Verdi deputato per sbaglio

Nell’immensa produzione critica e saggistica di mio padre, il M° Salvatore Pintacuda, ho trovato un articolo intitolato “Verdi deputato per sbaglio”; risale al 1946.

L’ho trovato interessante, perché ne emergono bene la riottosità di Verdi per la politica e la sua esperienza parlamentare per lo meno deludente. Riporto qui di seguito fedelmente il testo del contributo.

Appena sa che vogliono farlo deputato al Parlamento Subalpino, Verdi, atterrito, corre a Torino per scongiurare il pericolo: «Non ti sorprendere – scrive all’amico Angelo Mariani – se mi vedi a Torino! Sai perché sono qui? Per non essere deputato. Altri brigano per esserlo, io faccio tutto il possibile per non esserlo…».

Non che non abbia le sue opinioni politiche; fervido propugnatore di indipendenza e libertà, nemico delle fazioni, nemico delle violenze, egli aspira ad una libertà ordinata, congiunta con il dovere di una assistenza continua e affettuosa per le classi meno favorite e più bisognose di educazione e di sostegno.

Ma Verdi ha sempre odiato la vita pubblica ed è fermamente convinto che la politica è affare di politicanti e non degli artisti. Supplica quindi Cavour di escluderlo dalla lista dei candidati, ma le sue preghiere e le sue proteste sono inutili giacché il grande statista è irremovibile: «Chi ha composto il “Trovatore” deve essere deputato: ci vuole l’armonia. L’Italia è stata fatta con l’armonia ed è giusto che il vero Maestro dell’armonia abbia un posto fra i rappresentanti la Nazione».

Niente da fare, dunque: a Cavour non si può dire di no, e così alle elezioni politiche del 27 gennaio 1861 Verdi, «idolo delle moltitudini, simbolo vivente delle aspirazioni patriottiche», è candidato al collegio di Borgo San Donnino (Fidenza). Gli stanno contro due temibili avversari: lo scrittore Angelo Brofferio e l’avvocato Minghetti-Vaini, astuti politicanti, facondissimi oratori, praticissimi delle schermaglie elettorali.

Al primo scrutinio il Brofferio riporta soltanto 13 voti, il Minghetti 185, Verdi 298. La maggioranza però non è raggiunta ed è necessario subire l’antipaticissima prova del ballottaggio. Al secondo scrutinio i voti per Verdi sono 359 ed il Maestro è finalmente eletto deputato, con suo grande disappunto e con vivo giubilo di Cavour.

Il 10 febbraio 1861, l’autore del “Trovatore”, acclamato calorosamente da tutti i colleghi deputati, fa il solenne ingresso nell’aula di Palazzo Carignano.

Quale sarà l’attività parlamentare di Giuseppe Verdi?

Lo ricaviamo da questa lettera indirizzata a Francesco Maria Piave: «La mia vita pubblica non esiste. Son deputato, è vero, ma fu per sbaglio… Volendo fare la mia biograia come membro del Parlamento, non vi sarebbe che da imprimere in un bel foglio di carta: i 450 non sono veramente che 449, perché Verdi come deputato non esiste».

Tuttavia il Maestro, ligio al proprio dovere, è tra i più assidui alle sedute, e se non chiede mai la parola è però attento ai lavori degli Uffici, segue le elezioni e, per essere sicuro di non sbagliare vota guardando quello che fa Cavour. È di scanno vicino a Quintino Sella, col quale, piuttosto che di politica, parla volentieri di arte, avendo in uggia le logomachie oziose e inconcludenti dei partiti che baruffano continuamente e si mordono a vicenda, senza idee e senza motivi seri, «per ambizioni o per ire», «più personali che di parte». (Tale e quale la Montecitorio dei giorni nostri!).

Ma Verdi ha pure le sue idee ed i suoi progetti (non politici s’intende!) da presentare a Cavour. Sono progetti chiari e precisi, maturati da anni nel suo cervello e riguardanti soprattutto un rinnovamento del teatro lirico con indirizzo nazionale.

Cavour accetta le proposte del deputato Verdi e si dispone ad attuarle; ma è destino che le belle speranze vagheggiate dal Maestro debbano armar deluse non appena nate poiché la morte del grande Statista, avvenuta esattamente cinque mesi dopo le elezioni, fa sì che ogni programma rimanga definitivamente sepolto tra la polvere degli archivi. E Verdi, ora che non c’è più colui che è stato la sua stella polare politica, si trova alla Camera come un pesce fuor d’acqua.

Comincia lentamente ad allontanarsi dalle sedute limitando la sua azione ad assecondare qualche voto delle popolazioni rappresentate e a cercare di cooperare, nel miglior modo possibile alle fortune d’Italia. Infine, nella seguente legislatura non vuole più saperne: «Finché era vivo Cavour, io guardavo lui alla Camera, e mi alzavo ad approvare o respingere quando lui si alzava, perché facendo precisamente come lui ero sicuro di non sbagliare. Ora con questi signori, che saranno di certo valentissimi, non mi raccapezzerei più, e avrei paura di commettere qualche sproposito».

Ma di spropositi Verdi non ne commise mai, neanche durante le più difficili sedute parlamentari, e giudicate da questo episodio se con il suo buon senso e il suo cautissimo comportamento poteva mai commetterne.

Si sta rielaborando alla Camera la legge di «perequazione» e le sedute si susseguono aspre e tempestose. 1 deputati di destra e di sinistra si accapigliano tra loro continuamente e scambi di contumelie e grosse invettive volano da un campo all’altro. Verdi, imperturbabile, tranquillissimo nel suo seggio, sta scarabocchiando note di musica in fretta: «Maestro, che fa in mezzo a tanta bufera, scrive musica?» «Sì, una nuova, originalissima sinfonia dal titolo sensazionale: Armonie parlamentari!».

E infatti Verdi, annoiato e forse nauseato dalla baraonda infernale che lo circonda, sta mettendo in musica, sul foglietto azzurrino della Camera, i rumori, le urla, le grida, le imprecazioni e l’eterno ritornello: «Ai voti! Ai voti!» che da vari giorni rintronano incessantemente nell’aula.

Questo foglietto, ancora oggi conservato, è forse il solo documento, l’unico prezioso cimelio, rimasto a testimoniare l’attività parlamentare svolta, dal 1861 al 1865, dall’onorevole Giuseppe Verdi.

SALVATORE PINTACUDA

1946

P.S.: Qualche anno dopo il compositore confidò a Piave di aver allora accettato la candidatura in parlamento “a condizione che dopo un paio di mesi mi potessi dimettere». In seguito, nonostante la sua persistente riottosità, nel 1874 fu nominato membro del Senato italiano, ma non partecipò mai alle sue attività. [M.P.]

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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