Il tema di maturità

Mezzo secolo fa, lunedì 3 luglio 1972, al Liceo “Andrea D’Oria” di Genova sostenni la prima prova dei miei esami di maturità classica, cioè il tema di Italiano.

Era una bella giornata di sole. Mi alzai alle 6,30 (la notte avevo dormito perfettamente).

Alle 7,40 mi arrivò da Bagheria la telefonata augurale di mia zia e madrina Anna (all’epoca i ragazzi che dovevano fare gli esami si sentivano arrivare dei politicamente scorrettissimi “auguri” non esorcizzati da formule diversive come “in bocca al lupo”).

Alle 7,50 scesi e trovai sotto casa il mio amico (e compagno di banco sin dalla I elementare) Paolo Romei, che abitava di fronte a me in corso Sardegna. Ci avviammo verso la scuola, che si trova in Piazza della Vittoria accanto alle Tre Caravelle (ma quanto siamo stati fortunati ad avere il nostro liceo in una location così bella!); avevamo un po’ di magone, ma cercavamo di scherzarci su.

Le tre caravelle; in basso a destra il Liceo D’Oria

Alle 8,30 entrammo nella grande palestra interna, dove noi della III A fummo collocati insieme con la III B (alle mie spalle capitò il futuro regista Marco Sciaccaluga di III B).

La mia commissione, come si usava allora, era tutta esterna con una sola docente interna (la prof. di Matematica Claudia Nosengo): il presidente era Giovanni Rinaldi di Trieste e i commissari erano Vincenzo Fabrocini di Savona (Italiano), Flaminio Ghizzoni di Parma (Latino e Greco), Giuseppe Patanè di Sondrio (Storia), Angioletta Avalle di Vercelli (Matematica). Li ricordo piuttosto comprensivi e disponibili; il docente di Latino aveva degli strani calzini-collant trasparenti che ci colpirono non poco…

I temi furono dettati (dettati!! nessuna fotocopia!) alle 9.

Io scelsi di commentare questo passo di Antonio Gramsci, tratto da una lettera scritta dal carcere a suo figlio Elio: «Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono fra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?».

Io ho sempre amato tantissimo la Storia; e compatisco coloro che, o per mancanza di insegnanti che gliela abbiano fatta amare (riducendola magari a piatto e squallido nozionismo), o per un culto banale del presente a tutti i costi, o per semplice superficialità, non ne capiscono e non ne apprezzano l’importanza.

Mi piacque subito, in quel brano di Gramsci, il concetto della storia che riguarda tutti gli uomini, nella loro vita sociale e nel loro desiderio di lottare e migliorare; e ricordo che scrissi, concentratissimo, diverse pagine fitte di riferimenti, collegamenti e impressioni personali.

Nella grande palestra non volava una mosca. C’era caldo, ma non troppo (a Genova quel giorno 18°/25°, meravigliose estati ragionevoli di quei tempi…).

Consegnai alle 14,31 (l’orario è scrupolosamente annotato nel mio diario scolastico di allora), dopo cinque ore e mezza. Tornai a casa, stanco e contento, alle 14,45. E mangiai con appetito.

Il pomeriggio mi distrassi guardando alla TV l’arrivo della tappa del Tour de France (la vinse il belga Rik Van Linden, mentre il francese Cyrille Guimard conservava la maglia gialla; quell’edizione fu vinta, immancabilmente, dal grande “cannibale” Eddy Merckx).

Ripassai qualcosa per la versione di greco dell’indomani. Mi feci un giretto fino a Brignole per fare un po’ di movimento. E la sera mi rilassai vedendo con mio padre alcuni nostri filmini super 8. Andai a letto presto, puro e disposto a risalire l’indomani gli aspri declivi di una micidiale versione tratta dal “Menesseno” di Platone.

Oggi 539.678 ragazze e ragazzi in Italia affrontano la prova d’Italiano.

Negli ultimi due anni, nel 2020 e nel 2021, la pandemia ha costretto a limitare l’esame di Stato alle prove orali; oggi, anche se la pandemia non è affatto finita e anzi l’ennesima variante Omicron 5 sta facendo risalire i contagi (siamo proprio come Sisifo che spinge il masso in alto per vederlo poi ricascare giù inesorabilmente), i candidati potranno anche non indossare la mascherina.

Non mancano però fra i docenti le defezioni dovute al covid, con conseguenti sostituzioni che stanno rallegrando diversi colleghi che si credevano già in vacanza; e c’è da temere che non manchino anche studentesse e studenti “positivi” che non potranno oggi svolgere la prova (con conseguenti ipotizzabili sessioni suppletive o… cosa?).

Le commissioni sono totalmente interne; e ciò può essere un bene o un male, secondo i punti di vista e secondo le singole realtà delle classi.

Le tipologie della prova sono molto più inutilmente complicate di quanto lo fossero cinquant’anni fa, includendo una valanga di allegati in fotocopia (ah, quasi rimpiango quella paleolitica dettatura dei compiti…), da leggere e capire in tempi contingentati, con una serie di quesiti più o meno astrusi (comprensione-analisi-interpretazione o produzione o riflessioni pseudocritiche di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità).

Il tutto in una realtà scolastica in cui le ragazze e i ragazzi di norma scrivono soltanto messaggini sui social (per di più coronati da coloriti “emoji”), in modo informale, frettoloso e spesso distratto. E a questa realtà adolescenziale oggettiva si contrappone spesso un’ostinata riproposizione di didattiche ultrasuperate, senza una vera “educazione a scrivere”, senza un continuo esercizio (e senza la puntuale correzione di questi esercizi), senza – soprattutto – far amare la scrittura, che pure potrebbe essere tanto amata da moltissime ragazze e ragazzi, se soltanto se ne potessero appassionare.

Ma non divaghiamo; così va il mondo, o meglio così andava in questo ineffabile anno venti-ventidue (così si deve dire oggi…).

E dunque alle candidate e ai candidati di oggi rivolgiamo un ortodosso e caloroso “in bocca al lupo”, con la speranza che superino brillantemente questa prova “di iniziazione” alla vita adulta e che la giornata odierna resti per loro un ricordo piacevole e, con gli anni, anche un po’ struggente.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

3 commenti

  1. Salve, oggi cercavo su vari archivi in rete di ritrovare la faccia del mio esame di Stato. Ne ricordavo bene il senso ed il significato ma chiaramente non il testo preciso. Essendo un po’ datata, sui vari siti consultati, non ho trovato nulla stavo quasi per abbandonare l’dea quando improvvisamente mi è apparso il suo blog. Ricordo che feci un tema brevissimo ma che fu molto apprezzato da tutta la Commissione ed il colloquio di svolse tutto sul tema e alla fine mi fu assegnato il massimo dei voti. All’epoca era 60. Un bel ricordo, vissuto con piacere in concomitanza dell’esame del mio primo amatissimo nipote. Un caro saluto. Maria Teresa De Luca

  2. Anche io feci l’esame di maturità nel 1972. Elaborati il tema sull’Europa unita dopo due ore di vuoto totale nel cervello, due ore di angoscia che ancora ricordo ora.

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