“Tampasiannu a la stranìa”

Nel 1981 io e mio cugino Pietro Maggiore (che era un bravissimo poeta dialettale) scrivemmo una canzone sul tema dell’emigrazione; i versi erano suoi, la musica mia.

Il brano si intitolava “Tampasiannu a la stranìa”, che tradotto (malamente, vista l’impossibilità di una resa fedele dell’espressione dialettale) significa più o meno “Girovagando senza meta in terra straniera”. Il verbo “tampasiari”, che dà il titolo alla canzone, esprime infatti un girovagare ozioso e inconcludente, un andare a zonzo perdendo tempo in faccende inutili, vagando senza una meta ben precisa; tale è la condizione dell’emigrante nelle poche ore libere che il massacrante lavoro in fabbrica gli lascia.

Nel testo un emigrante siciliano, che vive all’estero un’esistenza di fatiche e sofferenze, cammina solo, solo “con la sua ombra” in quella terra “estranea”. Un cane bastonato è sicuramente più felice di lui, che cammina in mezzo a persone che passano e non lo vedono; eppure lui è un uomo, un uomo come loro.

Segue un’appassionata invocazione nostalgica alla Sicilia lontana: il cuore cade a pezzi quando l’emigrante constata amaramente qual è la sua amara sorte.

Un’altra struggente apostrofe va alle “ciminiere” delle industrie, che sembrano alimentate dai sospiri e dagli affanni dei lavoratori: le caldaie bruciano la fatica degli emigranti, mentre il sudore di costoro, che dà prosperità e ricchezza al Paese che li ospita, è per loro “fiele” nel momento in cui si sentono “carne venduta”.

Il messaggio che Pietro dava in questi versi andrebbe quanto mai riproposto oggi, nel momento in cui tanti migranti provenienti da Paesi poveri e disperati abitano nel nostro Paese, diventati – a loro volta – “carne venduta”. Ma non è meno vero che ancora troppe persone, dalla nostra Sicilia, devono andare lontano per trovare un lavoro dignitoso e onestamente retribuito; e sicuramente anche loro, a volte, hanno la sensazione amarissima di “tampasiare” in un luogo che non sentono proprio e in una dimensione alienante e spersonalizzante.

Presentammo la canzone “Tampasiannu a la stranìa” al 2° Festival della canzone siciliana, che fu organizzato nel 1981 da Pippo Baudo presso l’emittente catanese “Antenna Sicilia”.

Il brano fu eseguito da un bravo cantante catanese, Umberto Grancagnolo, arrivò alla finalissima e e fu inciso in LP e in musicassetta.

Pietro Maggiore, Umberto Grancagnolo e io (1981) a Bagheria a casa di Pietro

Ho appena postato sul mio canale Youtube il video di questa canzone, in cui la mia musica voleva rendere, in tono struggente e malinconico, la condizione psicologica prospettata dai versi di Pietro; non so se c’ero riuscito (oggi forse avrei cambiato più di un passaggio), ma comunque queste note restano nella mia memoria e le riascolto sempre volentieri e con una certa nostalgia. Il link del video è https://youtu.be/i_PZ20ITrHA.

Ecco, infine, il testo della canzone, seguito da una mia approssimativa traduzione italiana:

TAMPASIANNU A LA STRANIA

Tampasiannu a la strania,

sulu, sulu, cu l’ummira mia.

Un cani vastuniatu

è cchiù filici ‘i mia

‘nmenzu a ‘sta genti strània

ca passa e nun mi viri;

eppuru sugnu un omu,

un omu.

Sicilia, mia Sicilia,

lu cori cadi a pezzi

quann’è ca vardu e viju

qual è la sorti mia,

luntanu, a la strania,

ccà.

Cimineri chi fumati

li suspiri e li me’ affanni!

Travagghiu d’emigranti

brùcianu li caldari;

e lu nostru suduri

chi a vui duna vita

pi nui, carni vinnuta,

è feli.

Sicilia, mia Sicilia,

lu cori cadi a pezzi

quann’è ca vardu e viju

ca lu me sangu è vita

ppi chista terra ca

mi fa campà.

GIROVAGANDO IN TERRA STRANIERA

Girovagando in terra straniera / solo, solo con l’ombra mia. / Un cane bastonato / è più felice di me / tra questa gente estranea / che passa e non mi vede; / eppure sono un uomo, / un uomo. / Sicilia, mia Sicilia, / il cuore cade a pezzi / quand’io guardo e vedo / qual è la sorte mia / lontano, in terra straniera, / qua. / Ciminiere che fumate / i sospiri e i miei affanni! / Lavoro d’emigranti / bruciano le caldaie; / e il nostro sudore / che a voi dà la vita / per noi, carne venduta, / è fiele. / Sicilia, mia Sicilia, / il cuore cade a pezzi / quand’io guardo e vedo / che il mio sangue è vita / per questa terra che / mi fa campare.

L’interno della musicassetta; per un deplorevole errore di stampa, il cognome di Pietro era stato trasformato in “Maggiora”; ma lui non se la prese più di tanto…
18 febbraio 1981: Umberto canta “Tampasiannu a la strania” ad Antenna Sicilia (Catania) – prima esecuzione assoluta

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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