In un periodo di esami scolastici o universitari come questo, potrà risultare interessante un aneddoto relativo al grande Giuseppe Verdi, che fu clamorosamente e ingiustamente bocciato all’esame di ammissione al Conservatorio di Milano nel 1832.
Il giovane compositore non aveva ancora 19 anni, essendo nato a Roncole di Busseto (Parma) il 10 ottobre 1813 da Carlo Verdi (oste e rivenditore di generi alimentari) e Luigia Uttini (filatrice). Fu precocemente interessato agli studi musicali; Pietro Baistrocchi (l’organista del paese) lo avviò gratuitamente alla pratica dell’organo e del pianoforte. Più tardi, Antonio Barezzi, un commerciante direttore della locale società filarmonica, convinto del grande talento del giovane, ne divenne finanziatore e mecenate, aiutandolo a proseguire gli studi.
Nel 1823 i genitori iscrissero Giuseppe al “ginnasio”, una scuola superiore diretta a Busseto da don Pietro Seletti; ma il giovanissimo studente tornava regolarmente a Roncole la domenica a suonare l’organo. Dal 1824 seguì le lezioni di Ferdinando Provesi, maestro di cappella nella collegiata di San Bartolomeo Apostolo, da cui apprese le basi della composizione musicale e della pratica strumentale.
Come scrisse in seguito lo stesso Verdi, «Dai 13 ai 18 anni ho scritto un vasto assortimento di pezzi: marce per banda, alcune sinfonie che sono state utilizzate in chiesa, nei teatri e ai concerti, cinque o sei concerti e alcune variazioni per pianoforte, che io stesso ho suonato in molti concerti, serenate, cantate (arie, duetti, moltissimi terzetti) e vari pezzi di musica sacra, di cui ricordo solo lo Stabat Mater».
Alla fine del 1829 Verdi fu accolto nella casa di Barezzi, dove diede lezioni di canto e di pianoforte alla di lui figlia Margherita (che nel 1836 diventerà sua moglie, ma morirà giovane nel 1840).
Il sogno del giovane musicista era però quello di studiare a Milano, che offriva ovviamente prospettive assai più allettanti rispetto a Busseto.
Ecco dunque che nel maggio 1832 Barezzi scrisse la seguente lettera di presentazione per Verdi: «In nome di Sua Maestà la Principessa Imperiale Maria Luigia Arciduchessa d’Austria Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla ecc. ecc. ecc. Il Presidente dell’Interno invita tutte le autorità civili e militari a lasciare liberamente passare e circolare Verdi Giuseppe, di professione Studente di Musica, nativo di Roncole, dimorante a Busseto, che si reca a Milano (Regno L. V.) per essere ammesso a quel Conservatorio di Musica, ed a prestargli, in caso di bisogno, aiuto ed assistenza, sicure di pari corrispondenza. Il presente Passaporto è valevole per lo spazio di un anno. Rilasciato dietro deposito di un certificato di moralità. Fatto a Parma il giorno 27 maggio 1832».
Da qui in poi, per raccontare la successiva amara esperienza di Verdi, attingo a un interessante articolo di mio padre, Salvatore Pintacuda, scritto in data 10 giugno 1945 e intitolato “Verdi bocciato – Uno storico esame ed un giudizio troppo frettoloso”; le citazioni successive sono tratte da questo contributo.
Verdi si presentò a Milano al Maestro Alessandro Rolla, insigne violinista, portando con sé il documento citato sopra, una lettera di presentazione dell’organista Provesi e un gruzzoletto fornito da Barezzi.
Ma quando Rolla sbirciò «da capo a piedi quel giovanottone baldo dall’aria campagnola e dall’umile aspetto contadinesco», gli chiese l’età e, appreso che aveva diciotto anni, restò perplesso, perché il regolamento prevedeva che gli allievi fossero accolti a un’età massima di quattordici anni. Indotto però dalla segnalazione del suo amico, Rolla decise di chiedere uno strappo alla regola per fare esaminare ugualmente il giovane musicista.
Ma la prova fu fallimentare. Eccone il resoconto tratto dall’articolo citato: «All’esame di ammissione il genio futuro si presenta col cuore in tumulto e con l’animo sospeso. La commissione esaminatrice non poteva essere meglio scelta. Il truce Basily, ottuso e retrivo, i professori Piantanida e Angeleri, severi e grifagni come Cerbero e Minosse, ed il vecchio Rolla l’accolgono con certi atteggiamenti burberi e dottrinari che, solo a guardarli, mettono soggezione. Verdi, impacciato, lanciando occhiate timide e sospette, si fa avanti a piccoli passettini, saluta rispettosamente la Commissione e presenta all’avida curiosità degli esaminatori i frutti più maturi del suo genio incipiente: marce, romanze, musica sacra, tentativi polifonici e contrappuntistici, sinfoniette per chiesa, serenate, cantate di occasione, un fascio di composizioni del più eterogeneo assortimento, tutte fabbricate secondo le infallibili ricette dell’uso comune tradizionale. Il consesso dei giudici esamina molto superficialmente e frettolosamente i saggi creativi del giovane aspirante e infine il Presidente Basily pronuncia sommessamente, ma in tono solenne, la nera sentenza: “Rudis indigestaque moles“». [cioè, per dirla con Ovidio, “una massa informe e inarticolata”].
Gli altri membri della commissione si uniformano al giudizio del presidente, «dimenando il capo perplessi, con certe smorfie di compatimento».
Verdi a questo punto viene invitato a sedersi al pianoforte per sviluppare estemporaneamente un “tema” musicale proposto dal Basily; ma «sente mancarsi l’estro e la mente vuota è incapace di esprimere, un solo pensiero. Cosa sta suonando? Cosa pensa mentre le dita cercano sulla tastiera gli accordi e le modulazioni? Ricorda i momenti di felice ispirazione nella quiete silenziosa della chiesetta di Roncole, mani e piedi prodigiosamente d’accordo nella improvvisazione di preludi e melodie… Ricorda le sgroppate della sua fantasia sul piccolo organo dalla tastiera giallastra sotto la minuscola piramide delle canne sconnesse… Ma allora i canti li strappava ai cieli luminosi della Marca bussetana, e le note gli sgorgavano impetuose nei silenzi meridiani, tra un richiamo di campane, un volo di rondini, un canto appassionato di contadini sulle aie. Ora invece, in questo salone gelido e severo, dall’aria grave di solenni memorie, al cospetto di questi burberi “parrucconi”, tutto gli sembra vuoto ed arido, e perfino il pianoforte sembra abbia una voce stridula, asciutta e contenuta».
Terminata la prova, Verdi si avviò verso l’uscita «mortificato e confuso»; tornato a casa, vi restò chiuso per otto giorni; infine si decise a recarsi dal Rolla, da cui ebbe la conferma dei suoi brutti presentimenti: «È andata male, caro figliuolo; non pensate più al Conservatorio e trovatevi un buon insegnante in città. Io vi consiglio il Negri o il Lavigna. Avete ingegno e buona volontà: sono sicuro che presto prenderete la vostra rivincita».
Per la cronaca, nel verbale redatto il 2 luglio 1832 dal presidente della commissione Francesco Basily, si legge la seguente motivazione della bocciatura: «Il Signor Angeleri Maestro di Pianoforte trovò che il suddetto Verdi avrebbe bisogno di cambiare posizione della mano, locché, disse, attesa l’età di 18 anni, si renderebbe difficile; ed in quanto alle composizioni che presentò come sue, sono perfettamente d’accordo col signor Piantanida Maestro di contrappunto, e Vice-Censore, che applicandosi esso con attenzione e pazienza alla cognizione delle regole del contrappunto, potrà dirigere la propria fantasia che mostra di avere, e quindi riuscire plausibilmente nella composizione» (G. Tintori, Invito all’ascolto – Verdi, Mursia, Milano 1983, pag. 24).
Soltanto Rolla aveva votato a favore di Verdi; e fu lui, poi, ad affidarlo alle lezioni di Vincenzo Lavigna, maestro di cembalo alla Scala. Il giovane musicista emiliano restò dunque a Milano; e se non frequentò il conservatorio, divenne assiduo frequentatore della Scala e avviò gradualmente una carriera di compositore che lo portò ai più straordinari successi. Forse però, come avviene agli spiriti più sensibili, non dimenticò mai quell’ingiusta esclusione dal conservatorio.
Come si legge nella conclusione dell’articolo che abbiamo citato, «ben altre amarezze, ben altre delusioni attenderanno il Maestro durante il suo lungo e non sempre luminoso cammino attraverso le difficili vie dell’arte; ma quando scriverà ottantenne l’ultima opera Verdi saprà dare a tutti i suoi detrattori, nella fuga finale del coro falstaffiano, la sua filosofica ed arguta risposta: “Tutto nel mondo è burla”».
Chiudo con una riflessione.
Non si contano gli esempi di giudizi sballati dati da frettolose e incompetenti commissioni esaminatrici nei confronti di personaggi destinati poi a imporsi in modo perentorio proprio negli ambiti in cui sono stati stoltamente bocciati.
A me viene sempre in mente l’esempio di Elio Vittorini, che giudicò “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa indegno di pubblicazione presso Einaudi, facendo così perdere alla casa editrice un’opera destinata a diventare uno straordinario “best seller” (come invece capì Giorgio Bassani per Feltrinelli).
Ma anche Albert Einstein fu bocciato al Politecnico di Zurigo (sia pure nelle prove letterarie), Giulio Andreotti fu respinto in terza media, Margherita Hack fu carente in Matematica (!), Bill Gates fu espulso da Harvard per scarso rendimento, e via bocciando.
Quale morale se ne può ricavare? Una, sicuramente: e cioè che, anche se qualche volta un esame non ha l’esito sperato, non occorre demordere e scoraggiarsi, perché le qualità possedute prima o poi verranno fuori e saranno riconosciute e apprezzate.
Basta solo avere molta grinta, determinazione e ostinazione; poi, come dicono gli americani, “if you can dream it, you can achieve it” (“se puoi sognare una cosa, puoi ottenerla”).
Gentilissimo, sono incappato nel suo blog per caso. Sto cercando materiale per la mia tesi, che ha proprio come argomento “la bocciatura di Verdi”, ma in una lettura storiografica. Le posso chiedere se sa dirmi da dove è tratto l’articolo da Lei citato e, se nel caso, è possibile reperirlo?
nell’attesa la ringrazio per l’attenzione e le faccio i miei più
distinti saluti