Le rane e il re

[Questa favoletta è stata composta da un novello Fedro il 7 febbraio 2021, mentre il neo-premier incaricato Mario Draghi stava per iniziare il suo secondo giro di consultazioni in vista della formazione del nuovo governo.

Il favolista era stato evidentemente colpito dall’imprevedibile transizione, avvenuta nel giro di un mese, fra il secondo governo Conte e una nuova coalizione onnicomprensiva, o quasi; ma siccome i favolisti le cose le vedono a modo loro, ha preferito descrivere così il mutato scenario politico.

E di fronte alle giravolte della politica italiana, se non Fedro, almeno Giuseppe Giusti gli avrebbe sicuramente mostrato la sua comprensione…]

C’era una volta un popolo di rane che, dopo una crudele tirannia, era tornato alla prosperità e al benessere, tanto da essere uno dei più felici al mondo. Le rane però erano divise fra vari colori.

C’erano quelle rosse, ma di un rosso slavato e chiazzato di bianco, che chiedevano provvedimenti sociali, riforme (fino a un certo punto, però), “transizione ecologica”, riforma fiscale (stando attenti a chi venisse colpito), semplificazione burocratica e atteggiamenti di ecumenica concordia.

C’erano rane gialle, giovani e baldanzose, che amavano portarsi uno zainetto sul dorso; un tempo avevano vomitato ferro e fuoco contro lo stato, avevano distribuito un reddito di cittadinanza (fu detto “reddito di rananza”) a tutte le rane purché si mettessero poi a lavorare (c’erano state pure delle rane “navigatrici” che però erano spesso affondate), avevano stabilito a quota 100 la pensione ranesca e avevano stabilito un meraviglioso criterio: “una rana vale una rana”; essendo alle prime armi, non sapevano ancora gracchiare bene (a scuola di “gracchiamento” erano andate assai poco) e amavano ascoltare il canto di un Grillo parlante dei dintorni.

C’erano rane verdi, che un tempo vivevano nel Nord di quel paese ma lo avevano poi invaso tutto (anche la parte meridionale, di cui un tempo avevano detto peste e corna) e chiedevano cose semplicissime e accattivanti: meno tasse, potere alle rane sovrane, diffidenza verso la CER (Comunità Europea delle Rane), condoni fiscali tombali, priorità alle rane verdi (“prima le rane verdi”), chiusura dei confini dello stagno per evitare afflussi di rane di altre paludi.

C’erano anche rane nere, che avevano per capo una ranetta piccolina che sbraitava tantissimo e diceva sempre e solo una parola: “Elezioni”; fra di loro c’era qualcuna che, nelle riunioni politiche, faceva il saluto romano alzando una zampetta; ma la rana piccolina in questi casi chiudeva un occhio, li ammoniva bonariamente e gridava: “Elezioni”.

C’era anche una rana di origine fiorentina, la più gracchiante di tutti, che aveva raccolto intorno a sé delle rane dissidenti, e remava sempre contro tutto e contro tutti, affermando però di non mirare a nessuna tana privilegiata e di mirare al bene di Ranopoli; a volte provava a dire le stesse cose in inglese, ma si bloccava sempre nelle proposizioni causali appena doveva dire “because”.

Come è ovvio, la confusione dilagò sempre più; le rane non riuscivano a trovare più nessun tipo di accordo, per cui decisero di chiedere un re a Zeus. E Zeus, che per scettro aveva un mattarello, mandò loro un piccolo pezzo di legno, un Travicello, il quale, dopo essere stato lasciato cadere nello stagno, con l’improvviso movimento delle acque limacciose e il suo sordo tonfo, spaventò il pavido popolo delle rane.

Le rane gialle e verdi accorsero e, vedendo il Travicello, lo osannarono come loro re; lui, trasformato inopinatamente in un miracoloso Pinocchio, prese vita, forma e anche crescente autorità. Ma dopo un po’, poiché il capo delle rane verdi a un certo punto prese troppo coraggio e osò chiedere pieni poteri, la rana fiorentina riuscì abilmente a spaventare le altre rane gialle e le indusse ad allearsi con quelle rosse semibianche.

E il re Travicello? Fu confermato in carica e anzi si ringalluzzì sempre più. Infatti una terribile epidemia aveva colpito il popolo delle rane ed esse morivano come mosche (che le rane muoiano come mosche può sembrare strano, anche perché poche mosche muoiono come rane; ma può capitare).

Travicello nominò un commissario straordinario, un buffo ranocchio chiamato Arcurocchio, che però non seppe cavare un ragno dal buco (e anche qui può sembrare strano che una rana debba cavare ragni: ma può capitare); e comunque non era certo un bravo “figliuolo”.

Travicello inoltre emanò frequenti DPCR (Decreti del Presidente del Consiglio delle Rane) e provò anche a dividere le rane in vari ulteriori colori (verde, arancione, giallo, rosso, bianco); ma siccome era un po’ daltonico di natura, ne derivò una paralizzante confusione cromatica.

Nella situazione sempre più disperata, il popolo delle rane cominciò a diffidare del Travicello; tornarono allora dal re Zeus a chiedere un nuovo re; e Zeus, brandendo sempre il suo pacifico mattarello, mandò loro un Dragone, universalmente ammirato e rispettato per il suo carisma interstagnale.

A quel punto le rane, di qualunque colore fossero o fossero state, dimenticando i loro veti incrociati e le loro idiosincrasie reciproche, corsero al carro del Dragone, ansiose di salirvi in massa.

Ma lui, il Serpentone, dopo averle lasciate gracchiare confusamente, cominciò ad aggredirle una dopo l’altra: alle gialle tolse il reddito di rananza, alle verdi negò la chiusura degli stagni e i condoni, alle rosse chiese di ridurre i loro sogni ecologici e impose il connubio con una vecchia rana di color azzurro che aveva avuto dei trascorsi giudiziari, alla piccola rana nera consigliò una fisioterapia per curarsi la zampetta infortunata e alla rana fiorentina impose di starsene al suo posto e di gracchiare quando diceva lui.

Quanto a Travicello, chiamato un suo collega di nome Tavolino, si mise a cavalcioni su di lui e da lì annunciò al Dragone di essere pronto a dare il suo ligneo contributo.

Intanto la pandemia delle rane continuava e Arcurocchio faceva inutili telefonate a destra e a manca.

Dopo gli iniziali entusiasmi, le tendenze policromatiche delle rane tornarono a manifestarsi; scontente delle decisioni sempre più nette, radicali e indefettibili del Dragone, offese di non essere consultate quando gli gracchiavano le loro istanze, nostalgiche del bel caos precedente, mandarono di nuovo una delegazione a Zeus per chiedergli di liberarle dal Dragone. Ma lui aveva già riposto il suo mattarello in una valigia, per cui disse: “Io vi ho già mandato un Travicello e un Dragone; non mi viene in mente altro: chiedete al mio successore”.

Si sistemò il nodo della cravatta e si allontanò con la valigia in mano, un po’ curvo per il peso.

E grande fu la sorpresa delle Rane quando videro arrivare al Qui-ranale il nuovo inquilino: era il Dragone!

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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