Ieri pomeriggio a Roma un bambino di cinque anni, Manuel Proietti, è rimasto ucciso in un assurdo incidente stradale: mentre il piccolo si trovava con la famiglia a bordo di una Smart ForFour, su di loro è piombato come un missile un SUV Lamborghini Urus, a bordo del quale erano cinque “youtuber” impegnati a realizzare una demenziale scommessa.
Questi irresponsabili infatti, sul loro canale “The borderline”, nel quale vengono condivisi “i video più assurdi di YouTube Italia”, avevano organizzato una “challenge” per dimostrare l’abilità (o l’idiozia?) di sfrecciare a oltre 100 chilometri orari per quante più ore possibile per le vie di una città.
Alla guida del SUV assassino era un ventenne, già denunciato per omicidio stradale. Gli investigatori della polizia municipale hanno sequestrato tutti i telefonini dei ragazzi che si trovavano a bordo della Supercar, che era stata noleggiata; inoltre, come si legge nel sito del “Corriere della Sera”, si sta accertando «chi stesse filmando le bravate che sarebbero state poi postate sulla Rete nell’ambito di sfide a premi su una piattaforma alla quale sono iscritte oltre 600.000 persone con ben 152 milioni di contatti negli ultimi tre anni. Un profilo contenente giochi e challenge di ogni genere, non soltanto a bordo di auto di lusso, assistito da uno studio legale e da uno commerciale e pubblicitario. L’indagine della municipale punta adesso a stabilire se la Lamborghini potesse essere noleggiata, vista la potenza in cavalli, a un ragazzo di vent’anni: non sembra infatti che il conducente dell’auto investitrice potesse mettersi al volante di una vettura di questo genere secondo le norme del codice della strada sui neopatentati».
A parte il guidatore, «al momento non viene contestato nulla agli altri quattro giovani a bordo del veicolo, quattro ragazzi e una ragazza, sebbene non si esclude che siano stati indagati anch’essi come atto formale per il sequestro dei loro telefonini. Sono stati comunque interrogati come testimoni di quanto accaduto insieme con altre persone che hanno assistito all’incidente».
L’episodio è sconcertante, se non allucinante. Su “Repubblica” di oggi la notizia è accompagnata da un articolo sui fondatori del delirante canale “The Borderline”, che ha raggiunto in poco tempo decine di milioni di visualizzazioni e oltre 600.000 iscritti.
I fondatori del canale «sfornano filmati a ripetizione, uno a settimana. Ciaffa, Leo e Dp (Alessio Ciaffa, Leonardo Golinelli e Matteo Di Pietro) hanno poco più di vent’anni e sono tutti romani»; Golinelli viene definito particolarmente “brillante” (studia a Milano, alla Bocconi).
Questo gruppo di giovani “brillanti” due anni fa ha capito «la ricetta per attrarre un largo pubblico di ragazzini: sfidarsi a fare qualsiasi cosa. Le loro sono “challenge”, scommesse da vincere a tutti i costi. Già dai primi video si capisce che non c’è un filo logico da seguire, se non creare contenuti che aiutino a far spegnere il cervello per un quarto d’ora. Mangiare quanti più pezzi di sushi possibile, avvolgersi in mille strati di pellicola trasparente, vedere chi smette per ultimo di saltare sul posto, restare cinquanta ore con i piedi in una scatola di cartone»; e via di questo passo…
Ovviamente, «ogni visualizzazione equivale a qualche centesimo guadagnato con la pubblicità. E non è raro che qualche sponsor decida di puntare su intrattenitori di successo adorati dai ragazzi». Del resto, «più il successo cresce e più loro diventano creativi. E alzano il tiro: iniziano a girare su auto di lusso, in elicottero, in barca. Sette mesi fa hanno noleggiato un carro armato. Al vincitore della “challenge”, poi, spesso va un ricco premio in denaro, fino a tremila euro».
L’incidente di ieri era, in un certo senso, “annunciato”: «La sfida in macchina non è nuova. Già due volte si erano rinchiusi per cinquanta ore dentro un’auto vagando per la città. Stavolta, però, il video che doveva far ridere è diventato tragedia».
Il triste episodio si commenterebbe da sé; tuttavia non si può non essere costernati di fronte a una realtà in cui l’obiettivo prioritario di certi giovani diventa quello di “spegnere il cervello”, sia con iniziative demenziali come questa degli youtuber romani, sia attraverso l’uso di sostanze stupefacenti, sia con l’acquiescenza alla criminalità organizzata (come avviene nelle “stese” della camorra, cioè quelle violente azioni di intimidazione consistenti nell’attraversare velocemente a bordo di motorini le vie di Napoli sparando all’impazzata per costringere le persone a stendersi per terra).
Ne viene fuori un mondo di automi irreggimentati, pronti a ubbidire agli ordini più scriteriati pur di fuggire dalla noia o, più semplicemente, dall’insostenibile peso del pensiero.
Chi o che cosa dovrebbe cambiare la situazione?
La scuola, panacea di tutti i problemi sociali e familiari?
La famiglia, assente o connivente o a sua volta “non-pensante”?
La Polizia postale? (apriti cielo: ogni tentativo di imporre il rispetto di regole e limiti viene identificato con manifestazioni autoritarie improponibili, con il risultato di consentire di tutto e di più).
Forse i giovani stessi, i più sensibili fra loro, quelli che si dissociano (per sensibilità, per ideologia, per esperienza di vita o forse solo per fortuna) dal trionfo del “delirio”, dovrebbero essere i primi a richiamare alla ragione i loro coetanei “deviati”, ritorcendo contro di loro l’arma micidiale dei social e tentando di farli “tornare in sé” o, forse, di farli “entrare in sé” per la prima volta.
Non esiste un giovane a cui non si possa parlare. Bisogna però che lo si voglia e lo si sappia fare, con le parole giuste e nei tempi opportuni, senza cadere né in una pericolosa rassegnazione che induca ad accettare tutto né nel desiderio di provvedimenti estremi che (anche ammesso che siano adottati) potrebbero non sortire gli effetti sperati (non si contano i fenomeni negativi incrementati dalle proibizioni).
Insomma, bisognerebbe riportare alla ragione chi non la usa, incanalare diversamente la sua “follia”, scrollare la pigrizia mentale contagiosa, che diventa – nelle persone più labili – delirio e irresponsabilità.
Non è facile, ma bisogna volerlo fare. Se no altre vittime innocenti, come il povero piccolo Manuel, ci andranno di mezzo e pagheranno per le colpe degli uni e l’acquiescenza degli altri.