Ricordo di Milva

Ricordo di Milva

Fra le canzoni di Milva, la Rossa, la “Pantera di Goro”, scomparsa alcuni giorni fa all’età di 82 anni, vorrei ricordarne tre, che restano particolarmente impresse nella mia memoria.

La prima è “Milord”, una canzone francese composta nel 1959 da Marguerite Monnot (con parole di Georges Moustaki), originariamente interpretata dalla grande Édith Piaf. Nella canzone parla una prostituta (nell’originale “une fille du port”), che invita un distinto “milord” inglese ad andare con lei: “Su, vieni qui, Milord, / accanto a me, Milord, / se hai freddo il cuor, / vedrai, io ti riscalderò”. Ma l’uomo è pensieroso, distaccato, triste; lei capisce che è stato lasciato dalla sua donna e cerca di distrarlo, di sedurlo: “Ti stregherò, Milord, / ti incanterò, Milord, / tu non pensare a lei, / ma prendi i baci miei”. In fondo i due si somigliano: “Io so chi sei, Milord, / i tipi come te / si trovan, prima o poi, / coi tipi come me”.

La prostituta gli ricorda di averlo già visto: “Ti ho visto un dì passar, / tu stavi stretto a lei, / ma il volto ti arrossì, / sentendoti guardar. / Tu non vedesti in me / che un’ombra della via, / ma mi piacesti tu, / negli occhi ti guardai”. Ora lui è afflitto e desolato, ma si deve fare forza: “Non devi pianger più, / se lei ti vuol lasciar”.

Un gaio ritornello (“la la la”), ripetuto tre volte, viene inframmezzato alle due strofe, dolenti e cantate quasi sottovoce, con il sottofondo struggente della fisarmonica. Le ultime parole sono un pressante invito a cambiare vita e ad andare comunque avanti: “E non pensare, no, / a chi ti fa soffrir, / ti posso ben capir, / gentil con te sarò. / Se tu con me verrai / la vita cambierà, / poiché d’amore mai / nessuno morirà”. Alla fine l’ardua impresa sembra riuscita: il brano si conclude in modo sempre più incalzante e ritmato, come a evidenziare il ritorno alla vita e alla gioia (nell’edizione originale le parole finali erano “Bravo, Milord! Encore, Milord!”).

Nell’interpretazione di Édith Piaf il brano aveva venduto 400.000 copie in Francia; fu cantato anche da Georges Moustaki, da Dalida e in una versione inglese da Cher. Ma l’interpretazione di Milva non è inferiore a nessun’altra, per la pastosità e la sensualità della voce suadente, che sa mutare di intonazione e di intensità a ogni passaggio, fino all’esplosione liberatoria della parte finale.

La seconda canzone che ricordo è “Quattro vestiti”, composta nel 1962 dal grande Maestro Ennio Morricone con le parole di Franco Migliacci. Si tratta di un vivace flamenco, il cui testo associa ogni vestito a un’occasione, raccontando la storia di un amore tormentato: “Quattro vestiti, / quattro colori, / quattro stagioni, / un solo amore”.

E dunque “il vestito più bianco” è stato messo in occasione del primo appuntamento (“il più bel fiore della primavera / è questo amore che sboccia per me”), il “vestito più rosso” è stato invece indossato per accompagnare il “fuoco dell’amore” (“brucia la terra il sole dell’agosto / ma la passione brucia solo in me”), il “vestito più giallo” si è intonato invece alla gelosia, vissuta amaramente “in un tramonto triste d’autunno”. L’ultimo vestito è quello “più nero”, indossato per intonarsi “all’ombra dei ricordi”: è l’abito dell’inverno, che “copre le colline verdi / di neve bianca come le mie notti”.

Ancora una volta l’interpretazione di Milva è potente, sensuale, trascinante, a volte cupa, a volte rabbiosa, a volte dolente, in una continua mutazione di toni e con una capacità vocale straordinaria (che le fa perdonare il fatto che pronunciasse “quatro” con una sola “t”…).

In effetti nel caso di Milva, come si legge in un sito specializzato, “si può dire che i suoi vestiti più importanti siano stati proprio quattro: quello da gran sera del periodo melodico-festivaliero, che le ha dato le maggiori soddisfazioni sul piano commerciale (con brani che spaziano da “Tango italiano” a “La filanda”), l’abito di scena dell’interprete brechtiana, con cui ha affrontato le platee di mezzo mondo, quello austero con cui si è calata nel filone “storico” (Canti della libertà, Canzoni tra le due guerre) ed infine quello indossato per collaborare con grandi esponenti della canzone d’autore, in particolare Jannacci e Battiato”.

La terza canzone è “La filanda”, che era in origine un “fado” portoghese, composto da Alberto Fialho Janes nel 1971 e interpretato dalla leggendaria Amália Rodrigues col titolo “É ou não è”. Questa cover nella traduzione italiana di Vito Pallavicini divenne un testo completamente diverso, trasformandosi in un “contrasto” erotico-sociale fra un’operaia della filanda e il figlio del padrone, che la mette incinta: “Cos’è, cos’è / che fa andare la filanda? / È chiara la faccenda, / son quelle come me. / E c’è, e c’è / che ci lascio sul telaio / le lacrime del guaio / di aver amato te; / perché, perché / eri il figlio del padrone, / facevi tentazione / e venni insieme a te. / Così, così / tra un sospiro ed uno sbaglio / son qui che aspetto un figlio / e a chiedermi perché”.

Il ritornello ricorda le dichiarazioni d’amore (a parole) del seduttore: “Tu non vivevi senza me. / Ahi, l’amore! Ahi, l’amore! / Prima sapevi il perché / Ahi, l’amore che cos’è!”. Senonché lui va in giro con il calesse, mentre lei non ce l’ha; e il padre di lui è ovviamente contrario a ogni “matrimonio riparatore”: “Questo padre che comanda / mi vuole alla filanda / ma non insieme a te”; e questo perché “nella mente del padrone / ha il cuore di cotone / la gente come me”. Un motivo scanzonato, attualissimo nel periodo delle rivendicazioni sociali degli anni Settanta e interpretato ottimamente da una Milva sbarazzina e provocatoria.

Mentre scrivo queste righe, ascolto in sottofondo le tre canzoni su Youtube; e c’è un po’ di malinconia, perché con Milva se ne va un altro pezzo di vita, un grande patrimonio di ricordi e suggestioni.

E verrebbe voglia di rivolgerle ancora una volta quel saluto che lei cantava con la sua voce suadente: “Mia bella rossa dammi l’allegria / del disco di dieci anni fa”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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