“Mittemu li tiàni” di Pietro Maggiore

Il giorno di San Pietro è per me sempre legato al ricordo di mio cugino, il poeta dialettale bagherese Pietro Maggiore. Per rendergli omaggio, propongo qui una sua poesia inedita (ne ho una copia autografa), composta il 14 luglio 1978 durante una sua villeggiatura in contrada Magliolo, fra Cefalù e Gibilmanna, vicino al Monte Sant’Angelo (alto m. 1080 s.l.m.).

Era un luogo molto bello, vicino ai boschi di leccio, rovere e corbezzolo, immerso nella macchia mediterranea, con la possibilità di godere, a poca distanza, di splendidi scorci panoramici. Lì Pietro villeggiava con la moglie, mia cugina Giovanna Pintacuda, con la figlioletta Maria (ma era già in viaggio il secondogenito, Pierantonio, che sarebbe arrivato per S. Lucia quello stesso anno), con la sorella Giuseppina, il cognato Paolo Cardinale e i figlioletti Pinuccia e Giovanni.

Stavano in una casa “rustica”, intendendo (con questo aggettivo oggi abusato e spesso frainteso) la rusticità assoluta; “rus verum barbarumque”, l’avrebbe definita il poeta Marziale: senza acqua corrente, senza luce, con le lampade a gas, con le provviste portate da Paolo con il camion (antenato dei SUV di oggi). Vi si arrivava da una strada sterrata e assai ardua da percorrere; insomma, era un mondo a parte che sembrava appartenere a un’altra epoca.

La casa in campagna a Magliolo

Là, nel relax assoluto, Pietro (che adorava qualunque luogo che gli potesse trasmettere il sapore, il colore e l’odore della sua terra) scriveva poesie sulla carta del pane, in “pizzini” improvvisati, come e dove gli capitava.

Il 14 luglio 1978 era un venerdì: i villeggianti attendevano per l’ora di pranzo l’arrivo dell’altra sorella di Pietro, Lena, con suo marito (il dott. Mimmo Greco) e i figli Milo e Pietro. Era una giornata calda, l’attesa degli ospiti si prolungava e Pietro volle fissare quel momento in questa lirica, in quattro quartine, di cui anzitutto propongo il testo e la traduzione letterale (ovviamente non bella come l’originale):

MITTEMU LI TIANI

Supra Santancilu i so’ dardi sferra

lu suli a picu; mentri Gibilmanna,

quannu la dica cu li panzi è ‘n guerra,

li tocchi ‘i menzujornu attornu manna.

Sutta ‘ddu suli ‘nsinu un lupu è manzu,

nun spercia ‘i travagghiari e né parrari;

simmai si addisìa un beddu pranzu

cu pasta, carni e vinu di trincari.

Intantu ccà, a Magghiòlu, tuttu è paci.

Zù Mimmu c’a zà Lena ancora ‘un vennu;

tuttu è tranquillu e ‘nsinu ‘u cani taci,

tranni lu focu, ca pirdìu lu sennu.

Ma poi di bottu, forti comu un tronu,

un gran vucìu corali ‘ri cristiani,

chi a li cicali avìa rubatu ‘u tonu,

grida: «Ccà su’! Mittemu li tiàni».

(«Sopra il Santangelo i suoi dardi sferra / il sole, a picco; mentre Gibilmanna, / quando la fame con le pance è in guerra, / del mezzodì i rintocchi intorno manda. / Sotto quel sole perfino un lupo è calmo, / non vuoi né lavorare, né parlare; / semmai c’è il desiderio di un bel pranzo / con pasta, carne e vino da trincare. / Intanto qua, a Magliolo, tutto è pace. / Zio Mimmo con zia Lena ancor non viene; / tutto è tranquillo e pure il cane tace, / tranne il fuoco che ha perduto il senno. / Ma poi di botto, forte come un tuono, / un gran vocìo corale di persone, / che alle cicale aveva rubato il tono, / grida: “Son qua! Mettiamo su i tegami!”»).

La lirica è come una breve istantanea, che fissa pochi ma efficaci dettagli: il sole “a picu” sul Monte Santangelo, i rintocchi delle campane del mezzogiorno che provengono da Gibilmanna nel silenzio rotto sole dal frinire continuo delle cicale (“pazze di sole”, avrebbe detto Carducci), la fame che si comincia a fare sentire (la “dica” era, in siciliano antico, “la fame”, intesa come qualcosa di tormentoso e fastidioso).

In questa estate siciliana sconfinata tutto si paralizza: anche i lupi, se ce ne fossero stati (ora si sono riconvertiti in onnipresenti cinghiali), sarebbero stati “manzi” (cioè “mansueti”).

Non si ha voglia di fare niente in momenti del genere, né di lavorare né di parlare: semmai occorrerebbe “un beddu pranzu”, con la pasta asciutta, con la carne arrostita alla brace, con un bel vino rosso.

Tutto è pace, a Magliolo: gli ospiti ritardano e tutto è immerso nel silenzio, anche il cane tace (sdraiato per terra, alloppiato dall’afa). Unico segno di vita è il fuoco, che – essendo pazzo, essendo caldo di suo, essendo dunque autorizzato a scialarsela più degli altri – scoppietta come se avesse perduto il senno.

Tutto è pace: il tempo e lo spazio si sono fermati.

“Ma poi”…!

Ma poi il silenzio viene improvvisamente rotto: qualcuno ha avvistato una macchina in arrivo e (come Rodrigo de Tiana, sulla caravella di Colombo, alla vista della terraferma) ha gridato a squarciagola l’urlo represso da ore: “Ccà su’!”, “sono qua”! Sono arrivati, si mangia! E persino le cicale vengono sopraffatte da questo grido di gioia appagata.

Non resta che “mettere i tegami” per cucinare la pasta.

L’attesa è terminata, il tempo riparte, la campagna si rianima, la vita riparte.

Pietro Maggiore a Magliolo (1978)

Grande cosa, saper fissare in pochi versi una giornata della nostra esistenza, le sensazioni, i suoni, le immagini di un momento sereno.

Hanno questo dono, i poeti: sanno parlarci della nostra vita facendoci entrare nelle loro sensazioni e rendendole nostre. Di questo, dobbiamo ringraziarli sempre; e oggi di questo, ancora una volta, ringraziamo Pietro.

E chissà che lassù dove si trova, oggi, non stiano “mettendo su i tegami” per fare un bello “schiticchio” in occasione del suo onomastico: ne sarebbe felice.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Bel ricordo di momenti allegri , spensierati , in cui ci si accontentava di poco ma ci si divertiva di più , ci si raccontava e si scherzava e noi allora bambini correvamo liberi e spensierati, ci arrampicavano sulle querce o sul grande gelso nero che faceva ombra alla casa …ricordi memorabili di un’infanzia vissuta bene . Auguri zio Pietro , ci hai fatto divertire e ridere tanto .

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