Santu Accutufatu

Un’interessante discussione col mio carissimo amico Toti mi ha indotto a fare qualche piccola ricerca su un curioso santo di cui ignoravo l’esistenza: Santu Accutufatu.

La città di Palermo ha sempre avuto un culto fervido per i santi, confidando con ardore di fede (e qualche punta di superstizione) nel loro aiuto soprannaturale; ecco perché sono proliferate le sante protettrici della città (S. Rosalia ha sostituito nel 1624 le antiche sue colleghe, cioè S. Oliva, S. Agata, S. Cristina e S. Ninfa). Ma più in generale in Sicilia, non bastando i tanti santi disponibili a garantire la necessaria protezione, la fantasia del popolo ne ha creato degli altri, addetti a prestare prezioso aiuto nelle più varie situazioni.

Fra questi ricordiamo:

  • Santu Scrutufatu (il protettore dei poltroni, noto in alcuni paesi dei Nebrodi); 
  • San Virticchiu Apostolo (stufo forse di combattere con ‘Nofriu);
  • Santu Sanu (un pasticcione che faceva miracoli “alla rovescia”, scontentando chi li richiede);
  • Santu Latruni (forse il buon ladrone  crocifisso sul Golgota con Gesù, non a caso invocato dai ladri: “Santu Latruni, cumpari semu, quanto pigghiamu, nni lu spartemo” = “siamo compari, ci dividiamo quello che prendiamo”);
  • Santu Vintulinu (protettore delle correnti d’aria e invocato dalle mamme che chiedono ai figli di imbacuccarsi prima di uscire ad affrontare i rigori notoriamente siderali del clima siculo);
  • “Santu ca un sura” (cioè “santo che non suda”, duro d’orecchie e che esaudisce difficilmente, insomma il santo patrono delle cause perse);
  • più amato di tutti, San Paganinu (un tempo festeggiato dagli stipendiati il 27 del mese).

Persino alcuni luoghi prendono il nome da santi inesistenti: ad esempio San Cipirello, vicino Palermo, secondo alcuni avrebbe ereditato il nome di un antico proprietario terriero forse di origini spagnole, Sancho Pirrello; secondo altri nel 1838 un tizio, sempre di nome Pirrello, si sarebbe trasferito più a sud dopo la frana che aveva semidistrutto il suo paese (S. Giuseppe Jato) e avrebbe pianto disperatamente per la catastrofe; da questa azione (“chianci Pirreddu” = piange Pirrello) sarebbe derivato il nome della nuova “location”.

Nel catanese la frazione di San Nullo, tra i comuni di Catania e Misterbianco, prende forse nome da una strada, appunto la via S. Nullo, che in realtà indicava forse un tale Salvatore Nullo proprietario di diversi terreni nella zona.

Ma c’era un altro santo, che doveva sfigurare un po’ tra tanti insigni colleghi: ed era appunto “Santu Accutufatu”.

In dialetto siciliano il verbo “accutufari” significa “bastonare, malmenare” (ma anche “rannicchiarsi nel letto, imbacuccarsi”). Il vocabolario di Mortillaro spiega “accutufatu” con “malconcio per le bastonate” e in particolare, a proposito di “Santu Accutufatu”, scrive: “dicesi per derisione di chi stassi rannicchiato lontano dalle società, e vale rincantucciato”. Un santo da quattro soldi dunque, ammaccato, acciaccato, asociale e reietto.

Del santo fu creata persino una biografia: sarebbe stato il santo patrono di contrada Ponte Naso ed era festeggiato l’11 agosto; nato a Comitini, vicino Agrigento, dopo aver sentito la chiamata divina, si sarebbe trasferito nella provincia di Messina, vivendo da eremita sui Nebrodi in solitudine e preghiera.

Sui grandi poteri (alla rovescia) di Santo Accutufatu viene riportata questa filastrocca: “C’era ‘na vota un poviru muraturi, / c’avia un annu c’un putia travagghiari, / e priannu lu Santu Accutufatu, / truvò u travagghiu e cariu ru fabbricatu” (C’era una volta un povero muratore, / che da un anno non poteva lavorare, / e pregando il Santo Accutufato / trovò lavoro e cadde dal fabbricato”). Decisamente Accutufatu voleva rendere i suoi fedeli malconci e ammaccati quanto lui…

A questo santo maldestro, Salvatore Trovato dedicò nel 1992 uno studio concentrato sulla sua presenza nei proverbi, pubblicato dal Centro di Studi filologici e linguistici siciliani: “Nomi di santi nella paremiologia siciliana: San Cucufate” (in onore di Girolamo Caracausi); Trovato aveva infatti trovato (per forza, se no avrebbe dovuto cambiare nome) un collegamento fra il Sant’Accutufatu della paremiologia siciliana (la scienza che studia i proverbi) e un tale San Cucufate, martire cristiano del III secolo.

Esisteva persino una lapide dedicata da qualche burlone a Santu Accutufatu: Gianluca Pipitò (storico dell’arte e ricercatore) ricordava qualche mese fa su www.balarm.it una lapide che il marchese di Villabianca avrebbe visto (come racconta Gioacchino Di Marzo) in via del Celso, nella vecchia sede degli “Algoziri” (gli “sbirri”, come il celebre Matteo Lo Vecchio immortalato da Luigi Natoli). Nell’epigrafe, in un latino molto approssimativo, si leggeva: “Sanctus Christofalus istu in manibus portat Christu. A dextris Sanctus Joannes Battistris, a sinistris sanctus Joannes Evangelistris. A tergo Beata Virgo, ad latus Sanctus Accufuctatus, ad pedes sancta Praxedes. Hoc facere fecerunt magistri ferraveruni“.

La notizia è per lo meno dubbia: Pipitò dice che Di Marzo dice che Villabianca aveva detto…; troppi “si dice”, occorrerebbe uno studio serio di queste fonti e una ricerca concreta della lapide di cui sopra. Tuttavia, come si vede, nella fantomatica iscrizione Santu Accutufatu sarebbe stato citato accanto ad altri insigni santi e persino alla Madonna. L’autore della scritta, evidentemente burlesca, aveva forse intenzione di colpire gli “sbirri”, che avevano come loro santo di riferimento san Cristoforo e che, dopo uno scambio con i gesuiti, ne avevano trasferito il culto nella chiesa di San Cristoforo dei Littori, nel 1763.

Esiste in effetti ancora oggi a Palermo, nella stradina che da via Calderai conduce a via Roma in direzione della Stazione Centrale, la chiesetta di San Cristoforo dei Littori chiamata anche appunto “degli Algoziri”. La chiesa, a navata unica, fu edificata nel 1743 e fu in origine dedicata alla Madonna del Lume; oggi è assai mal ridotta, vittima dell’umidità, delle infiltrazioni d’acqua e di ricorrenti azioni vandaliche. Nella chiesa una statua in legno colorato (sec. XVII) rappresentava appunto San Cristoforo, che teneva sulla spalla un bambino; tuttavia a quanto pare, come scrive Pipitò, “San Cristoforo, pur essendo l’ufficiale e nuovo padrone di casa, venne volutamente lasciato nella minuscola sagrestia bello ‘ammucciato’, facendolo uscire solo per la processione del 25 luglio, mentre il quadro della Madonna del Lume rimase al suo posto in bella mostra”. E dunque San Cristoforo è rimasto abbandonato, “accutufatu dal mondo civile in attesa di un glorioso ritorno”.

A conclusione di questa incompletissimo accenno, che meriterebbe studi più seri e approfonditi e qualche ispezione in loco, non posso non riflettere su come la fede intensa ma laicamente irriverente del popolo siciliano abbia in qualche modo materializzato la scalogna, la sfortuna, diciamo pure la “sfiga”, in un santo sventurato e pasticcione, verso il quale però si intuisce un’evidente simpatia.

E diciamo pure che, dalle nostre parti, chi soffre, chi incontra difficoltà, chi deve barcamenarsi con la sua “mala sorte” non ha mai suscitato avversione, sdegno, puzza sotto il naso, bensì umana comprensione, tolleranza, sincero augurio di  migliore fortuna. E di questa profonda umanità del popolo siciliano anche il Santu Accutufatu è metafora efficace e simpatica.

E allora, se ne avete bisogno, implorate pure: “Santu Accutufatu, aiutami tu!”. Ma, se qualcosa vi andasse storto, non dite che non vi avevo avvertito.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

2 commenti

  1. Per precisione al mio articolo che menziona, lo stralcio che ho evidenziato riguarda gli opuscoli del Di Marzo ed ho specificato, sempre nell’articolo, che è riportato dal Marchese di Villabianca e che la lapide si “trovava” nella vecchia sede di via del Celso, poi distrutto e accorpato dall’edificio costruito dai Gesuiti.
    Quindi, la precisione non può esserci perché la lapide non esiste più ed è stata riportato un ricordo trascritto.
    Sulla serietà della mia ricerca poi mi spiega …
    Buona giornata!

    1. Non volevo assolutamente dubitare della serietà della sua ricerca, che è come sempre accurata e interessantissima e che mi sembra anche di aver ricordato puntualmente. Mi limitavo a constatare, come fa lei, che sul problema della lapide “la precisione non può esserci” e che purtroppo con i “si dice” non riusciamo a risolvere il problema.
      L’auspicato “studio serio di queste fonti”, che Lei sicuramente sarebbe in grado di portare avanti, mirerebbe a scoprire quando la lapide sia sparita, se sia stata veramente lì, se vi fosse scritto quello che viene riportato. Capisco che forse, di fronte alla spietata spugna del tempo che cancella molte cose, nessun “studio serio” ulteriore sarà possibile. Ma se dovesse occuparsene, me lo faccia sapere. Nel frattempo, la ringrazio del suo intervento e le confermo la mia assoluta stima e il mio apprezzamento per la sua attività scientifica.

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