Un anno di Covid – III parte

Proseguo la raccolta dei post sulla pandemia che l’anno scorso ho pubblicato su Facebook, proponendone altri due.

Un post del 15 marzo 2020, intitolato “Resilienza”, analizzava la sempre più drammatica situazione dell’epidemia partendo da una foto del “Giornale di Sicilia” che mostrava un’anziana coppia di coniugi a Mondello che passeggiavano tenendosi uniti con un metro di stoffa.

Passavo poi a citare le prime forme “social” di sdrammatizzazione ironica della situazione (messaggi audio, “meme”, video, ecc.), ricordavo i primi “flashmob” dai balconi durante il lockdown, constatavo l’improvvisa impossibilità di fare programmi, di gestire liberamente la nostra esistenza. Uno shock, in quel momento, che stava sconvolgendo milioni di persone. 

Invitavo quindi alla “resilienza”, un termine che stava venendo fuori prepotentemente in quei tragici momenti e citavo una poesia di Jannis Ritsos chiudendo con l’augurio finale, che allora si usava: “Andrà tutto bene”.

9) 15.03.20 RESILIENZA

Dal sito del “Giornale di Sicilia” di oggi: “Coronavirus, coppia a Mondello passeggia col metro in mano: il video fa il giro del web – Mantenere la distanza di un metro è una delle misure adottate contro il rischio contagio da Coronavirus. Lo sa bene questa coppia che, ieri a Mondello, ha pensato bene di passeggiare in riva al mare col metro in mano per essere sicuri di mantenere la giusta distanza. Muniti anche di mascherina, i due anziani hanno preso ogni precauzione per una passeggiata in tutta sicurezza”. Davvero ingegnosi, questi due anziani (auguriamoci che tornati a casa si siano finalmente abbracciati, tanto sono anni che si contagiano a vicenda in tutto e per tutto…).

In effetti la proverbiale ingegnosità della nostra gente in questi giorni sta emergendo prepotentemente (non mancano anche esempi di proverbiale imbecillità, ma per fortuna in proporzione minore).

Siamo sommersi (e meno male) da messaggi audio, “meme”, video, che tendono a sdrammatizzare, a strapparci un sorriso. Ben vengano.

Uno dei più divertenti video che mi sono arrivati ieri mostra una signora che si trucca accuratamente, indossa scarpe tacco 12, esce di casa tutta elegante (“allicchettata” si dice qui in Sicilia) e poi scende…. a buttare il sacchetto dell’immondizia nel cassonetto condominiale!

Un’altra foto mostra alcuni bagnanti in spiaggia, ultrapanciuti, appesantiti, obesi, con la scritta “Estate 2020” (dopo cotanta reclusione forzata e cotanta astensione dalle palestre).

Diversi video presentano mariti disperati dalla prospettiva di restare a casa con le mogli a tempo indeterminato…

Ieri dai balconi si cantava “Azzurro”, si intonava l’inno nazionale, si gridava “Andrà tutto bene”. Erano i nostri pochi minuti “d’aria”. Ora forse capiamo che significa l’ora d’aria per i detenuti.

La nostra “ora d’aria” si riduce a quei pochi minuti, in cui dall’alto osservi frettolosamente la strada deserta, percorsa da pochi “necessitati” e da possibili “trasgressori” (ieri una signora è stata ammonita dalle forze dell’ordine perché ogni due ore portava il suo cane, evidentemente affetto da prostatite canina, ad espletare più volte i suoi bisogni).

Le telefonate con gli amici sono un momento consolatorio, ci si scambiano battute, preoccupazioni, constatazioni, speranze. Si fanno comunque progetti; anche se sempre più ci stiamo rendendo conto che i progetti a breve termine possiamo archiviarli… 25 marzo, 3 aprile, dopo Pasqua… il tempo non è più controllabile, programmabile, definibile.

Lenzuoli stesi alle finestre proclamano la grande speranza: “Andrà tutto bene”.

Andrà tutto bene, certo, per la maggior parte di noi.

Vero è che per quelli che stanno restando per strada, purtroppo in continuo aumento, non sta andando tutto bene. La spietata legge darwiniana della selezione condanna i più deboli. Ci siamo lamentati per anni dell’età media avanzata degli Italiani, dell’insostenibile onere delle pensioni… ecco che un virus subdolo, malefico ed egualitario risolve questi problemi, eliminando molti anziani e, a seguire, le persone con patologie pregresse e, a seguire, le persone meno anziane e, a seguire, potenzialmente tutti quelli che non adottano un comportamento prudente.

Fra le tante bizzarre scoperte che molti di noi stanno facendo in questi giorni, c’è anche il concetto di “immunità di gregge”; tutto ci saremmo aspettati, ma non che il civilissimo popolo albionico venisse catalogato “illico et immediate” come “gregge”, gregge per di più guidato da pastori poco rassicuranti come Johnson (ma il suo ciuffo bizzoso da “bravo” manzoniano non lo aveva notato nessuno?). Speriamo di non dover belare mai.

Andrà tutto bene. Ma nel frattempo occorre resilienza, più che resistenza.

Nei primi giorni di un assedio ci si affaccia dalle mura, come facevano i Troiani nell’Iliade, e si sorride dell’esercito nemico pomposamente schierato al di sotto; si è fiduciosi che le mura resisteranno dieci anni, che saranno pressoché inespugnabili. Nei primi giorni la resistenza è garantita. Poi potrebbe non bastare più, occorrerà la “resilienza”, cioè «la capacità di un individuo di generare fattori biologici, psicologici e sociali che gli permettano di resistere, adattarsi e rafforzarsi, a fronte di una situazione di rischio, generando un risultato individuale, sociale e morale» (Oscar Chapital Colchado (2011).

Attrezziamoci dunque per la resilienza.

Il grande poeta greco Jannis Ritsos nel suo poema “Romiosini” (“Grecità”, 1945-47), sintetizzava gli eventi della recente storia greca (e, in senso lato, europea); tema centrale era appunto la resistenza contro il nazismo, contro i suoi alleati, contro il male, la guerra, il nemico interno ed esterno, la violenza. Ritsos descriveva la lotta disperata dei partigiani, la loro resistenza incrollabile: “Il pane è finito, i proiettili sono finiti, / caricano ora i loro cannoni solo col loro cuore. / Da tanti anni assediati per terra e per mare, / tutti hanno fame, tutti sono uccisi e nessuno è morto – / sulle vedette brillano i loro occhi, / una grande bandiera, un gran fuoco tutto rosso / e ad ogni aurora migliaia di colombe partono dalle loro mani / per le quattro porte dell’orizzonte” (I 38-45, trad. Rotolo).

Ecco. “Tutti sono uccisi e nessuno è morto”. La grande bandiera sventola ancora, migliaia di colombe volano nel cielo della primavera. Andrà tutto bene.

Il secondo post, pubblicato il 21 marzo, si intitolava “Leggiamo il giornale” e, sfogliando il quotidiano “Repubblica”, analizzava la situazione da “bollettino di guerra” che ormai si stava verificando in Italia:

1) la “balcanizzazione” di un’Italia divisa nelle decisioni sull’epidemia;

2) la domanda “Fino a quando?” che tante persone cominciavano angosciosamente a porsi (se avessero immaginato che oggi, a un anno e oltre di distanza, ce la poniamo ancora!);

3) il cosiddetto “metodo coreano” di combattere il virus, con il dubbio se fosse applicabile nell’Italia delle leggi sulla privacy;

4) un articolo di Francesco Merlo sulla “prima vera guerra mondiale” in corso;

5) la domanda sul perché così tanti decessi si verificassero in Lombardia;

6) la situazione siciliana e le dichiarazioni dei politici (oggi fa sorridere amaramente quella del sindaco di Palermo, che quel giorno dichiarò: “Trent’anni fa abbiamo vinto il virus della mafia, vinceremo anche questo… Tutto questo non può e non deve durare a lungo”).

Ne ricavavo una conclusione: “è il momento di fare e non di aspettare, di prevenire quello che ancora si può prevenire, di rinviare le polemiche politiche a tempi migliori”.

10) 21.03.20

LEGGIAMO IL GIORNALE

Su “Repubblica” di oggi il bollettino di guerra propone molti spunti di riflessione.

Ne presento qui alcuni.

1)  LA BALCANIZZAZIONE – L’Italia si spezza. Veneto, Emilia, Sicilia, Campania, Calabria e per mezza giornata il Lazio domani chiuderanno i supermercati; il resto del Paese no. Il governo chiude i parchi, vieta i giochi all’aperto, mette un freno all’esodo nelle seconde case, chiude i bar in stazioni e autogrill; ma vari governatori, specialmente quelli che vivono nel modo più drammatico l’ecatombe in corso, vorrebbero restrizioni ulteriori e soprattutto mezzi adeguati per farle rispettare. La guerra si sta differenziando da regione a regione, si balcanizza, si settorializza. Il nemico viene combattuto con criteri differenti. Gli antichi Romani in caso di emergenza affidavano ai consoli poteri eccezionali: “videant consules ne quid res publica detrimenti capiat”, “i consoli provvedano affinché la repubblica non riceva alcun danno”. Ma la “res publica” nostra si frantuma, anche se il nemico è unico.

2) FINO A QUANDO? – Il comitato scientifico per bocca di Roberto Bernabei ha ammesso: “La fine delle misure di contenimento estesa fino all’estate? Non lo so, tutto è possibile, ancora non lo sappiamo”. L’articolista di “Repubblica” aggiunge: “Neanche gli scienziati possono escludere che si arrivi a giugno. Non si sa neanche quando arriverà il picco, si ipotizzano almeno due settimane. E servirà poi parecchio altro tempo, di certo tutto aprile, forse un paio di mesi prima di liberare del tutto il Paese dall’ibernazione”. A proposito della richiesta di ulteriori sacrifici, Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, osserva: “L’emergenza deve essere per natura temporanea, più dura più l’esperienza dimostra che si manifestano sentimenti del tipo ‘mors tua vita mea’… Ergo, auspichiamo che le misure prese mostrino la loro efficacia e che tra di noi non venga meno la convinzione che la salute e la salvezza di tutti dipende da ciascuno”.

Tuttavia, le misure prese stentano a dare risultati. Si era detto e si ripete che occorrono 15 giorni dal DPCM dell’11 marzo. Speriamo. Ma Zagrebelsky pone un problema concreto; e, se il trend non si modifica, chi governa dovrà riflettere sulla necessità di adottare “crudeltà bene usate” (come direbbe Machiavelli).

3) IL METODO “COREANO” E IL PROBLEMA DELLA PRIVACY – Secondo Walter Ricciardi, consulente scientifico del Ministro della Salute Roberto Speranza (in questo periodo ci voleva uno con un nome così in quel dicastero…), la curva dei contagi in Corea del Sud dimostrerebbe che l’epidemia si può domare. Nella figura che allego è evidente il confronto fra la curva esponenziale dei contagi in Italia (ieri arrivati a 47.021) e la curva lievissima della Corea del Sud (ora arrivata a 8.652 contagi con crescita quasi azzerata). Ma come hanno fatto i coreani? Metodo drastico: “molti tamponi (300mila) e l’ausilio della tecnologia per tracciare i contagiati con sintomi anche lievi e le persone con cui erano entrate in contatto. Ognuno dei quasi 9000 risultati positivi al test è stato “spiato” dalle autorità sanitarie coreane attraverso i suoi dati medici, il gps dello smartphone, le carte di credito, le telecamere di sorveglianza. Incrociando tutte queste informazioni si sono rintracciate le persone che potevano essere entrate in contatto con Covid-19 e le si sono isolate, in casa o in ospedale, a seconda delle condizioni di salute e dell’esito del tampone”.

Ricciardi, a proposito di un’eventuale applicazione del metodo “coreano” in Italia, aggiunge: “Ci troviamo di fronte a un problema molto importante in fatto di privacy e andrà studiato con grande accuratezza. Ma bisogna capire che ci troviamo di fronte a una situazione di estrema gravità”. Infatti, scrive l’articolista, in questo caso, paradossalmente, “la sospensione del diritto alla riservatezza per alcuni potrebbe significare il ritorno alla ‘libertà’ per la maggior parte della popolazione”. Anche Zagrebelsky ricorda che “la Costituzione prevede che la libertà di circolazione e la libertà di riunione possano essere ristrette per motivi di salute, sicurezza, incolumità pubblica… Non siamo forse in uno di questi? Il governo nazionale si deve assumere la sua responsabilità”.

4) In un bellissimo editoriale (p. 33), intitolato “La prima vera guerra mondiale”, Francesco Merlo scrive alcune acute osservazioni sull’emergenza in corso: “Il virus non ha centri, né città-capitali né roccaforti che possano essere espugnate o bombardate, non cerca alleanze, non ammette rese che non siano incondizionate, è micidiale nella guerra lampo ed è strategico in quella di logoramento, non tratta e sa aspettare… E come in tutte le prime volte della storia, il passato insegna ma allo stesso tempo confonde: non vale a niente rafforzare gli eserciti, perché i guerrieri del Mondo ora sono i medici, con molti eroi e pochissimi disertori che non vengono però fucilati, anche se non presentarsi negli ospedali equivale a non onorare la chiamata alle armi. La guerra è così nuova che il Soccorso e la Croce rossa sono trincea di prima linea e non più retrovia. Ma è uguale il ricorso ai riservisti, che oggi sono i medici in pensione, e l’arruolamento dei giovanissimi, cioè dei neolaureati, che sono la nuova generazione perduta, i ragazzi del ’99 di cui parlava Hemingway”.

5) LOMBARDIA – Perché tanti morti in Lombardia? Sono additate varie probabili cause: inquinamento, sovrappopolazione, smog, impianti di areazione, test tardivi, raduni dissennati (Atalanta-Valencia a San Siro il 19 febbraio scorso, con 45.000 tifosi provenienti da aree in cui l’alieno già affilava le armi). Forse, poi, c’entra la fatalità; e senza forse c’entra l’enorme numero di imprenditori della bergamasca che soprattutto nel settore della seta hanno rapporti consolidati con la Cina.

6) SICILIA – “Repubblica Palermo” titola “Virus – La guerra di Musumeci”. Infatti il governatore impone isolamento e divieto di ricevere visite per chi è tornato dopo il 14 marzo e “alza il tiro a più non posso sul tema dei controlli, prima invocando l’Esercito e poi firmando ordinanze a raffica ben più pesanti di quelle varate a livello nazionale”. Al decisionismo del governatore (che ha il merito però di accentuare l’attenzione contro il dilagare dell’epidemia), si contrappone la serenità del sindaco di Palermo: “Trent’anni fa abbiamo vinto il virus della mafia, vinceremo anche questo… Tutto questo non può e non deve durare a lungo”.

In effetti, sarebbe bello ordinare al virus di non durare a lungo… e sarebbe ancora più bello che la mafia si fosse estinta davvero dal territorio isolano e nazionale. E oggettivamente, sentendo la gente per strada (cosa che gran parte della sinistra non fa più da tempo), si nota che molte persone, sconvolte e preoccupate, si sentono di condividere più il decisionismo del governatore che la fiduciosa serenità del sindaco.

La guerra è aspra, crudele, lunga e sanguinosa. Non deve venire meno la speranza, ci mancherebbe; però è il momento di fare e non di aspettare, di prevenire quello che ancora si può prevenire, di rinviare le polemiche politiche a tempi migliori. La guerra non è “di Musumeci”; è di tutti noi.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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