Domani è un altro giorno

Una delle più celebri canzoni interpretate da Ornella Vanoni, “Domani è un altro giorno”, è in realtà una “cover” del brano “The wonders you perform”, cantato dalla statunitense Tammy Wynette; la musica era di Jerry Chesnut.

Il testo della versione italiana fu scritto da Giorgio Calabrese; la canzone uscì come 45 giri nel 1971 (sul retro c’era il brano “C’è qualcosa che non sai”); fu poi inserita l’anno dopo nel 33 giri “Un gioco senza età”.

Il testo originale era totalmente diverso e presentava, in forma di “gospel”, un colloquio con Dio (“Oh Lord, you know that I’m not one to bother you with little things / and you and I have never been too close”). Calabrese invece, pur mantenendo un labile appiglio con l’originale (“La mia fede è troppo scossa ormai”, “Proviamo anche con Dio, non si sa mai”) ha trasformato il contesto, presentando in modo efficace lo stato d’animo inerte e malinconico di una donna stanca e disillusa.

L’inizio è amaramente triste: «È uno di quei giorni che / ti prende la malinconia / che fino a sera non ti lascia più». Fin dal risveglio il malessere, lo “spleen”, divora e tormenta l’anima; tornano in mente i versi di Baudelaire: «Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve / schiaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito, / e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte / fa del giorno una tristezza più nera della notte…».

Iniziano allora i tentativi per scuotere questo torpore paralizzante; e il primo tentativo, per consuetudine e per ostinata speranza, è il più grande e il più difficile: «La mia fede è troppo scossa ormai / ma prego e penso fra di me: / “Proviamo anche con Dio, non si sa mai”».

Le troppe delusioni hanno messo a dura prova una fede ostinatamente mantenuta nelle abitudini (“prego”) e ridotta a tentativo estenuato: con Dio, ormai, “si fa la prova” perché “non si sa mai”, ma manca ormai ogni “fede” in un risultato positivo.

In questa situazione, inevitabilmente, si fanno bilanci, si confronta il presente con il passato, si ricorda (con acuto senso di smarrimento) la felicità perduta, si ripercorrono le tenaci illusioni di un tempo: «E non c’è niente di più triste / in giornate come queste / che ricordare la felicità / sapendo già che è inutile / ripetere “Chissà? / Domani è un altro giorno, si vedrà”». Lo sapeva bene Francesca nell’Inferno di Dante: «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria».

Per inciso (e non a caso), va sottolineato che la frase “Dopotutto domani è un altro giorno” (“After all, tomorrow is another day”) era la famosa ultima battuta di Rossella O’Hara (interpretata da Vivien Leigh) nella scena finale di “Via col vento” di Victor Fleming (1939); lì Scarlett, abbandonata definitivamente da Rhett Butler (con l’altrettanto icastica frase “Francamente me ne infischio”, “Frankly, my dear, I don’t give a damn”), non si dava per vinta e si riproponeva di riconquistare l’uomo amato («Tara! A casa! A casa mia! E troverò un modo per riconquistarlo. Dopotutto, domani è un altro giorno!»). Come si vede, in quel contesto la frase di Rossella era carica di un’ostinata speranza, di una convinta voglia di reagire.

Qui invece, nella canzone della Vanoni, la battuta “Domani è un altro giorno” è unita a un “si vedrà” che resta quanto mai vago e illusorio. Non a caso, la donna continua l’impietosa autoanalisi della propria vita: «È uno di quei giorni in cui / rivedo tutta la mia vita: / bilancio che non ho quadrato mai. / Posso dire d’ogni cosa / che ho fatto a modo mio / ma con che risultati non saprei». I bilanci non quadrano, i tentativi di riaffermare la validità delle scelte approdano a una valutazione neutra (“con che risultati non saprei”).

Non basta ancora; l’autoanalisi affonda il coltello nella piaga: «E non mi son servite a niente / esperienze e delusioni; / e se ho promesso “non lo faccio più” / ho sempre detto in ultimo / “Ho perso ancora ma / domani è un altro giorno, si vedrà”».

Chi l’ha detto che “esperienze e delusioni” servono? Alla donna non sono servite a niente: ogni volta che si è ripromessa di non ripeterle, di non ricascare negli stessi errori, l’unica consolazione è stato quell’insistente proponimento di rinviare tutto a un “domani”, a “un altro giorno”, nella speranza ostinata di “vedere” qualcosa di meglio (“domani è un altro giorno, si vedrà”).

A questo punto, inaspettatamente, il soliloquio si trasforma in un dialogo ideale; spunta un interlocutore ideale, un uomo che però (beato lui) non condivide il disagio esistenziale della tormentata donna: «È uno di quei giorni che / tu non hai conosciuto mai. / Beato te, si beato te».

Si tratta, lo si intuisce, di una persona che è stata amata profondamente, a cui la donna ha dato tanto, senza ricevere in cambio quello che sperava: «Io di tutta un’esistenza / spesa a dare, dare, dare / non ho salvato niente, neanche te».

E tuttavia, irrazionale e imprevedibile, la speranza disperata torna a bussare alla porta, torna a generare illusioni salvifiche: «Ma nonostante tutto / io non rinuncio a credere / che tu potresti ritornare qui. / E come tanto tempo fa / ripeto “Chi lo sa? / Domani è un altro giorno, si vedrà”». Lui potrebbe tornare: come rinunciare a credere in questa cosa incredibile? E rinasce, anche senza riscontri reali, la convinzione che tutto sia possibile (“Chi lo sa?”).

A questa fragile e illusoria speranza, la donna si appiglia con tutte le sue forze e trova così, ancora una volta, la forza di andare avanti, di cancellare i rimpianti e di riproporre la sua ostinata fede nel domani: «E oggi non m’importa / della stagione morta / per cui rimpianti adesso non ho più. / E come tanto tempo fa / ripeto “Chi lo sa? / Domani è un altro giorno, si vedrà. / Domani è un altro giorno, si vedrà».

Quando ci si sveglia “con la luna storta”, quando la malinconia rischia di afferrarci e di farci compagnia fino a sera, quando cerchiamo di far quadrare i bilanci e annaspiamo nella “stagione morta”, può essere ancora utile risentire questa canzone di mezzo secolo fa, nella dolente e toccante esecuzione di Ornella Vanoni.

La cantante milanese, che nel 1971 era nel pieno fulgore della sua attività artistica e ai massimi livelli di sensibilità interpretativa, contribuì indubbiamente a far arrivare pienamente il messaggio ambiguo di questo testo disperato e speranzoso, disfattista e tenace al tempo stesso. Il 45 giri nell’ottobre di quell’anno entrò nella Hit Parade di Lelio Luttazzi e vi rimase per dieci settimane.

Alcuni anni fa, nel 2019, il brano è stato reinciso da Noemi come colonna sonora del film “Domani è un altro giorno” di Simone Spada, con Marco Giallini e Valerio Mastandrea.

Nel 2020 Ornella Vanoni ha riproposto la sua canzone in una nuova versione jazz, accompagnata dal trombettista Paolo Fresu e dalla pianista Rita Marcotulli; e, nonostante l’età ormai avanzata, ha saputo ancora restituire pathos ed emozione  a un motivo che ormai, in qualche modo, è “storico”.

Chi volesse, può risentire il brano su Youtube nell’esecuzione del 1971 al link https://www.youtube.com/watch?v=dCxPiZF6tdQ.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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