Nel terzo Festival di Sanremo, che si tenne al Salone delle feste del Casinò di Sanremo dal 29 al 31 gennaio 1953, fu introdotta l’esibizione doppia delle canzoni: ogni brano in gara era eseguito infatti due volte, da due artisti diversi e con due diversi arrangiamenti, uno per ognuna delle due orchestre dirette da Cinico Angelini e Armando Trovajoli; si sperava così di far memorizzare meglio le canzoni alle giurie.
Questa modalità rimase fino all’edizione del 1971 (con la sola eccezione del 1956). Inevitabilmente però, fra i due interpreti ce n’era uno destinato ad avere successo e, in certi casi, ad oscurare l’esecuzione del collega; basterà fare qualche esempio.
Nel 1955 vinse la canzone “Buongiorno tristezza”, cantata da Claudio Villa e Tullio Pane; se il “reuccio” è molto noto, Tullio Pane, cantante napoletano, è sicuramente svanito dalla memoria di molti miei coetanei ed è ovviamente del tutto sconosciuto ai più giovani; non era però l’ultimo arrivato, perché aveva studiato in conservatorio e aveva iniziato come cantante lirico; l’anno prima, poi, aveva vinto il Festival di Napoli con il brano “Suonno d’ammore”, eseguito in coppia con Achille Togliani (evidentemente Tullio Pane aveva il vizio di esibirsi con cantanti destinati ad avere più fama e successo di lui, con i quali “non faceva pane”…).
Il 1958 fu l’anno del trionfo di “Nel blu dipinto di blu” (passato poi alla storia con il titolo “Volare”), leggendaria canzone scritta da Franco Migliacci e Domenico Modugno; ebbene, in coppia con Modugno vinse anche il ventenne Johnny Dorelli, che diede del trascinante motivo un’interpretazione più melodica e flautata, con una voce intonatissima e impeccabile; tuttavia Dorelli non poté competere con la dinamica e coinvolgente esecuzione di Modugno, che fra l’altro con il suo gesto delle braccia spalancate (quasi a mimare il testo della canzone) demolì tutto un mondo ingessato e compassato, quasi aprendo la strada al nuovo decennio, quello del grande “boom” italiano.
La “strana coppia” Modugno-Dorelli tornò alla vittoria l’anno dopo, nel 1959, con “Piove” (anche in questo caso diventata famosa col secondo titolo, “Ciao ciao bambina”).
Per curiosità, in quella edizione si classificò al 4° posto la canzone “Tua”, eseguita da una sensuale Jula De Palma e da una ben più “rassicurante” Tonina Torrielli; la De Palma destò scalpore per la sua interpretazione troppo passionale di un testo già di per sé ritenuto allora scabroso (“Tua / fra le braccia tue / solamente tua, così. / Tua / sulla bocca tua / finalmente mia, così”), provocando vibranti proteste da alcune associazioni cattoliche e dalla stampa vaticana; la cantante milanese ricevette migliaia di lettere colme di improperi e fu addirittura aggredita per strada; quanto alla canzone, nella sua versione fu censurata e ne fu vietata la trasmissione in radio. Nulla del genere avvenne alla piemontese Torrielli (oggi novantenne), che peraltro in quel festival del ’59 gareggiò anche con altre due canzoni.
Nel 1960 la canzone vincitrice, “Romantica”, segnò il successo dell’“urlatore” di Campobasso Tony Dallara, ma divenne famosa anche nell’interpretazione più melodica di Renato Rascel. In quella edizione si ebbe l’esordio della promettente diciannovenne Mina, che partecipò con ben due canzoni, “È vero” (in coppia con Teddy Reno) e “Non sei felice” (con Betty Curtis).
Nel 1962 la canzone “Quando, quando, quando”, destinata a un successo planetario, si piazzò solo al 4° posto (a vincere fu la coppia di ex-rivali composta da Modugno e Claudio Villa, con “Addio addio”); ebbene, con l’autore Tony Renis a cantarla fu Emilio Pericoli, un cantante di Cesenatico ormai dimenticato ma all’epoca discretamente noto.
Tutti ricordano che sessant’anni fa, nel 1964, il festival fu vinto dalla sedicenne Gigliola Cinquetti, che con la sua dolcezza da educanda cantò i castigatissimi versi della canzone “Non ho l’età” (“Non ho l’età, non ho l’età / per amarti, non ho l’età / per uscire sola con te”); ma pochissimi rammentano che con lei vinse anche una tale Patricia Carli, cantante italo-belga allora ventiseienne, che eseguì il brano in francese con il titolo “Je suis à toi”; fra l’altro, in questa versione il testo era molto meno pudibondo: “Je suis à toi /Je suis à toi pour la vie / Je t’ai donné mon amour et mes vingt ans” (“Io sono tua, sono tua per la vita, ti ho donato il mio amore e i miei vent’anni”).
In quella edizione del ’64 la canzone “vincitrice morale” fu “Una lacrima sul viso”, che fu però eseguita da Bobby Solo in playback (per la prima volta al festival) a causa di una laringite; il disco vendette oltre un milione e mezzo di copie. Per ripagare il cantante romano, l’anno successivo (1965) la vittoria fu assegnata a lui, con la (meno bella) canzone “Se piangi se ridi”; a lui fu abbinato il gruppo folk statunitense The New Christy Minstrels (chi glielo doveva dire di vincere un festival di Sanremo…).
Nel 1966 il festival fu vinto da Modugno e dalla Cinquetti con “Dio, come ti amo” (brano piuttosto stucchevole, uno dei meno riusciti del cantante pugliese); molto più meritevole di successo sarebbe stato il brano 2° classificato, “Nessuno mi può giudicare”, eseguito da Caterina Caselli, detta “Casco d’oro”: ma chi ricorda che con lei cantò Gene Pitney, cantante americano allora assai noto anche in Italia?
Nel 1967, quando a vincere furono i tradizionalissimi Claudio Villa e Iva Zanicchi con “Non pensare a me”, fra le canzoni partecipanti ve ne furono alcune destinate a grande successo; anche in questo caso, pochi ricordano che “Cuore matto” di Little Tony ebbe come co-interprete Mario Zelinotti (un cantante romano che si faceva anche chiamare Sonny Blanco), che la contestatrice “Proposta” dei Giganti (“mettete dei fiori nei vostri cannoni”) fu eseguita anche dal gruppo irlandese The Bachelors e che il bellissimo “La musica è finita” cantata da Ornella Vanoni fu interpretato anche dal cantante bolognese Mario Guarnera.
In quell’anno, avvenne il tragico episodio del suicidio di Luigi Tenco, che aveva cantato “Ciao amore ciao” in coppia con Dalida (con cui aveva una relazione).
Del festival del 1968, vinto da Sergio Endrigo e Roberto Carlos con “Canzone per te”, mi piace ricordare la partecipazione del grandissimo Louis Armstrong, che eseguì il banale motivetto dixieland “Mi va di cantare” in coppia con Lara Saint-Paul; il leggendario “Satchmo”, che cantava leggendo malamente il testo italiano incollato per terra, non aveva nemmeno capito di trovarsi in una gara, per cui il presentatore Pippo Baudo a un certo punto dovette letteralmente interromperlo e accompagnarlo fuori dal palco (!).
Di quel festival, ricordo anche un motivo eseguito con grande bravura in entrambe le versioni: era “Deborah”, cantata da Fausto Leali e da Wilson Pickett, entrambi interpreti bravissimi della “soul music”.
Sempre Wilson Pickett l’anno dopo, nel 1969, cantò in coppia con Lucio Battisti la canzone “Un’avventura” (composta dallo stesso Battisti con Mogol); fu quella la prima e unica apparizione del cantante di Poggio Bustone a Sanremo.
Nel 1970 la canzone vincitrice, “Chi non lavora non fa l’amore”, fu interpretata “in famiglia” dalla coppia Adriano Celentano – Claudia Mori; alle loro spalle si classificò “La prima cosa bella”, nella duplice interpretazione di Nicola di Bari e dei Ricchi e Poveri.
Anche l’anno dopo (1971) il complesso genovese si piazzò al secondo posto, stavolta con “Che sarà”, cantata in coppia con il cantante portoricano Josè Feliciano.
Con quella edizione, che fu vinta da Nada e Nicola di Bari con “Il cuore è uno zingaro”, cessò la formula che assegnava a due diversi interpreti lo stesso motivo in gara.
Come si può capire anche da questa incompletissima rassegna, l’esecuzione “duplice” consentiva di riascoltare e apprezzare di più le canzoni (specialmente in un’epoca in cui l’unico passaggio successivo al festival era l’ascolto delle canzoni alla radio o l’acquisto dei 45 giri); inoltre oggi (grazie soprattutto a YouTube) è interessante riscoprire molti motivi, che siamo abituati ad ascoltare nell’interpretazione di un particolare cantante, nella versione alternativa dell’altro/a cantante, con ritmi, orchestrazioni e intonazioni differenti.
Sarebbe forse interessante riproporre questo esperimento (che nelle ultime edizioni del festival è stato in qualche modo imitato nella serata delle “cover”), magari per consentire di riportare un po’ di più l’attenzione sulle canzoni (testo, musica, orchestrazione) piuttosto che sui cantanti (?) variamente istoriati che si esibiscono al giorno d’oggi.