A Londra, nell’angolo nord-orientale di Hyde Park vicino a Marble Arch, sorge il cosiddetto “speakers’ corner”, cioè “l’angolo degli oratori”.
È il luogo prescelto da conferenzieri più o meno improvvisati che, specialmente la domenica mattina, arringano i passanti discutendo su tematiche varie, senza alcuna censura. Fra gli oratori che hanno parlato in questo celebre angolo, a partire dal 1866, vi furono anche personaggi famosi come Karl Marx, Lenin e George Orwell.
Un angolo di libertà, dunque: un luogo pubblico che può essere temporaneamente occupato dai privati cittadini per manifestare le proprie idee.
Palermo, a differenza di Londra, non ha bisogno di un “angolo” strappato al pubblico per diventare temporaneamente “privato”: la città infatti viene costantemente e abitualmente “privatizzata” dai suoi abitanti, che – abituati a pensare che se una cosa è di tutti non è di nessuno – non riescono a comprendere il concetto di “pubblico” e lo rielaborano a proprio uso e consumo.
Si potrebbero citare gli allacciamenti abusivi alla rete elettrica, gli allacci illegali sulle tubazioni di fornitura idrica, le strade privatizzate, le mille attività lavorative esercitate in totale abusivismo senza licenze e senza alcun rispetto per qualsivoglia norma di legge (primo fra tutti lo scontrino fiscale).
A questo proposito, da qualche giorno mi è capitato di vedere nella centralissima via Libertà, a pochi passi da piazza Politeama, un tizio con un giaccone rosso fiammante che ha occupato militarmente una panchina, trasformandola in esposizione permanente.
Il bello è che, senza alcun timore di essere “sgamato” (ma da chi? e perché?), il curioso personaggio “abbannìa” (cioè “pubblicizza”) a gran voce la sua merce con un allettante “tutto a un euro”! Fra gli oggetti esposti, chiusi a volte in scatolette di cartone, si notano anche orologi (a un euro?).
Un trolley parcheggiato accanto permette al venditore sia di celare altra merce, sia di procedere ad un’evacuazione immediata in caso di aggressione da parte di qualche autorità impicciona. Quest’ultima evenienza, però, è praticamente impensabile: in un contesto “difficile” come Palermo, quelli che altrove sarebbero comportamenti da sanzionare diventano comprensibili e tollerabili.
Mi ricordo, per stridente contrasto, un episodio cui mi capitò di assistere anni fa a Venezia.
Avevo preso un vaporetto, che è là il corrispettivo dei nostri autobus. A un certo punto salirono a bordo i controllori e iniziarono a chiedere i biglietti. Un ragazzo di circa vent’anni fu trovato senza biglietto: i controllori lo multarono e gli ingiunsero di scendere alla fermata successiva (il tono era tale da far quasi temere che lo buttassero nel Canal Grande…).
Quando il trasgressore si avviò verso l’uscita, contrito e umiliato, notai lo sguardo di disprezzo con cui gli altri passeggeri lo guardavano: a un certo punto un tizio, che evidentemente non riuscì a contenere il suo irrefrenabile sdegno, si rivolse direttamente al ragazzo gridandogli in faccia: “A-bu-si-vo!!”
E io non potei fare a meno di pensare che questo signore, se fosse venuto a Palermo, avrebbe gridato dalla mattina alla sera: “Abusivo tu! E abusivo pure tu! E abusivo pure quell’altro! E abusivi tutti!”.
Ma qui non siamo a Venezia e il “panchinaro” di via Libertà può stare tranquillo: qui nessuno si indigna se una panchina pubblica viene privatizzata e trasformata in negozio (in una riedizione dell’ufficio semovente di Giancarlo Giannini nel film “Mi manda Picone” di Nanni Loy).
Qui sarebbe molto più sorprendente e surreale vedere qualcuno che si lamentasse per l’immancabile trionfo della legge secolare del “si-fa-quel-che-si-vuole”; ci siamo troppo abituati.