In occasione del mio breve soggiorno a Genova per Pasqua, ho rivisto due carissimi amici che ho lasciato là e con cui sono rimasto assiduamente in contatto.
Il primo si chiama Paolo: lo conosco da quando avevo cinque anni. Siamo stati compagni di banco per tredici anni: cinque anni di scuola elementare, tre di scuola media, cinque di liceo classico.
Quando ho lasciato Genova, dopo la laurea, ci siamo persi di vista per anni. Ma ero io a voler “rimuovere”, a cancellare quello che potevo del mio legame con la mia città, perché starle lontano mi è sempre pesato molto; e per moltissimi anni non avevo osato tornarci, tranne che col pensiero.
Alcuni anni fa è stato mio figlio a chiedermi di portarlo in quella Genova di cui mi aveva sentito sempre parlare: allora ho vinto il “blocco” emotivo e sono tornato.
Esperienza meravigliosa e commovente.
In quell’occasione ho ritrovato Paolo, oggi sposato con Marta; hanno una figlia di nome Anna, un genero e due bellissimi nipotini (Sophia e Simone). Da allora ci sentiamo regolarmente e, quando le pandemie non ci fermano, ci vediamo almeno una volta l’anno e ci sentiamo spesso per telefono.
Paolo abitava in corso Sardegna, di fronte casa mia, con i genitori, un fratello più piccolo e un vecchio zio. Suo padre era un meccanico, sua madre aveva fatto solo le elementari: persone laboriose, rette e oneste, di una dignità esemplare, che andavano avanti con grandi sacrifici per fare studiare i figli.
Io e Paolo andavamo a scuola insieme: insieme abbiamo condiviso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, il duro lavoro scolastico, la preparazione per le interrogazioni e i compiti in classe (lui ha avuto sempre un rapporto arduo con la Matematica e a volte mia madre, che insegnava questa materia, gli dava qualche lezione per consentirgli di non affogare fra cateti e ipotenuse). Eravamo anche molto creativi: io scrivevo “tragedie greche” parafrasando in un giornalino di classe la quotidianità scolastica e lui dava contributi preziosi con i suoi articoli e le rubriche (in particolare le “previsioni del tanfo”, che fornivano ragguagli sulle possibili zaffate maleodoranti che a volte si sprigionavano in classe…).
C’erano ovviamente anche le passeggiate in giro per la città, le gite, le partite a pallone nel prato Casarile sopra Molassana (o nel vasto terrazzo di casa sua), le partite a carte, ecc.
Era, quella, l’epoca delle amicizie “reali” e non virtuali, senza telefonini, senza computer, senza PS 4, senza Whatsapp, Zoom, Meet e Skype. Tutt’al più ci facevamo una veloce telefonata per scambiarci dubbi sui compiti o per dire poche cose di circostanza: vengo da te, usciamo, facciamo questo o quest’altro.
Spesso parlavamo della nostra squadra del cuore, il Genoa, la più antica e gloriosa società italiana, affrontando lo strapotere doriano nelle nostre classi (e nei campionati).
La domenica ci ritrovavamo spesso nella Gradinata Nord a tifare ardentemente per i colori rossoblù: e lo scorso sabato 30 marzo, dopo quasi cinquant’anni, siamo tornati insieme a Marassi per vedere il nostro Genoa, che purtroppo non ha fatto una gran partita e non è andato oltre il pareggio con il Frosinone. Ma è stato bello ritrovarsi nel bel mezzo del calorosissimo tifo genoano, bardati con sciarpe e berretto rossoblù, nell’illusione che mezzo secolo non fosse passato.
Abbiamo trascorso insieme anche la Pasquetta, pranzando in un agriturismo di Sant’Ilario (sopra Nervi) e scendendo poi da una “crêuza” fino al mare, dove abbiamo ripercorso la spettacolare passeggiata a mare di Nervi, godendo dello spettacolo delle onde che si infrangevano tumultuose sulla scogliera e respirando un incantevole profumo di salsedine.
L’altra cara amica che ho rivisto giorni fa è Cristina, mia compagna di classe al Liceo D’Oria negli anni del triennio liceale e poi all’università.
In classe, lei e Marina erano sedute dietro me e Paolo; ricordo i calcioni che lei mi assestava durante le versioni di Latino e Greco per ottenere qualche suggerimento (nonostante la spietata sorveglianza della nostra temibilissima insegnante)…
Oggi Cristina abita nella parte alta della città e per raggiungere casa sua occorre inerpicarsi per un’asperrima salita, una crêuza che sale verticalmente verso l’alto.
Ogni volta, per raggiungere la sua abitazione, mi occorre una maggior dose di fiato (gli anni passano…): ma poi la ricompensa è assicurata: un’ottima cena con focaccia, trofie col pesto, sarde fritte, una quiche, una peperonata, vino bianco, ecc. (infatti Cristina, sapendo che noi siculi siamo abituati ad eccessi alimentari ben diversi rispetto alla sobria moderazione ligure, quando ci invita “eccede”, con esiti sicuramente lodevolissimi).
Bello è poi, dopo cena, conversare con lei e parlare dei vecchi tempi, ma anche dei tempi di oggi e delle nostre città (lei è venuta diverse volte in Sicilia, regione che ama moltissimo).
Oggi Cristina è apprezzatissima titolare di un bed & breakfast (“La terrazza sul porto”), dalla bella posizione panoramica, ben collegato alla zona di Principe; è una struttura comoda e molto richiesta: infatti ci sono sempre ospiti che si aggirano per le stanze (l’ultimo della serie, che ha condiviso con noi la bella cena, era un simpatico visitatore tedesco, proveniente da Brema).
In conclusione, penso che – quando si arriva alla nostra età – è bello ritrovare, anche a distanza di tantissimi anni, amicizie ancora vive e forti. E il migliore augurio che si può fare ai giovani di oggi è quello di poter avere amicizie così, che il tempo e la distanza non possano scalfire e che costituiscano, per tutta la vita, una salda certezza.
Allego alcune foto: 1) io e Paolo all’uscita da scuola al I anno di scuola elementare (1959/1960); 2) io e Paolo a Marassi pochi giorni fa; 3) noi a casa di Cristina; 4) le leggendarie trofie col pesto che lei ci ha preparato.