecco da dove è nato tutto: da un paio di bellissimi occhi blu, quelli di lei, cielo stellato, universo infinito. Ed ecco che, nei due versi finali, la curiosa canzone fantascientifico-astronomico-coloristica si trasforma in una bellissima canzone d’amore.
Era il 1958. Tredici anni prima l’Italia era un infinito ammasso di macerie. Stavano per arrivare gli anni magici del boom. Mimmo Modugno ce l’ha detto per primo: eravamo pronti, finalmente, per volare.
P.S.: Nei primi tempi dell’attuale pandemia, quando eravamo reclusi in casa in un (vero) lockdown, si era diffusa l’usanza dei “flash mob” dai balconi di casa; e quasi sempre le canzoni preferite erano “Azzurro” e “Volare”. Forse perché, in tempi così tristi, tutti vorrebbero tingersi la faccia di blu e tornare a volare, allargando le braccia come Mimmo Modugno.
Speriamo davvero di poterlo finalmente fare, magari accontentandoci di restare a pochi metri da terra: sarà già qualcosa.