Marcel Proust le chiamava “madeleine”: si tratta di oggetti, gesti, colori, sapori, profumi o (come in questo caso) musiche che improvvisamente irrazionalmente bruscamente ti riportano indietro nel tempo e (come si dice oggi) ti “sbloccano” un antico ricordo. Il termine, come è noto, deriva da un dolce francese, appunto la “madeleine”, che riveste questo importante ruolo per il narratore di “Alla ricerca del tempo perduto” (nel primo volume, “Dalla parte di Swann”).
Ebbene, a colazione oggi il Telegiornale mi ha servito questa “madeleine”: “Work all night on a drink of rum / (Daylight come and we want go home) / Stack banana ’til the morning come / (Daylight come and we want go home)”.
E mi sono rivisto e risentito piccolissimo, bambino di 2-3 anni di età, che cantavo questo motivetto, saltellando, inventandomi le parole e formando un “grammelot” incomprensibile, nel quale l’unica parola che aveva un senso era “Banana”.
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In effetti era il 1956 quando “Banana boat” fu incisa da Harry Belafonte, che si è spento ieri a Manhattan a 96 anni. Era ancora vivo, ma pensavo che fosse scomparso da anni, come scompaiono inevitabilmente i ricordi e le persone del nostro passato.
Da bambino non potevo saperlo, ma «Banana Boat», che fu uno dei suoi più grandi successi, era un “calypso” popolare giamaicano; rappresentava un momento della vita dei lavoratori portuali del turno di notte che, dopo aver caricato una nave bananiera, all’alba vogliono tornare a casa, ovviamente dopo aver ricevuto la meritata paga. Lo dice (ma l’ho capito solo da grande) il ritornello della canzone: «Come, mister tallyman, tally me banana. / Daylight come and we wanna go home» (“Vieni signor contabile, fai il conteggio delle mie banane. /La luce del giorno arriva e noi vogliamo andare a casa”).
Gli autori del brano, come in genere accade per un canto popolare che si rispetti, sono sconosciuti; non è escluso che il testo originale fosse un po’ differente. La prima versione registrata fu fatta da un cantante di Trinidad, Edric Connor, con la sua band The Caribbeans; la registrò poi la poetessa e scrittrice giamaicana Louise Bennett nel 1954.
Soltanto nel 1956 però, come si è detto, Irving Burgie e William Attaway scrissero una nuova versione del testo, che fu registrata da Harry Belafonte (che era nato a New York nel 1927 da genitori giamaicani).
Il successo del brano fu strepitoso in tutto il mondo: fu il primo 33 giri della storia a superare il milione di copie vendute. In Italia nel 1959 Gino Latilla ne fece una curiosa versione in dialetto napoletano intitolata «’E banane» su testo di Carla Boni.
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Stamattina ho appreso la notizia della morte di Belafonte e, come sempre accade quando viene a mancare qualcosa o qualcuno che ti ricorda dei momenti belli, mi è dispiaciuto molto.
Mi immagino però che oggi, su qualche nuvoletta, al ritmo contagioso del calypso, le anime belle danzino e cantino, più o meno correttamente, quella canzone così semplice e coinvolgente: «Day-o, day-o / Daylight come and we want go home / Day, is a day, is a day, is a day, is a day, is a day-o / Daylight come and we want go home / Work all night on a drink of rum / (Daylight come and we want go home) / Stack banana ’til the morning come / (Daylight come and we want go home) / Come Mister tally man, tally me banana / (Daylight come and we want go home) / […]».
P.S.: Per chi volesse riascoltarla, la canzone è su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=H5dpBWlRANE.