Martedì 17 maggio al Teatro Greco di Siracusa è andata in scena la prima rappresentazione dell’“Agamennone” di Eschilo, nell’allestimento del regista Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova (che nel dicembre scorso aveva diretto il “Macbeth” alla Scala di Milano).
Lo scenario era quanto mai suggestivo, anche perché – dopo due anni di pandemia – finalmente è stato possibile riempire la cavea di spettatori. Lo segnala opportunamente la recensione di Mario Di Caro su “Repubblica” di ieri: «Rieccoli, dunque, dopo due anni, i cinquemila spettatori o poco meno che riempiono il teatro greco fino a creare una muraglia umana da stadio; riecco gli studenti, attenti e silenziosi come mai in passato. Sono lo specchio di una Siracusa già ricca di turisti stranieri (perlopiù spagnoli ma anche inglesi e americani secondo l’associazione Noi albergatori) e strapiena di scolaresche che sciamano per le strade di Siracusa».
La scenografia presenta un grande specchio lungo 27 metri che copre l’intero fondale del teatro «e riflette pubblico e attori, cavea e scenografia, tutti assieme in una strana comunione sulla scena». Come ha dichiarato il regista, «questa parete vuole prima di tutto essere un grande abbraccio al pubblico presente e, in secondo luogo, catapultare il pubblico stesso, che è agente attivo nella funzione teatrale, nell’azione scenica».
Il regista ha inteso presentare negativamente la figura di Agamennone (in tal senso prendendo nettamente posizione in un’interpretazione che in realtà a livello critico è molto problematica); come infatti ha dichiarato al “Corriere della Sera”, a suo parere «Agamennone è un tiranno, omicida, belligerante, l’anello di una catena di sangue orrenda, un motore attivo nella concatenazione di una serie di delitti. Di lui sappiamo che è stato un uomo violento, ha preso con la forza Clitennestra, di cui ha ucciso il primo marito Tantalo e il figlio, per poi imporle il matrimonio. Ma non basta: non ha avuto il minimo scrupolo nel sacrificare la loro comune figlia Ifigenia. […] Insomma, ci troviamo di fronte a un personaggio che ha un potere totalitario, assoluto, che lo porta a decidere sulla vita degli altri. La sua è un’orgia di odio e di violenza terrificanti» (15.05.22).
Ecco dunque che, come si legge nella recensione di Di Caro, nell’allestimento siracusano «Agamennone/Nicosia compare in doppiopetto grigio, parlando con fare ducesco davanti a microfoni stile Eiar e a un’immaginaria folla oceanica». Insomma, un mix di Mussolini e (visti i tempi e il magma ideologico contemporaneo) Putin.
Nello spettacolo viene utilizzato (come sta diventando consuetudine) il «ledwall», cioè lo schermo luminoso formato da un insieme di pannelli, su cui è possibile visualizzare immagini, filmati, testi, ecc.
Nel cast, fra gli altri, Sax Nicosia (Agamennone), Laura Marinoni (Clitennestra), Stefano Santospago (Egisto) e Linda Gennari (Cassandra).
Sarà comunque interessante, per chi ne avrà la possibilità, assistere a questo spettacolo (e ad altri previsti in cartellone, come l’“Edipo re” di Sofocle e l’“Ifigenia in Tauride” di Euripide) e valutare personalmente l’impatto scenico di questa proposta teatrale, sicuramente stimolante.
In questa occasione, mi sembra opportuno ricordare che proprio l’“Agamennone” fu il primo spettacolo rappresentato a Siracusa nel I ciclo di spettacoli, che si tenne nel lontano 1914.
Nel 1913 il conte Mario Tommaso Gargallo creò un comitato di cittadini siracusani per far rivivere le antiche opere drammatiche greche nello scenario del teatro greco. Ispiratore di queste attività era il grande archeologo Paolo Orsi, allora sovrintendente alle Antichità per la Sicilia e la Calabria. A dirigere l’allestimento dell’Agamennone di Eschilo fu scelto Ettore Romagnoli (Roma 1871 – 1938), insigne grecista italiano. Romagnoli si addossò anche il compito di comporre le musiche e di occuparsi della parte artistica dello spettacolo, dalla recitazione al movimento delle masse e all’istruzione del coro. I capitali furono in parte anticipati da facoltosi signori di Siracusa ed in parte raccolti mediante l’emissione di piccole azioni da cinquanta lire, che vennero acquistate da tutto il popolo.
Gli attori furono Gualtiero Tumiati (Agamennone), Teresa Mariani (Clitemestra), Elisa Berti Masi (Cassandra), Giulio Tempesti (Egisto), Giosuè Borsi (Araldo); il coro era formato da ben centocinquanta cantori e c’era un imponente complesso strumentale di flauti, oboi, clarinetti, fagotti, liuti, lire, timpani ed archi. Le scene furono preparate dal grande Duilio Cambellotti (Roma 1876 – 1960).
La “prima” fu rappresentata il 16 aprile 1914. A dire il vero quella prima esperienza rivelò qualche manchevolezza e qualche ingenuità in taluni particolari dello spettacolo; a difettare non fu la recitazione (affidata ad artisti di grande valore), bensì alcuni elementi spettacolari (musica, coro, danze), che mostrarono pecche e imperfezioni, dovute certamente a una mancanza d’esperienza.
Il successo dello spettacolo fu comunque grandissimo; tutti i giornali, nazionali ed esteri, furono larghi di elogi (fra cui quelli di critici come Renato Simoni, Silvio D’Amico ed Eduardo Scarfoglio). Purtroppo la guerra 1914-18 interruppe l’iniziativa e per il II ciclo di spettacoli si dovette attendere il 1921 (con la rappresentazione delle “Coefore” di Eschilo).
Inutile dire che per me gli spettacoli siracusani si associano a tanti ricordi. La mia prima volta a Siracusa fu nel 1978, quando vidi l’“Elena” di Euripide, per la regia di Roberto Guicciardini e con una bravissima Lydia Alfonsi. In quell’occasione andai per la prima volta alla sede dell’INDA in corso Matteotti, per completare alcune ricerche sul teatro greco; ricordo in particolare la simpatia umana e la disponibilità dell’indimenticabile Concetto Gilè, memoria storica dell’Istituto e operatore culturale inimitabile dal 1960 al 2000.
Venire a Siracusa, città che ha sempre un fascino magico, è per tanti di noi un rito annuale.
Allo spettacolo in sé, sempre affascinante e ammaliante, si associano abitudini immutabili: i cuscini e le traduzioni (i “numeri unici”) acquistati all’ingresso; l’afflusso/assembramento degli spettatori nella cavea (che riproduce perfettamente il senso del teatro antico, quando si andava “insieme” dalla polis al teatro, camminando e conversando in gruppo – altro che distanziamento sociale! – per un lungo tratto); il “guardare/guardarsi” tipico del teatro greco (il verbo “theàomai” ha appunto questo doppio valore); i sedili di pietra e il mal di schiena incombente; l’inizio dello spettacolo alla luce del tramonto con i folli voli degli uccelli nel cielo; il silenzio degli spettatori, attentissimi però e pronti a commentare ogni battuta significativa; il possibile improvviso fischio surreale del treno che rompe l’illusione scenica, ma che è straniante viaggio nel tempo, compresenza del passato e del presente; il progressivo calare dell’oscurità, coincidente con il compimento delle più terribili vicende tragiche. Infine, l’uscita dallo spettacolo tra i vivaci commenti delle persone, tutti affascinati, coinvolti e catturati dall’evento vissuto; e poi il defluire per la città, quasi sempre alla volta della splendida Ortigia per una cena a base di pesce.
E dunque, nell’attesa di “rituffarci” in queste magiche sensazioni, facciamo a tutti gli artisti impegnati quest’anno a Siracusa i migliori auguri di buon lavoro, ringraziando anche tutti coloro che rendono possibile ogni anno questa straordinaria manifestazione culturale, davvero unica nel nostro Paese.