Nel 1959 il grande poeta greco Odysseas Elytis (vent’anni dopo vincitore del premio Nobel per la letteratura) compose un ambizioso poema storico-religioso, intitolato “Àxiòn estin” (Ἄξιόν ἐστιν), cioè “è cosa giusta, degna”.
L’opera utilizzava la struttura della liturgia greco-ortodossa e in tono biblico celebrava ed esaltava la sofferenza, la “passione” della nazione greca, sia nelle più recenti vicende storiche sia in una vasta prospettiva di secoli; alludeva infatti ai tre momenti essenziali della recente storia greca (guerra d’Albania, occupazione nazista, guerra civile).
I toni erano apocalittici: dalla sofferenza e dal sangue scaturiva la luce. L’inno finale (che dava il titolo all’opera) era un inno di gloria e culminava in una potente affermazione positiva: cosa degna è la vita, degna la lotta e il compenso del sacrificio.
L’opera fu poi musicata in forma di oratorio nel 1964 dal grande Mikis Theodorakis, che la definì “la Bibbia del popolo greco”.
Credo sia interessante proporre, come spunto di riflessione e come augurio di “rinascita” per tutti, una bellissima poesia tratta da questo poema di Elytis.
Si intitola “Una rondine solitaria” (in greco moderno Ena to chelidòni, Ενα το χελιδόνι) e descrive la lenta e difficile “resurrezione” (anàstasi, ανάσταση) del popolo greco.
Nel cielo vola una sola rondine; la primavera si conquista “a caro prezzo”, occorre molta fatica “perché ritorni il sole”, “ci vogliono migliaia di morti”, occorre che sia versato molto sangue.
Il poeta allora invoca Dio, un Dio definito “capomastro” (protomàstoras), artefice, costruttore del destino umano; e lo ringrazia per averlo creato greco, per averlo fatto nascere in quella terra gloriosa, “fra i monti” e “sul mare”.
Poi allude al difficile, tragico presente: il mese di maggio, personificato, è stato rapito dai Magi: il suo corpo è stato seppellito in una tomba sul mare, lo hanno chiuso in un pozzo; la primavera è stata negata, la fioritura della natura rinviata, la bellezza murata e reclusa, l’attesa è stata lunga.
Ma da quel profondo pozzo esala un profumo inebriante, che “ha riempito di profumo / il buio e tutto l’abisso”.
È questo un potente auspicio di resurrezione; allora, rivolto ancora a Dio, il poeta esprime l’auspicio più grande: “O mio Dio capomastro, / tra gli alberi di lillà di Pasqua, anche tu, / o mio Dio capomastro / hai sentito il profumo della resurrezione”.
Quando la Grecia stava finalmente liberandosi dopo dieci anni dalla feroce dittatura dei “colonnelli”, nel 1977 fu eseguito un concerto cui assisteva una folla entusiasta di giovani. Mikis Theodorakis, rientrato dall’esilio, eseguì con grande trasporto questa canzone, che fu eseguita da Grigoris Bithikotsis nel tripudio generale. Una pagina esaltante di storia, un inno alla liberazione ed alla libertà, che è ancora possibile vedere su youtube (il link è https://www.youtube.com/watch?v=RPCSVKTv9kI e ne consiglio la visione).
Passo a citare la poesia, in una mia traduzione, non senza rilevare che è quasi impossibile trasferire in italiano certe espressioni e sensazioni che sono tipicamente greche (ad es. quel verbo finale “myrìzo”, μυρίζω, che indica l’“annusare”, in Sicilia si direbbe “ciarare”: Dio “annusa” la resurrezione e i Greci dicono, ad es., che “chi viaggia annusa”, òpios yirìzi mirìzi, όποιος γυρίζει, μυρίζει).
Colgo l’occasione per augurare a tutti una felice Pasqua.
UNA RONDINE SOLITARIA
“Una rondine solitaria,
una primavera che costa molto;
perché ritorni il sole
ci vuole molta fatica.
Ci vogliono migliaia di morti sulle ruote,
ci vuole che i vivi diano il loro sangue.
O mio Dio capomastro,
mi hai creato fra i monti,
o mio Dio capomastro,
mi hai creato sul mare.
È stato preso dai magi
il corpo di Maggio.
L’hanno seppellito in una tomba sul mare.
In un profondo pozzo
lo hanno chiuso.
Ha riempito di profumo
il buio e tutto l’abisso.
O mio Dio capomastro,
tra i lillà di Pasqua, anche tu,
o mio Dio capomastro
hai sentito il profumo della Resurrezione”.